Abolizione dell'ergastolo e criminalizzazione delle persone giuridiche: I due passi falsi che il legislatore non deve fare

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine223-227

Page 223

@1. Ergastolo: suo significato etimologico e profilo storico-legislativo.

Di seguito alla pubblicazione del testo del Progetto preliminare di riforma (o disfatta?) della parte generale del codice penale elaborato dalla Commissione presieduta da Carlo Federico Grosso, l'attenzione particolare, che ha subito suscitato stupore e disappunto, fu rivolta alla parte in cui veniva confermata l'«abolizione dell'ergastolo» che verrebbe, a sua volta, sostituita con una c.d. «reclusione speciale» da 25 a 30 anni!

Per la verità non riusciamo a comprendere il significato di «speciale» dato alla reclusione de qua, in quanto ciò fa presumere la esistenza della «reclusione ordinaria»! e quindi, quale la differenza o divergenza?

Trattasi di un escamotage legislativo (e ve ne sono tanti nel Progetto) del tutto negativo. Tutto ciò, secondo il legislatore, sarebbe in piena armonia (?) con i principi ispiratori della c.d. «riforma» ed in virtù dei quali l'utilizzazione del carcere deve costituire l'extrema ratio e le «pene detentive devono essere meno elevate» di quelle vigenti. Questo è, in sintesi, il quadro drammatico dell'odierna «riforma» che ha già riposto nell'archivio delle anticaglie giuridiche «l'ergastolo». Riteniamo utile ed opportuno soffermarci, anzitutto, sul significato etimologico della parola «ergastolo» e poscia delinearne un profilo storico-legislativo. Dando uno sguardo all'antichità è dato constatare che in Grecia la parola ergasterion fu usata come sinonimo di «officina», mentre a Roma per ergastulum venne denominato un edificio sotterraneo in cui abitavano gli schiavi oppure i condannati adibiti a vari lavori. Or la problematica concernente il mantenimento o meno dell'ergastolo ha interessato parecchi scrittori alcuni dei quali, costituiscono però la minoranza, si sono espressi contro la durata perpetua dell'«ergastolo», quale pena carceraria, mentre altri, che costituiscono, poi, la prevalente maggioranza, si sono schierati per il mantenimento di tale pena. Se si dà uno sguardo ai diversi codici di vari Stati è dato constatare che in prevalenza essi hanno incluso nei loro codici l'«ergastolo» tra le pene in essi previste. Il Codice delle Due Sicilie, infatti, del 1819 lo previde nell'art. 37, quale reclusione perpetua da scontarsi in un forte dell'isola. Ergastolo era pure, per il codice penale toscano del 1853, la pena carceraria perpetua, vigente sino all'unificazione legislativa (artt. 13 e 15, decreto 10 gennaio 1860). Per il codice penale estense del 1855 (artt. 10 e 15) l'ergastolo era la pena carceraria perpetua e temporanea; mentre il codice penale parmense del 1820 prevedeva anche i lavori forzati a vita (art. 17) e la stessa cosa è a dirsi per il codice penale sardo del 1859, che venne poi esteso anche alle province meridionali il 17 febbraio 1861 e vigente sino alla unificazione legislativa (artt. 13, 16, 119 e 121); il Regolamento pontificio del 1832 con l'art. 50 statuiva la galera a vita; mentre il codice penale austriaco del 1852 per il Lombardo-Veneto con gli artt. 16, 18 e 24 statuiva il carcere duro, in perpetuo. Quindi in tutti i codici elencati la pena carceraria perpetua seguiva, nella scala penale, alla pena di morte. Nei lavori preparatori del codice unico per il Regno d'Italia del 30 giugno 1889, c.d. codice Zanardelli, vigente sino al 1° luglio 1931, vi furono lunghe ed interminabili discussioni sul mantenimento dell'«ergastolo» che lo si fece seguire alla pena di morte oppure aggiungendovi altra pena carceraria perpetua, come i lavori forzati a vita, oppure portandolo solo come pena massima per i delitti nel suo carattere essenziale di perpetuità. Per l'attuale codice penale italiano (19 ottobre 1930) c.d. codice Rocco la pena dell'ergastolo, caratterizzata dalla sua perpetuità, rappresentava la seconda fra le pene principali stabilite per i delitti, cioè dopo la pena di morte (art. 17, cpv. n. 1, c.p., abrogato dall'art. 1 D.L.vo 10 agosto 1944, n. 224 ed in sua vece si applicava la pena dell'ergastolo, art. 22 c.p.).

I criteri dettati in tema di espiazione di detta pena erano molto rigorosi e la loro asprezza venne poi mitigata dalla L. 25 novembre 1962, n. 1634; pena che, ricorrendone i presupposti e le condizioni (circostanza attenuante, art. 65 c.p.), veniva sostituita con la reclusione da 20 a 24 anni ed ove ricorrevano più circostanze attenuanti essa subiva ulteriori diminuzioni rispettando, però, la soglia degli anni 10 (art. 67 c.p.). Uno spiraglio, poi, restava aperto per il condannato all'ergastolo, in virtù dell'art. 176, comma 3, c.p., che prevede la «liberazione condizionale del condannato ove lo stesso avesse scontato ventisei anni di pena e subordinata all'adempimento di quanto prescritto nel comma 4 del cit. art.

@2. La lenta agonia del codice penale in fase di «riforma».

È di tutta evidenza che da oltre un quarantennio il codice Rocco è stato fatto oggetto di numerosi attacchi mirati tutti alla lenta e continua demolizione della sua solida ed armonica strutturazione ed a cui dava il suo valido sostegno l'abrogato codice di rito e ciò sino alla entrata in vigore del codice di rito del 1988 i cui nefasti riflessi hanno cercato di minare, via via e lentamente, le fondamenta di detto codice penale che già erano state scosse, però in maniera non grave, dalla depenalizzazione di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, nonché dalle varie modifiche apportate dalle leggi «Gozzini, Simeone», etc. e poscia, in maniera gravissima, dal recentissimo D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507 riguardante la depenalizzazione dei reati minori e la riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della L. 25 giugno 1999, n. 205, in vigore dal 15 gennaio 2000, mentre il c.d. «colpo di grazia», gli verrà inferto dalla c.d. «riforma», però, in peius, per il suo «lassismo», consistente nella perdita di rigore sul piano sanzionatorio del nuovo codice penale, ormai in dirittura di «arrivo», quale «Messia» per i criminali ordinari, a somiglianza di un «Babbo Natale» carico di promesse, di premi e doni speciali e preziosi, anche perché per tutti coloro, vigente lo stesso, che delinquono il «carcere» diventerà un «miraggio» e giammai una realtà, specie per tutti quei reati meno gravi, in quanto il «carcere» è stato qualificato come extrema ratio per i reati gravissimi, mentre gli altri fruiranno di facilitazioni ed agevolazioni quali «la detenzione domiciliare», oppure la sanzione «lavorativa», etc. Un codice riformato la cui impalcatura,Page 224 stando alla Relazione, si presenta traballante, perché poggiata su di un terreno friabile e sismico pronta a crollare ad una minima scossa. Infatti è dato rilevare, ad una prima lettura della Relazione, che i criteri adottati sia in tema di «tentativo», che del «dolo» e della «colpa», nelle loro varie distinzioni e quali presupposti indispensabili per l'affermazione della responsabilità penale, non sono in grado di eliminare tutte le problematiche sorte nella vigenza del codice attuale, anzi sono state rese molto più complicate e lontane da una definitiva chiarificazione sotto il profilo tecnico-giuridico.

Abbiamo voluto fare qui soltanto un cenno ad alcuni punti mentre ci riserviamo di tornare sull'argomento non appena sarà varato questo nuovo codice penale. Or se è vero che...

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