Diritti di accesso e livelli essenziali delle prestazioni

AutoreEnrico Carloni
CaricaProfessore associato di Diritto amministrativo nella facoltà di Scienze politiche dell'Università di Perugia.
Pagine45-56

Page 45

@1. Premessa: Diritto E "Diritti" Di Accesso

La riflessione avviata intorno alle problematiche della trasparenza amministrativa e degli strumenti atti a garantirla si è incentrata, come noto, intorno ad uno specifico istituto di diritto positivo, il diritto di accesso ai documenti amministrativi previsto dal Capo V della l. n. 241 del 19901. L'importanza del diritto di accesso, sia in termini di "cultura amministrativa" che per il suo carattere espressamente generale, la sua compiuta (seppur non per questo meno problematica) disciplina, hanno fatto sì che tra questo modello e le altre e diverse ipotesi di accesso conoscitivo ad informazioni pubbliche si ponesse una relazione di integrazione e prevalenza. La legge generale è stata, in altri termini, utilizzata non solo per integrare le lacune delle discipline speciali, ma anche per rileggerle ed armonizzare le seconde con la prima2.

Un esito, questo, che è evidente nel rapporto tra la legge generale e la coeva legge sulle autonomie, e quindi avendo attenzione alla disciplina dell'accesso alle informazioni locali. Disposizioni distanti quanto a profili soggettivi ed oggettivi, se è vero che la legge n. 142, e quindi il successivo Testo unico, disciplinano un'ipotesi di accesso generalizzato, legato unicamente al requisito della cittadinanza locale, e che anche la "materia prima" cui acce- Page 46 dere è diversa, trattandosi di informazioni e non solo di documenti. Ma ad esiti non diversi, sia pure qui forse più scontati, ha condotto anche lo sviluppo della riflessione intorno al diritto di accesso "interno", con finalità partecipative, previsto dall'art. 10 della l. n. 241 del 1990.

Si pensi, in questo senso, alle previsioni in materia di accesso contenute nella legge sulle autonomie, che, come è stato affermato dalla giurisprudenza, vanno lette in modo coordinato con la disciplina generale3: una lettura, sia detto, non priva di dissonanze, più che di sintonie4. Quale strumento principe della trasparenza amministrativa, il diritto di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dalla l. n. 241 del 1990, si è posto, quindi, sin dall'origine quale punto di riferimento fondamentale per le altre discipline speciali, orientate ad analoghe finalità ma meno compiutamente sviluppate dal legislatore.

A fronte di una tendenza all'omologazione delle diverse fattispecie di accesso, assistiamo peraltro ad una moltiplicazione delle ipotesi previste dal legislatore5, che prevede una facoltà di accesso nei confronti di elementi conoscitivi detenuti da amministrazioni pubbliche in casi diversi e tra loro difficilmente accomunabili6. Viene da chiedersi, allora, fino a che punto questi fenomeni, e la relativa regolazione, possano essere ricondotti nell'alveo del modello generale, della l. n. 241 del 1990, e quanto questa operazione divenga sostenibile nel momento in cui, da un lato, il legislatore pare orientato a "specializzare" il diritto di accesso ai documenti (quale strumento di difesa del singolo) e, dall'altro, il sistema costituzionale richiede una specifica giustifica- Page 47 zione per l'intervento normativo statale (un titolo di legittimazione che, verosimilmente, difficilmente potrà reggere ipotesi tra loro così distanti)7.

Il problema pare aggravarsi, e non ridursi, in seguito alla riforma della l. n. 241 operata dalla l. n. 15 del 20058, che ha operato un riorientamento del diritto di accesso, da strumento di trasparenza a strumento di tutela individuale (e solo secondariamente meccanismo idoneo ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa)9. Perché se si tratta di un mezzo di tutela, a salvaguardia di interessi diretti, concreti ed attuali, collegati ad uno specifico documento, con esclusione di controlli generalizzati e di accesso ad informazioni "non documentali", diviene sempre più complesso utilizzare queste disposizioni per integrare una normativa che mantiene diverse, e più ampie, finalità come è per la disciplina dell'informazione locale10.

La questione è doppiamente interessante, perché qui la complessa vicenda del rapporto tra una disciplina generale (ma con finalità circoscritte) e una disciplina speciale (ma con finalità più ampie), si intreccia con l'acquisita centralità della dimensione locale di amministrazione (la funzione amministrati- Page 48 va si pone di norma a livello locale, tanto che potrebbe dirsi che si inverte il rapporto di specialità) e con la frammentazione del quadro delle competenze legislative e la connessa perdita di competenza generale dello Stato.

@2. Quale Fondamento Costituzionale Per La Disciplina Statale Del-L'attività Amministrativa

Il tema è di una certa complessità, così come è difficile sintetizzare in poche righe un dibattito dottrinale particolarmente ricco: la riforma del Titolo V impone, in ogni caso, di ricercare titoli di legittimazione ad un intervento legislativo statale che perde i caratteri della generalità e della superiorità, cosicché il sistema italiano deve ricollocarsi su un nuovo e diverso equilibrio tra le esigenze di unità ed uguaglianza e quelle di autonomia e differenza11.

Proiettando questa problematica sull'attività amministrativa, e la sua disciplina, la questione diviene analizzabile prendendo le mosse da due affermazioni.

La prima: non esiste un principio generale che giustifica un intervento statale in assenza di uno specifico titolo di legittimazione da rinvenirsi nel testo costituzionale. Un'implicazione (non sempre pacifica) o corollario, di questa affermazione, è il fatto che non sia necessariamente la sola legge statale a poter tradurre i principi costituzionali, come ben può ricavarsi già dal primo comma dell'art. 117, e da questo la problematica ammissibilità di teorie che vedono la normativa statale sull'attività amministrativa quale norma interposta12 che attua l'art. 97 della Costituzione. È vero che molti principi sull'attività amministrativa di matrice giurisprudenziale sono di diretta derivazione costituzionale, ma se questo è vero, allora il legislatore deve limitarsi a "codificarli"13: questo, però, escluderebbe una capacità legislativa di riforma dell'amministrazione, ed è quindi un esito non pienamente appagante, perché in nome dell'unitarietà ed uniformità comportereb- Page 49 be una "pietrificazione" e finirebbe per spostare sul giudice, togliendolo al Parlamento, il compito e l'onere dell'innovazione dell'azione amministrativa.

La seconda: non esiste una voce che, facendovi riferimento, ricomprenda la disciplina generale dell'attività amministrativa ed è quindi necessario procedere "provando e riprovando"14 alla ricerca di un titolo di legittimazione indagando, in particolare, le voci contenute nel riformato art. 117 della Costituzione. Non è, perciò, all'attività amministrativa nel suo complesso, ma alle singole previsioni contenute nella legge n. 241 o a specifici istituti che occorre fare riferimento, perché in assenza di una competenza generale sull'attività singole previsioni potranno essere rette da titoli di legittimazione diversi (tra di loro), di diversa natura (esclusiva o concorrente), variamente in grado di condizionare le diverse amministrazioni (statali, regionali e locali).

Le ipotesi dottrinali riguardo alla risposta da dare, in questo contesto, alla questione delle "materie" idonee a giustificare un intervento statale visto come necessario hanno condotto peraltro ad approdi diversi, pur concentrandosi su alcuni elementi comuni. È parsa da subito evidente, ad esempio, la rilevanza delle competenze in materia di "giustizia amministrativa" e di "livelli essenziali delle prestazioni", come idonee a legittimare una parte non secondaria della disciplina, statale ma riferibile a tutte le pubbliche amministrazioni, dell'azione amministrativa15. Si noti, peraltro, che dubbi possono legittimamente sorgere anche una volta compiutamente individuate le materie ed i campi di intervento statale: al di fuori di questi, infatti, la competenza è comunque regionale (dal momento che è necessaria una legge, che se non è statale deve per forza essere regionale) o si apre uno spazio rilevante (e se sì quanto) se non esclusivo alla autonoma disciplina locale? Ad anni di distanza dalla riforma del Titolo V non tutte queste domande sembrano aver trovato una completa risposta, e la l. n. 15 Page 50 del 2005 nel modificare la l. n. 241 ha fornito una possibile soluzione ad alcune questioni, ma così facendo ha finito per sollevarne di nuove.

@3. La Disciplina Dell'attività Amministrativa Alla Luce Della Rifor-Ma Della Legge N. 241 Del 1990

In questo quadro, la l. n. 241 così come novellata, individua una pluralità di titoli di intervento legislativo, che sono dati dalla competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni e questo con riferimento al diritto di accesso (art. 22, co. 2)16, nonché dalla competenza in materia di giustizia amministrativa lasciando però all'interprete l'individuazione in concreto delle previsioni a contenuto "giustiziale"17. Il legislatore, peraltro, non rinuncia al proprio tradizionale compito di interprete della Costituzione: un interprete privilegiato, anche se non più esclusivo, che può sviluppare le norme costituzionali in "principi" definiti per via legislativa e come tali in grado di imporsi alle discipline autonome, di Regioni ed enti locali18.

Qui, in effetti, il sistema...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT