L'amministrazione immobiliare attraverso l'istituto giuridico delle società

AutoreMaurizio Voi
Pagine613-615

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    Relazione tenuta al convegno: «Obiettivo Professione. Analisi concreta per una riorganizzazione degli studi di gestione immobiliare secondo le realtà del mercato e le nuove opportunità professionali» organizzato dall'ANACI sez. di Siena l'11 luglio 2003.

Attualmente, in Italia, un numero sempre più crescente di amministratori immobiliari, che in origine esercitavano la professione come singolo professionista, si sono associati in società di persone o di capitali sia in funzione della notevole specializzazione che la professione richiede e sia per aumentare il lavoro.

Il problema relativo alla liceità di una struttura societaria come amministrazione immobiliare è stato portato all'attenzione anche della giurisprudenza sia di merito che di legittimità la quale è attestata su due posizioni di sostanziale parità e cioè: da una parte essa è favorevole, dall'altra contraria.

La presente ricerca si baserà su alcuni dati storici e di analogia legislativa al fine di verificare la liceità di un'amministrazione immobiliare attraverso lo strumento delle società.

La legge 23 novembre 1939 n. 1815 sulla: «Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza», all'art. 2, vietava di costituire, esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali avessero lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria.

Il periodo storico era quello della seconda guerra mondiale e della emanazione delle leggi razziali anche da parte del governo fascista italiano e quindi mirava ad evitare che ebrei italiani esercitassero la propria attività professionale «nascosti» dalla veste giuridica di una società.

Nel 1939, è noto, non era ancora entrato in vigore il nuovo codice civile, ed era ancora vigente il vecchio codice del 1865, nonché il codice del commercio, approvato il 2 aprile 1882.

Così per evitare che gli ebrei aggirassero i divieti di esercizio della professione contenuti nelle leggi razziali venne emanata la legge 1815 la quale, in sostanza, acconsentiva all'esercizio di un'attività professionale in comune purché, come prescriveva l'art. 1, i nomi ed i titoli dei singoli associati fossero esplicitati.

Inoltre, allora come ora era prevista la società di capitali (società anonima art. 121 e ss. cod. commercio ora art. 2325 e ss. c.c.); allora come ora per le obbligazioni sociali rispondeva soltanto la società con il suo patrimonio le cui quote erano rappresentate da azioni per cui il profilo personale dei soci veniva reso anonimo dalla personalità della società.

Sempre nel codice civile del 1865, non era previsto il condominio negli edifici, e, come è noto, la sua prima regolamentazione venne approvata nel 1934, vi era però regolata, con pochi articoli, la comunione di beni art. 673 e ss.

Non era prevista esplicitamente come oggi all'art. 1106 c.c. la figura dell'amministratore, ma di esso si parlava solamente all'art. 678 ultimo comma se i partecipanti non raggiungevano l'accordo per l'amministrazione dei beni.

Da tali elementi storici non si può affermare che prima del 1939 era vietato esercitare l'attività di amministratore immobiliare sotto la forma di società se è vero che il legislatore dovette emanare una apposita legge per evitare che qualsiasi attività intellettuale di: assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria venisse prestata in forma societaria anonima.

Infatti, l'art. 2 della legge 1815/39 così recitava: «È vietato costituire...

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