Osservazioni a prima lettura sulle innovazioni della legge in tema di adozione: verso una maggiore tutela ed un diritto del minore alla propria famiglia? Profili penalistici

AutoreCarlo Dell'Agli
Pagine871-876

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@1. Introduzione: una riforma con l'obiettivo e l'autentico bisogno di conseguire gli irrinunciabili aspetti della tutela del minore ed alcune carenze di continuità logica.

La legge del 28 marzo 2001 n. 149 (il commento della quale afferisce l'istituto dell'adozione nazionale) 1 segna - dopo un iter legislativo battezzato frettolosamente allo scopo di non rendere vano il nutrito, articolato lavoro legislativo ultimato dal Parlamento per l'imminente cessazione dell'attività delle Camere - il completamento di revisione e di regolamentazione sulla pregressa disciplina della adozione legge 4 maggio 1983, n. 184, avviato con l'adozione internazionale apportata dalla L. 31 dicembre 1998, n. 476 2 che ha rappresentato, appunto, una nuova realizzazione della stessa disciplina n. 184/83.

Con tale attuazione della novella adottata - come si può evincere dal cospicuo lavoro parlamentare - si è giunti definitivamente alla meta deliberante un testo che, se per certi aspetti presenta delle fattispecie con soluzioni degne di stima (l'electio prodromica del testo normativo, infatti, riflette le esigenze di totale apprezzamento, considerazione e tutela della persona) per altre manca quella formula d'intendere il tessuto normativo che non consente, per vero, di cogliere - malgrado l'atteso indiscutibile meticoloso criterio metodologico del lavoro compiuto - quelle attese anticipate novità: le nuove disposizioni sull'affidamento familiare nonché l'aumento delle pene pecuniarie che afferiscono i reati previsti e puniti ai sensi degli artt. 79 e ss.

Il disegno del legislatore, indubbiamente, scaturente prima facie da una unica preoccupazione e da una forte esigenza di travasare le situazioni di tipo personale connesse al diritto di famiglia, si è tradotto invece in una singolare remora realizzatesi, successivamente, nella formulazione ex novo di alcuni articoli dell'originario provvedimento legislativo (legge 184) senza, però, avervi immesso elemento innovativo alcuno per tentare, seppur minimamente, di dare corso ad un sollecito interrogativo del recupero di identità della tutela del minore.

Nel rito di nuovo conio, a ben guardare più in generale, ci si accorge che ripercorrendo l'intero excursus del testo, si può dedurre che nihil novi, rispetto alla previgente normativa, è mutato salvo che per la intitolazione della rubrica che da «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori» si è optati, in maniera significativa, a quella del «Diritto del minore ad una famiglia», e più tardi con varie combinazioni conseguenti rispetto al contenuto del Titolo I della legge n. 149/2001 è stato attribuito il titolo Diritto del minore alla propria famiglia 3.

Al di là di ogni possibile critica che verrà mossa alla novella, qualche elemento positivo - seppur sparuto e scevro di lusinghe - è emerso dalla stessa neo intitolazione che ne acclara la sussistenza di un impegno ad assicurare il recupero del favor minoris nonché una autentica attribuzione del pieno «diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia» 4.

Siffatta impostazione - che ben si coniuga con le continue trasformazioni di una società che impone determinati schemi alla «sacra» famiglia - non solo costituisce la necessità di una limpidezza dell'iter che consente di sopprimere l'indigenza genitoriale che, per la sua specifica peculiarità rappresentava una condizione preclusiva alla dichiarazione di adottabilità 5 ma, in particolare, l'alta affermazione del «Diritto del minore alla propria famiglia» come da rubrica del codice di cui al titolo I dell'art. 1, in apertura della legge 149/2001.

Altro aspetto innovativo dell'intervento legislativo, su cui soffermare la nostra attenzione, è costituito dalla omissione di riferimenti che non possono non essere tenuti in considerazione e che afferiscono la descrizione di determinate peculiarità di diritto intertemporale.

Di tale problematica vari gli ordini che ictu oculi si pongono: il primo è che le modifiche apportate, dalla discutibile formulazione della legge riformatrice, hanno consentito di rendere illeggibile - e a mio avviso modesto ciò si deve il motivo della posizione assunta dal Giudice delle leggi - le condizioni future di tutti i giudizi in corso a far data dall'entrata in vigore della legge 149/2001, sospesa dal D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito dalla legge 23 giugno 2001, n. 240 6; il secondo, la novità perciò che concerne il carattere processuale della legge in commento di cui all'art. 10 del punto 2 che «all'atto dell'apertura del procedimento [...] i genitori o, in mancanza, i parenti che abbiano rapporti significativi 7 con il minore, [...]» hanno facoltà di nominare un difensore di ufficio, ove gli stessi non vi abbiano provveduto per uno di fiducia.

@2. L'inadempimento del dovere di ufficio del pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio: ipotesi di reato per omessa segnalazione od omissione in atti di ufficio?

Il frettoloso intervento del legislatore (oramai una costante di un modus operandi di acclarata prerogativa che rispecchia il quadro normativo di un vacuo apparato politico-legislativo di un'italica realtà imperante nel nostro Paese), volto ad introdurre delle «novità» al sistema sanzionatorio regolato dagli artt. 70, 71 commi 1 e 6, e 73 comma 1 della legge n. 184, sostituiti dagli artt. 34, 35 e 36 della legge in commento si è, in concreto, realizzato - alla luce del contenuto esegetico testuale degli articoli in esame - in una singolare prospettiva ove all'impianto delle nuove fattispecie normative, prese singolarmente, manca ogni riferimento di specifica situazione di diritto transitorio, con-Page 872siderata e valorizzata invece dalla previgente disciplina del 1983.

Sulla base di tale presupposto, il Giudice delle leggi ha ritenuto evidentemente preferibile il ricorso alle modalità non applicative della normativa in ordine alle circostanze di diritto intertemporale - che solitamente vengono enucleate e sorrette alla ricorrenza della nascita e successivamente al battesimo di ogni riforma aventi per oggetto fatti giuridici in itinere - devolvendo il non facile ed arduo compito all'interprete per la relativa soluzione del problema ermeneutico.

Il richiamo all'ambito applicativo nonché ai criteri di valutazione, sulla delicatezza dell'analisi dispositiva della Novella, così come redatta dal legislatore, segna una autentica preclusione per l'interprete a comprendere le addotte motivazioni poste a sostegno di un inesistente discrimen fondato, appunto, sul discernimento di tali criteri valutativi che danno luogo, invero, ad una ratio non ben identificabile nella sua base strutturale, vuoi per carenza di chiarezza vuoi per il limite attribuito alla dettata formulazione.

Ciò, però, non deve indurre il commentatore a pensare di dover accertare la serietà o meno di tali decretate motivazioni, atteso le mere valutazioni esorbitanti dai suoi specifici compiti.

Nella disamina, dunque, dell'art. 70 novellato di cui al Titolo VI recante «Norme finali, penali e transitorie» così nella concezione disegnata dal legislatore, il supporto normativo - con riferimento alle figure del pubblico ufficiale e dell'incaricato di pubblico servizio - non doveva, più di ogni altra cosa, subire differimento alcuno a fortiori in forza della progettata riforma «dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» 8.

Né va dimenticato, che proprio il conseguimento di tale attuato fine, oltre che essere dettato da specifici propositi da parte del potere politico, muove anche dalla crescente propensione del giudice penale di avere, costantemente, sotto controllo le varie facoltà di scelte degli amministratori pubblici e dei loro comportamenti.

Il Conditor, con la legge n. 86/90 si è posto un'unica preoccupazione: la scelta prioritaria di sussumere - nell'ambito della stessa normativa - tali comportamenti degli amministratori ad un continuo controllo che si sostanzia quale risultato di una autentica opzione che si ispira unicamente ad una conseguenza razionale di portare, cioè, ad un alto grado di efficienza, quel pregresso blando controllo penale delle condotte di arricchimento senza giustificato motivo, di appropriazione indebita dei beni pubblici ed infine dei delitti di colui che abusa del proprio potere al fine di trarre vantaggi propri, consentendo quindi un più ampio ricorso alla trasparenza ed alla eliminazione degli inconvenienti sopra evidenziati.

In definitiva, sembra che il legislatore - con tale riforma - non si sia limitato, invero, di apportare correttivi all'impianto delle fattispecie punibili, ma abbia perseguito anche un altro obiettivo: modellare un nuovo concetto delle qualifiche di «pubblico ufficiale» e di «incaricato di pubblico servizio» allo scopo di garantire l'adeguata energia motoria indispensabile nella modalità operativa della legge sull'adozione 9.

Il restyiling della legge novellata, in realtà - con il rinvio al reato di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.) - che doveva costituire l'ampio corollario all'insegna della efficienza per reprimere i frequenti episodi (frutto di condotte illecite poste in essere proprio da soggetti che rivestono cariche pubbliche), rendere l'attività amministrativa più limpida ed infine, per i principi cui s'era ispirato, alla eliminazione di certi illiberali aspetti, si è letteralmente rivelato assai infelice incontrando anche difficoltà di consensi in dottrina 10.

È chiaro che i sostenitori (si allude a buona parte di schiera politica) della novella fossero più propensi a che lo stato di cose rimanesse su una posizione ferma, non circolante e quanto mai volutamente scevra di ogni capacità (rectius volontà) da cristallizzare qualsiasi intelligente indagine condotta con la dovuta sistematicità «così che il richiamo alla c.d. "questione morale", da un lato finiva coll'essere in posizione di antinomia con la sostanziale non volontà di ricercare rimedi a monte del problema, dall'altro correva...

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