Ripetibilità delle spese di assistenza per il risarcimento in caso di incidente stradale anche in regime di indennizzo diretto

AutoreAntonio Pietrini
CaricaPresidente ASAIS - Associazione per lo studio e l’analisi degli incidenti stradali
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Recentemente il Giudice di pace di Acerra, ha pronunciato una sentenza esemplare nella sua configurazione, sia per quanto attiene le risposte in termini di chiusura della vertenza, sia per quanto attiene le problematiche che tocca e, a mio parere in maniera ineccepibile, risolve.

Il primo problema che ci dobbiamo porre è quello della ragionevolezza dell’art. 149, D.L.vo n. 209/2005, secondo cui, in determinate situazioni, peraltro molto frequenti, il risarcimento deve essere richiesto ed ottenuto attraverso la propria Compagnia assicuratrice e quindi il risarcimento avviene da parte della Compagnia del non responsabile, per la quota di non responsabilità, e dell’art. 13, D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254 che prevede la stipulazione di una convenzione (c.d. Card) fra imprese assicuratrici per la gestione del risarcimento diretto.

Che si sia in presenza di un obbrobrio dal punto di vista giuridico è immediatamente evidente: sconvolge un principio cardine del diritto che è quello previsto dall’art. 2043 c.c. per cui chi causa un danno ingiusto è obbligato al suo risarcimento, ma soprattutto lo sconvolge senza apportare in realtà alcun beneficio a chi che sia ed anzi introducendo una enorme serie di problematiche aggiuntive, alcune delle quali realizzano vere e proprie conflittualità intrinseche. Basti pensare al fatto che, la compagnia assicuratrice, materialmente obbligata al risarcimento in nome e per conto di quella del responsabile, deve poi ottenere il «ristoro» per quanto pagato per conto terzi, per capire come questo meccanismo liquidativo inneschi un problema di difficilissima soluzione.

Di questo ha ampiamente discusso la Commissione reposta a definire tramite il regolamento (D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254) le modalità del recupero di quanto pagato per conto terzi, ma le soluzioni non potevano che essere quelle di una restituzione dell’intero importo pagato per ogni sinistro, o la restituzione di un importo forfettario per il numero di sinistri liquidati per conto terzi.

È chiaro che il primo metodo sarebbe stato così complesso da richiedere una vera e propria istruttoria da parte di chi è obbligato alla rivalsa e quindi tale da rendere del tutto nullo il meccanismo in quanto risulterebbe duplicato tutto l’iter istruttorio della pratica: da una parte dalla Compagnia tenuta al risarcimento del danno e dall’altra per l’analisi della congruità di tale risarcimento al fine di accertarne la legittimità della pretesa rivalsa. Senza contare la conflittualità tra Compagnie che così nascerebbe.

Il secondo metodo, l’unico che poteva essere accolto e che poi è divenuto effettivo attraverso il regolamento, era quello di considerare un rimborso del costo medio annuo dei sinistri per il numero di sinistri liquidati (art. 13 D.P.R. n. 254/06). Questo meccanismo ha in sé un aspetto deleterio: si può addirittura innescare un meccanismo di «guadagno» da quello che dovrebbe essere un semplice «ristoro».

Ma a questa problematica, già di per sé enorme, si aggiunge anche la domanda più banale: a che scopo?

Proprio per dare risposta a questo quesito, che altrimenti...

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