Il principio di personalità nell’ultima giurisprudenza della Corte di cassazione: “Colpa” o prevedibilità nel versari in re illicita, aspettando le Sezioni Unite

AutoreAngelo Carmona
Pagine501-509

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  1. – Alcuni anni addietro mi occupavo – nella prospettiva suggerita dalla ricorrente illusione di una promessa riforma del codice penale – della possibilità di ammettere il ricorso all’istituto della colpa, in senso tecnico, per fondare la responsabilità, costituzionalmente coerente, rispetto all’evento non voluto verificatosi a seguito di un fatto doloso1. Oggi torno sulla questione – riproponendo alcune di quelle stesse riflessioni – alla luce di una recente sentenza della Corte di legittimità, con la quale si pone il principio per cui il rispetto dell’art. 27 Cost., lº comma impone al giudice del merito di valutare (in questi casi) la prevedibilità in concreto dell’evento causato e non voluto e dell’ attesa decisione delle Sezioni unite chiamate a decidere «se ai fini dell’accertamento della responsabilità penale dello spacciatore per la morte, dell’acquirente, [...] debba essere dimostrata anche la sussistenza di un profilo colposo per non aver preveduto l’evento»2.

  2. – La premessa metodologica a queste osservazioni è ben nota: «l’impossibilità di ritenere “costituzionalizzata” [...] una delle tante concezioni della colpevolezza proposte dalla dottrina»3 e la necessità, conseguente, di collegare ogni ragionamento sul tema esclusivamente al sistema positivo, per comprendere come si possa arrivare a dimostrare che, in base alla formula «la responsabilità penale è personale», si risponda «attraverso ogni partecipazione personale al fatto proprio»4.

    Se il principio costituzionale sembra poter suggerire una «personalizzazione» della responsabilità sostenibile anche da forme di partecipazione soggettiva diverse dal dolo e dalla colpa (appunto, «ogni partecipazione personale», come dice il Costituente) va, tuttavia, considerato come il sistema del codice sembra conoscere solo quelle, non concedendo espliciti spazi ulteriori sui quali agganciare, in modo costituzionalmente soddisfacente, la responsabilità penale.

    Da questa difficoltà d’ordine generale discendono, a mio avviso, taluni passaggi argomentativi, non sempre coerenti con altri, della sentenza n. 364 (e, per la verità, numerose letture della dottrina) che pongono a fondamento minimo della responsabilità penale, costituzionalmente orientata, l’istituto della colpa.

    Dal celebre obiter dictum, ricordo: «Collegando il primo al terzo comma dell’art. 27 Cost. agevolmente si scorge che, comunque la s’intenda la funzione rieducativa di quest’ultima, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica»;

    non avrebbe senso rieducare chi, non avendo agito quantomeno con colpa, non ha sicuramente bisogno di essere rieducato

    ;

    deve, pertanto, affermarsi che il fatto imputato, perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell’agente

    ;

    va, di volta in volta, a proposito delle diverse ipotesi criminose, stabilito quali sono gli elementi più significativi della fattispecie che non possono non essere “coperti” almeno dalla colpa dell’agente perché sia rispettata la parte del disposto di cui all’art. 27, 1º comma Cost., relativa al rapporto psichico tra soggetto e fatto

    5.

    Ancora sul punto, però con diversa (e più corretta) angolazione del tiro, si legge:

    Soltanto quando alla legge venisse assegnata esclusivamente una funzione deterrente [...] potrebbe configurarsi come legittima una responsabilità penale per fatti non riconducibili [...] alla predetta colpa dell’agente, nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento

    6.

    Si risponde penalmente soltanto per il fatto proprio, purché si precisi che per “fatto proprio” non si intende il fatto collegato al soggetto, all’azione dell’autore, dal nesso di causalità materiale [...], ma anche, e soprattutto, dal momento subiettivo, costituito, in presenza della prevedibilità ed evitabilità del risultato vietato, dalla “colpa” in senso stretto

    7.

    Insomma, la sentenza n. 364, se pure in certo qual modo rivoluzionaria e sicuramente storica, non sembra esente da incertezze nell’individuazione dello strumento normativo ordinario adatto a recuperare alla garanzia costituzionale le ipotesi di responsabilità oggettiva, muovendosi, come si è visto, con indifferenza tra la «colpa in senso stretto» e la «prevedibilità ed evitabilità dell’evento»; tra il tutto e la sua parte.

    Di questo dobbiamo ragionare.

    Non tanto perché gli stessi concetti sono ribaditi – com’è ben noto – dalla sentenza n. 1085 dello stesso anno8, ma perché la Corte Costituzionale torna a proporli, negli stessi termini, in una recente decisione9: «Il principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27, primo comma, Cost. [...] va inteso amplius, come principio della responsabilità per fatto proprio colpevole postulando, quindi, un “coefficiente di partecipazione psichica” del soggetto al fatto, rappresentato quanto meno dalla colpa [...]»; e, però, così proseguendo (in altro passo): «Il principio di colpevolezza [...] mira, [...], a garantire ai consociati libere scelte d’azione [...] sulla base di una valutazione anticipata (“calcolabilità”) delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, “calcolabilità” che verrebbe meno ove all’agente fossero addossati accadimenti estranei alla sua sfera di consapevole dominio, perché non solo non valutati né concretamente rappresentati, ma neppure prevedibili ed evitabili»10.

  3. – Confermata la ricorrente incertezza della Corte Costituzionale, la questione passa al giudice ordinario.

    Poiché il principio di personalità (responsabilità «almeno per colpa» ovvero «prevedibilità ed evitabilità per l’evento non voluto») costituisce non solo un limite per il legislatore, ma un criterio interpretativo per il giudice, che per suo mezzo realizza un’applicazione secundum Costitutionem delle fattispecie di versari in re illicita, val la pena prendere lo spunto dalla sentenza della Cassazione (n. 12129/08), che soggettivizza, ex art. 27 Cost. (senza far alcun accenno all’istituto della colpa, ma mirando diritto al canone di accertamento concreto della prevedibilità) per considerare ancora il contenuto reale del principio di per-Page 502sonalità, alla luce della costruzione dogmatica, da tutti condivisa, della colpa e dell’orientamento applicativo che la giurisprudenza – soprattutto di legittimità – tende ad assumere in materia.

    3.1. – Intendo dire che le pronunce della Corte Costituzionale sul tema, per la parte in cui fanno espresso riferimento alla colpa, recuperando per tale via la coerenza al sistema costituzionale delle varie ipotesi della responsabilità oggettiva, forzano – seppure per esigenze totalmente condivisibili – i caratteri strutturali dell’istituto, mentre più correttamente opera la Cassazione.

    Non si può non rimanere perplessi innanzi alla soluzione che sembra affidare alla colpa tout court – e dunque anche alla sua tipicità oggettiva – l’attuazione del principio di personalità nelle ipotesi di versari in re illicita e non accogliere, viceversa, con favore la decisione in commento della Cassazione che – senza equivoche sovrapposizioni di piani – lega, più direttamente e più correttamente, al canone della «prevedibilità in concreto» il conseguimento dell’obiettivo costituzionale.

    È di tutta evidenza, a mio avviso, che la tipicità oggettiva della colpa, costruita sulla violazione di regole cautelari il cui rispetto è doveroso e il correlato accertamento, attraverso un processo di astrazione disegnato sull’homo eiusdem professionis et condicionis, non si concilino con il previo svolgimento da parte dell’autore di una condotta penalmente illecita: mi chiedo, insomma, quale regola cautelare possa essere imposta, come doverosa, all’autore di un reato nello svolgimento della sua attività criminale (alias: è vietato percuotere, ma se si percuote bisogna farlo con cautela)11 e come si possa costruire il modello ideale di agente criminale a cui parametrare il comportamento dell’autore concreto.

    Non si dubita da parte di alcuno che la misura di diligenza richiesta si determini in base al punto di vista ex ante dell’uomo coscienzioso ed avveduto del circolo di rapporti cui appartiene l’agente12 (insomma, una specie di «buon padre di famiglia penalistico»). Infatti, radicato «il circolo di rapporti» in riconoscibili tipologie sociali, questo, quale punto di riferimento per accertare la misura della diligenza, fonda la tipicità colposa e consente, con l’adeguamento ai modelli comportamentali richiesti nel settore, la libertà d’azione del soggetto. «Con l’ingresso in un circolo di rapporti, si garantisce, per così dire, di essere in grado di riconoscere e affrontare i pericoli, secondo lo standard di diligenza del circolo»13.

    Inoltre, va ricordato, come «la personalizzazione del rimprovero per colpa dipenderà dall’elaborazione di regole di diligenza il più possibile “personalizzate”, ottenute cioè rinviando a “modelli” di sapere, capacità psicofisiche, attitudini a soppesare e fronteggiare i pericoli, etc. il più possibile aderenti alle caratteristiche sociali, professionali e individuali dell’agente a partire dalle sue personali conoscenze, ontologiche e nomologiche»14.

    Non mi sembra, quindi, di particolare utilità provare a costruire il modello dell’esperto o diligente delinquente ovvero dell’esperto o diligente contravventore15.

    3.2. – Insomma, per sostenere la tesi, basta soltanto richiamare le nozioni basilari, da tutti condivise, sull’essenza della colpa.

    Adopero, a bella posta, la didattica di chi – almeno per il trascorrere del tempo – è fuori dalla bagarre della disputa scientifica. Così ricordo che, con grande chiarezza, si spiegava come in quest’ottica bisognasse «considerare che nella vita sociale si verificano spesso situazioni nelle quali da una attività diretta ad uno scopo possono derivare conseguenze dannose per i terzi. L’esperienza comune o tecnica, cioè propria di tutti gli uomini o di una categoria di persone che esplicano una particolare attività, insegna che in...

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