Sentenza nº 13 da Constitutional Court (Italy), 20 Gennaio 2022

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione20 Gennaio 2022
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 13 del 2022 SENTENZA N. 13

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35-bis, comma 13, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato), come inserito dall’art. 6, comma 1, lettera g), del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 2017, n. 46, promosso dalla Corte di cassazione, sezione terza civile, nel procedimento vertente tra M. A. M. e il Ministero dell’interno, con ordinanza del 23 giugno 2021, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 giugno 2021, reg. ord. n. 137 del 2021, la Corte di cassazione, sezione terza civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-bis, comma 13, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) – come inserito dall’art. 6, comma 1, lettera g), del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 2017, n. 46 –, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, agli artt. 46, 18 e 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nonché agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (mentre l’ulteriore indicazione anche dell’art. 7 della Convenzione – Nulla poena sine lege – è chiaramente dovuta a un refuso grafico e quindi non va considerata).

    La Corte rimettente riferisce, in punto di fatto e di rilevanza, che, nel giudizio di cassazione di un decreto che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale di un richiedente asilo proposta in primo grado, il Collegio aveva rilevato, in limine litis, la mancanza della certificazione della data di rilascio della procura speciale al difensore. In tale situazione, ai sensi del sesto periodo della norma censurata – secondo cui «[l]a procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data del rilascio in suo favore della procura medesima» – per come interpretata nel diritto vivente (e, in particolare, dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 1° giugno 2021, n. 15177), dovrebbe dichiarare l’inammissibilità del ricorso, in mancanza di una specifica certificazione della data da parte dell’avvocato.

    La Corte rimettente assume, in primo luogo, un’incompatibilità della disposizione indubbiata con l’art. 3 Cost., in quanto la stessa sarebbe affetta da irragionevolezza e illogicità intrinseca. Invero, lo scopo della disposizione, da individuarsi nella garanzia che il richiedente sia ancora presente sul territorio dello Stato e quindi abbia un effettivo interesse a una decisione sul ricorso, avrebbe dovuto essere perseguito con una norma più adeguata, volta, ad esempio, ad attestare la presenza del ricorrente in Italia a ridosso dell’udienza nel procedimento di legittimità che talora è celebrata anche dopo qualche anno dalla proposizione del ricorso.

    Nell’impostazione della Corte rimettente l’irragionevolezza intrinseca della previsione censurata in relazione allo scopo perseguito renderebbe privo di una valida ragione giustificativa il trattamento differenziato, rispetto all’ulteriore requisito imposto a pena di inammissibilità per la procura alle liti, tra cittadini italiani e richiedenti protezione internazionale nonché tra questi ultimi e gli altri stranieri. Tale trattamento differenziato – che ridonderebbe anche in una discriminazione ex art. 14 CEDU – potrebbe determinare una violazione del principio di eguaglianza. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 186 del 2020), il riferimento letterale ai «cittadini» contenuto nell’art. 3 Cost. non osta all’applicazione di tale principio anche agli stranieri, specie ove vengano in rilievo diritti fondamentali, come il diritto d’asilo tutelato dall’art. 10, terzo comma, Cost. La norma censurata, come intesa dal diritto vivente, porrebbe dubbi di legittimità costituzionale in riferimento al principio di uguaglianza e al diritto di difesa laddove introduce un regime processuale peggiorativo solo per una determinata categoria di stranieri, anche a fronte di situazioni omogenee.

    La norma appare, inoltre, alla Corte rimettente frutto di un mancato coordinamento con la disposizione in tema di sospensione degli effetti del decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale che se, in origine, si estendeva automaticamente all’intero giudizio, sino al passaggio in giudicato, oggi si arresta, ai sensi del comma 13, terzo periodo, del predetto art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, quando, con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato in primo grado. In tale contesto normativo, infatti, l’imposizione al richiedente asilo di una presenza effettiva nel territorio dello Stato ai fini del conferimento della procura speciale alle liti dopo l’emanazione del provvedimento da impugnare si tradurrebbe in un sostanziale impedimento alla proposizione dell’unico rimedio esistente, ossia il ricorso per cassazione. Potrebbe essere così violato il diritto fondamentale del ricorrente a una tutela giurisdizionale effettiva, contemplato tanto dagli artt. 24 e 111 Cost., quanto, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., dall’art. 47 CDFUE e dagli artt. 6 e 13 CEDU.

    Rileva ancora il giudice a quo che la disposizione censurata, nel porre un requisito ulteriore a pena di inammissibilità per i soli ricorsi per cassazione proposti dai richiedenti protezione internazionale, potrebbe porsi in contrasto, inoltre, con l’art. 46, paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE, che, ai fini della rinuncia alla domanda proposta dallo straniero, richiede una esplicita normativa che non è stata introdotta nel nostro ordinamento, e, più in generale, con l’art. 47 CDFUE, in virtù del quale, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’autonomia processuale degli Stati membri trova un limite nel rispetto dei criteri di equivalenza e di effettività della tutela.

    Nella prospettazione della Corte rimettente l’art. 35-bis, comma 13, del d.lgs. n. 25 del 2008, laddove introduce l’ulteriore requisito formale della certificazione della data della procura rilasciata per i soli ricorsi per cassazione in materia di protezione internazionale, sarebbe suscettibile di violare il predetto canone di equivalenza in quanto il legislatore non ha contemplato tale requisito in altri procedimenti, da ritenersi omogenei in base ai principi espressi nella giurisprudenza europea, attributivi di status in favore di cittadini stranieri, quali, ad esempio, quello di riconoscimento dello status di apolide e quello volto all’ottenimento della protezione umanitaria (quest’ultimo in base alla normativa applicabile ratione temporis).

    Sarebbe peraltro sproporzionata la sanzione dell’inammissibilità che la norma censurata prevede rispetto all’inosservanza di un mero requisito formale, in un procedimento che, in quanto già “mutilato” di un riesame nel merito attraverso rimedi quali l’appello o il reclamo camerale, finirebbe per ledere un diritto fondamentale tutelato espressamente dall’art. 10, terzo comma, Cost.

    Né alcuna rilevanza, ad avviso della Corte rimettente, potrebbe assumere, per giustificare una disposizione come quella espressa dal comma 13 dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, un preteso «malcostume» di alcuni avvocati nel senso di proporre impugnazioni sempre e comunque, anche se manifestamente infondate, al solo fine di ottenere la liquidazione dei compensi, conseguente alla frequente ammissione dei ricorrenti al patrocinio a spese dello Stato, in quanto eventuali condotte contrarie agli obblighi di lealtà e probità e deontologici posti a carico del difensore, se accertate, potrebbero e dovrebbero essere sanzionate sul piano disciplinare dai Consigli degli ordini.

  2. – Con atto del 12 ottobre 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei...

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