Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere; uso legittimo delle armi e di altri mezzi di coazione fisica

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine283-295

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L'art. 49, primo comma, n. 1, del codice Zanardelli non prevedeva espressamente la causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, ma, solo, prevedeva l'adempimento del dovere («non è punibile colui che ha commesso il fatto) per disposizione di legge, o per ordine, che era obbligato ad eseguire, dell'Autorità competente».

L'art. 32 del codice svizzero accorpa tutte le cause di giustificazione, che non siano l'adempimento di un dovere, nell'espressione «ovvero che la legge dichiara permesso o non punibile», salva la disciplina particolare di due cause di giustificazione, la difesa legittima e lo stato di necessità (artt. 33 e 34).

Nel nostro codice l'esercizio di un diritto è scriminante prevista, ma non disciplinata, né definita (è contemplata, all'art. 4 della legge 24 novembre 1989, n. 681, sub specie di «esercizio di una facoltà legittima»).

L'art. 51 c.p., al primo comma, recita «(Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere). L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità».

I tre successivi commi dell'art. 51 c.p. sono dedicati alla disciplina dell'adempimento di un dovere.

Ci si scuserà, pertanto, se, contro la lettera della legge, inizieremo con il trattare di tale causa di giustificazione.

Preliminarmente, ci tocca osservare che la portata ipetrofica assegnata al consenso dell'avente diritto rischia di togliere molto spazio alla scriminante dell'adempimento di un dovere.

Se l'attività medico-chirurgica dovesse trovare la propria matrice scriminante nel consenso del paziente, se un contratto «di danneggiamento» dovesse fare altrettanto rispetto al «consenso» dei contraenti, avremmo il risultato di rendere, o sempre revocabile il consenso civilistico, attesa l'essenziale revocabilità del consenso ex art. 50 c.p., quando si tratti di un'attività astrattamente costitutiva di reato, o di rendere, attraverso il modulo civilistico, irrevocabile un negozio di liceizzazione di fatti che, altrimenti, costituirebbero reato. E non può darsi tanto!

Allora, l'art. 51 c.p., nella parte relativa all'adempimento di un dovere, è da giudicare recettivo anche della fonte immediatamente desumibile dalla portata imperativa dell'art. 1372 c.c. (CONTENTO).

Il contratto ha forza di legge «tra le parti». Ma questo vuol dire solo che rispetto ai contraenti colui che non partecipa al negozio è da qualificare terzo; non può voler dire che la forza del contratto non è capace di fondare la «norma giuridica» necessaria e sufficiente a scriminare ex art. 51 c.p., in parte qua.

Contratto

è anche l'attività di cui agli artt. 2028 e ss. c.c. (MICCIO), poiché essa genera un dovere (non un diritto, come vorrebbe il GROSSO) di attivarsi, riconosciuto dalla legge.

Sarà bene che operiamo una salutare precisazione: l'ampliamento, necessario, dell'adempimento di un dovere, a giusto discapito dell'erronea applicazione di altre scriminanti, quali quelle di cui agli artt. 50, o 54, c.p., non deve «scandalizzare» per portata, riguardando i fatti astrattamente costitutivi di reato in un ambito personale ben limitato.

Esemplifichiamo: la scriminante de qua si applica riguardo alla persona che riceve direttive di danneggiamento nell'esecuzione di un contratto d'opera, o di appalto; tra le persone contraenti ex artt. 1372, 2229 e ss. c.c., con riguardo all'attività medico-chirurgica (ché, se il fatto è commesso in ambito non privatistico, la riconducibilità della situazione alla scriminante dell'adempimento di un dovere è pacifica).

Se si forzi la serratura della casa dell'amico perché essa sta andando a fuoco, si instaurerà una situazione di gestione di affari, che obbligherà a commettere il fatto astrattamente riconducibile al paradigma criminoso dell'art. 614, primo e quarto comma, c.p., ma non si potrà accampare tale dovere nei confronti di un'altra persona (che non è titolare dell'actio negotiorum gestorum directa) nella casa della quale ci si volesse introdurre per prelevare degli attrezzi con cui poter estinguere l'incendio (GROSSO). In tal caso, si risponderebbe di furto ex artt. 624 bis, primo e terzo comma; 625, primo comma, n. 2, c.p.

Non si potrebbe accampare la scriminante dell'adempimento di un dovere, attesi i limiti di legittimazione, attiva e passiva, posti dalla legge civile, né lo stato di necessità, non versandosi in situazioni di pericolo per la persona, come si esige ex art. 54 c.p. Ancora, nota il VASSALLI che non potrebbe applicarsi la scriminante dello stato di necessità anche per un'altra ragione, cioè quella consistente nel limite della situazione di pericolo volontariamente (anche colposamente: VANNINI, PANNAIN) creata dal soccorrendo.

Non si tratta di esercizio di un diritto, poiché non ci si trova ad esercitare una facoltà (LEONE M.): si è obbligati ad agire secondo le regole dettate dagli artt. 2028 e ss. c.c.

Il dovere cui fa riferimento l'art. 51 c.p. può derivare da una norma giuridica o da un ordine legittimo dell'Autorità.

Abbiamo già espresso l'opinione che, ai fini indicati nell'art. 51 c.p., «norma giuridica» debba ritenersi anche la disciplina vincolante del contratto: si tratta di norma, e non di mera disposizione, poiché si deve guardare, in via sistematico-ricostruttiva, anche alle sanzioni per l'inottemperanza al disposto dell'art. 1372 c.c. (artt. 1218 e ss. c.c.); ai contratti in senso tradizionale vanno accostate delle figure di obligationes «da causa non convenzionale» (GUARINO), secondo la famosa partizione gaiana. Ed il caso che interessa è quello di cui agli artt. 2028 e ss. c.c. (MICCIO).

Ci si chiede come ci si debba orientare qualora la norma giuridica non si risolva in una legge, od in un atto avente forza di legge, sibbene in un regolamento (DELITALA, MANTOVANI, FIANDACA, MUSCO, CONTENTO). Si risponde nel senso dell'applicabilità dell'art. 51 c.p., e non sapremmo, né vorremmo, trovare alcuna obiezione alla soluzione del problema in tali sensi.

Il regolamento è atto amministrativo generale (GIANNINI), ed ha, quindi, sicuramente sostanza normativa: invero, esso ha certamente dignità di riempimento del precetto nell'ambito della norma penale in bianco; d'altra parte, si impone l'indicata soluzione - che «norma giuridica» sia anche il regolamento - sol che si rifletta che la fonte dell'adempimento di un dovere può essere anche unPage 284 provvedimento amministrativo, senza sostanza normativa, che è l'ordine dell'Autorità, provvedimento amministrativo «ablatorio» (GIANNINI).

Attesa la «minor forza» del provvedimento ablatorio «particolare», il legislatore ha voluto usare l'endiade «ordine legittimo» (CONTENTO).

L'ordinamento circonda di una serie notevole di tutele colui che debba eseguire ordini che ritenga illegittimi, tutele che divengono massime qualora l'esecuzione dell'ordine che si ritenga illegittimo possa esporre a responsabilità penali in caso di ottemperanza, salvo il caso dell'ordine illegittimo insindacabile; quindi, in tali casi, il principio di correntezza della vita amministrativa e di immediata efficacia del provvedimento emanato (GIANNINI) trova grossi limiti nelle esigenze di tutela suddette.

Ma un regolamento, atto amministrativo generale, non conosce le limitazioni connesse agli ordini: il regolamento esige immediata ottemperanza.

Tanto, però, non ci appare permettere a certa dottrina (FIANDACA, MUSCO, MANTOVANI) di asserire che la riserva di legge non vale per le cause di giustificazione: per la verità, non è il regolamento a fondare la causa di giustificazione nel caso che ci interessa, ma una legge penale, cioè l'art. 51 c.p., in parte qua (PANNAIN, PAGLIARO). Anzi, di più, mentre si conosce il fenomeno della norma penale in bianco (la norma è formata necessariamente da precetto e sanzione: TESAURO, PANNAIN), e, quindi, un caso di riserva relativa di legge, non si dà il fenomeno della causa di giustificazione, preveduta da una disposizione non normativa (PANNAIN), e pure avendosi, comunque, una «legge penale» (PANNAIN, PAGLIARO), con rinvio ad un atto non avente forza di legge per l'integrazione del contenuto della stessa. Nell'ambito dell'art. 51 c.p., sub specie di adempimento di un dovere, non v'è riserva, ma coesistenza inseparabile, di struttura e di effetti, tra l'effetto giustificante e quello della vita delle norme e dei provvedimenti.

Si noti, ancora, che i provvedimenti ablatori, non essendo dotati di sostanza normativa, non potrebbero, «per sè ipsi», concorrere a fondare una «disposizione penale in bianco» (PANNAIN).

Nell'ottica denunciata dai suddetti autori, la scriminante sarebbe, poi, affetta da vizio, genetico, di illegittimità costituzionale, in quanto l'efficacia scriminante sarebbe demandata, tutta, agli atti di riempimento, secondo la costante interpretazione, in tema di norma penale in bianco, segnata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (FIORE).

Quid juris se la legge, o l'atto avente forza di legge, sia dichiarato incostituzionale, ed, in ottemperanza alle disposizioni contenute nello stesso, fosse stato commesso un fatto di reato?

La dottrina (DELITALA, FIANDACA, MUSCO, PANNAIN) giudica comunque applicabile la scriminante. Ed ha ragione: altro è la validità della legge, ben altra cosa la sua, immediata, esecutorietà (DELITALA); al tempo in cui era vigente la legge imponeva la commissione del fatto preveduto dalla legge come reato, e la legge richiede immediata ottemperanza.

L'annullamento della legge (o dell'atto avente forza di legge) non può annullare la liceità del comportamento tenuto in ottemperanza ad una legge che quel comportamento imponeva.

Il ragionamento deve essere uguale ed opposto a quello che conduce la dottrina ad affermare la sussistenza del delitto di calunnia (così, anche, la giurisprudenza costante) nel caso che, successivamente alla commissione della calunnia, il reato oggetto della incolpazione sia abrogato, od annullato dalla Corte costituzionale.

Nell'impossibilità di...

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