Sulla compatibilità tra la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale e la condizione di clandestinità dello straniero che si trovi irregolarmente in Italia

AutoreAlessandro Roiati
Pagine718-720

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La sentenza in epigrafe si segnala all'attenzione del lettore per la particolare rilevanza pratica che assume in relazione alla questione dell'applicabilità dell'affidamento in prova al servizio sociale - e più in generale delle misure alternative alla detenzione extra murarie - allo straniero che si trovi nel territorio italiano in condizioni di clandestinità.

Infatti la Suprema Corte sancisce il principio secondo cui l'illegittimità della permanenza nel territorio dello Stato dello straniero irregolare sarebbe oggettivamente ostativa alla concessione delle misure alternative extra murarie, a causa della radicale incompatibilità delle loro modalità esecutive con l'osservanza delle norme che disciplinano l'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dallo Stato di cittadini appartenenti a Paesi extracomunitari.

Per comprendere appieno la portata e le implicazioni di una conclusione del genere, appare opportuno premettere alla trattazione in oggetto un breve inquadramento storico e sistematico delle misure de quibus.

Con la legge di riforma dell'ordinamento penitenziario del 26 luglio 1975, n. 354, successivamente modificata mediante ulteriori e significativi interventi legislativi (tra cui in particolare la c.d. legge Gozzini n. 663 del 10 ottobre 1986), sono state introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento le «misura alternative alla pena detentiva», al fine di facilitare il reinserimento sociale del condannato e dare piena espressione al principio di cui all'art. 27, comma 3, Cost., secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato 1.

In particolare l'adozione delle misure alternative alla detenzione nell'ambito del nostro sistema sanzionatorio, è volta a diversificare effettivamente le modalità di esecuzione della pena irrogata dal giudice, superando la perversa logica della mera afflittività e della massimizzazione del malum poenae 2.

D'altronde la necessità di configurare un regime sanzionatorio differenziato in grado di agevolare, fin dove possibile, il recupero del delinquente, è derivata anche dall'acquisita consapevolezza di come la pena detentiva, soprattutto se di breve durata, risulti il più delle volte desocializzante e criminogena.

A questa riforma «costituzionalmente orientata» della fase esecutiva della pena, non ha fatto seguito però una puntuale revisione dell'apparato punitivo, che rimane ancora largamente improntato ai canoni della pena intesa in senso retributivo o in termini di mera prevenzione generale. Ne consegue una evidente discrasia sistematica, per cui le misure alternative, svuotate della loro funzione precipua in ragione della logica deflattiva, assumono spesso l'improbo compito di correggere gli eccessi punitivi delle previsioni edittali 3.

Ad ogni modo, nell'ambito delle misure alternative alla detenzione, l'affidamento in prova al servizio sociale svolge un ruolo preminente 4 soprattutto in ragione della sua intrinseca flessibilità poiché, da un lato il condannato resta libero, dall'altro rimane obbligato ad ottemperare a determinate prescrizioni imposte dal giudice e comunque sotto il costante controllo del personale specializzato dei servizi sociali.

Non a caso la dottrina individua proprio nell'affidamento in prova al servizio sociale, mutuato dall'istituto della probation anglosassone, il punto nodale della riforma penitenziaria, nonché un elemento sintomatico della «fuga dalla pena detentiva» 5, tanto da costituire in ultima analisi un eccezionale strumento di indulgenza in un sistema penale ancora asfittico e tutto incentrato sullo strumento carcerario. Si sottolinea inoltre come la fisionomia dell'affidamento in prova al servizio sociale sia paradigmatica dell'ormai quasi trentennale parabola dell'ordinamento penitenziario e sveli l'impossibilità di ricondurre la vicenda ad un comune denominatore; la differenziazione esasperata...

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