Sentenza nº 186 da Constitutional Court (Italy), 31 Luglio 2020

Data di Resoluzione31 Luglio 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 186

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, promossi dal Tribunale ordinario di Milano, prima sezione civile, con ordinanza del 1° agosto 2019, dal Tribunale ordinario di Ancona, prima sezione civile, con ordinanza del 29 luglio 2019 e dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione civile feriale, con due ordinanze del 9 agosto 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 145, 153, 158 e 159 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 39, 40 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione dei signori A. H. e A. S., delle associazioni ASGI-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e Avvocati per Niente Onlus, del Comune di Milano, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio dell’8 luglio 2020 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Valerio Onida per A. H., Alberto Guariso per A. H. e altri, Antonello Mandarano per il Comune di Milano, Paolo Cognini per A. S. e gli avvocati dello Stato Giuseppe Albenzio e Ilia Massarelli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 1° agosto 2019, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2019, il Tribunale ordinario di Milano, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 77, secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 2, paragrafo 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 16 settembre 1963 e reso esecutivo con il d.P.R. 14 aprile 1982, n. 217, che riconosce taluni diritti e libertà diversi da quelli che figurano già nella convenzione e nel suo primo protocollo addizionale, nonché in relazione agli artt. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881.

    1.1.– Il rimettente premette di essere stato investito di un ricorso ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e dell’art. 702-bis del codice di procedura civile, promosso da A. H., richiedente asilo, nei confronti del Comune di Milano e del Ministero dell’interno, al fine di ottenere «la dichiarazione di invalidità e l’accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto dal Comune di Milano alla iscrizione del ricorrente nell’anagrafe della popolazione residente».

    In particolare, il ricorrente ha chiesto di accertare il carattere discriminatorio del diniego all’iscrizione anagrafica per violazione del principio di parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri ai sensi dell’art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 15 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), nonché per violazione del «principio paritario, sotto il profilo della nazionalità» (ai sensi dell’art. 3 Cost., dell’art. 14 CEDU e dell’art. 43 del d.lgs. n. 286 del 1998).

    Inoltre, «[i]n via autonoma», il ricorrente ha chiesto di accertare l’illegittimità del rifiuto del Comune alla sua iscrizione all’anagrafe dei residenti e di ordinare al Ministero dell’interno, e per esso al Sindaco del Comune di Milano nella sua qualità di ufficiale del Governo per l’esercizio delle funzioni di ufficiale dell’anagrafe, di procedere all’iscrizione. Infine, «[q]ualora necessario», il ricorrente ha domandato la previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, nella legge n. 132 del 2018, in riferimento a una pluralità di parametri costituzionali, anche in relazione a fonti sovranazionali.

    Nelle more dell’instaurazione del contraddittorio nel giudizio a quo, hanno depositato un atto congiunto di intervento l’Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e l’Associazione Avvocati per Niente Onlus, deducendo la natura collettiva della discriminazione e aderendo alla prospettazione del ricorrente quanto alla natura discriminatoria del diniego di iscrizione anagrafica. Nel giudizio a quo si sono anche costituiti i convenuti resistenti Ministero dell’interno e Comune di Milano.

    1.2.– In merito all’interesse ad agire del ricorrente nel giudizio principale, il rimettente afferma come esso, previsto quale condizione dell’azione dall’art. 100 del codice di procedura civile, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione debba essere identificato in «una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, inteso in senso ampio, di un diritto che, senza l’intervento del giudice, resterebbe sfornito di tutela, con conseguente danno per l’attore». Pertanto, tale interesse deve avere carattere attuale «assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza».

    Nell’odierno giudizio, il ricorrente vanterebbe «un effettivo interesse ad agire che scaturisce dall’impossibilità di vedersi iscritto all’anagrafe del Comune in cui ha stabilito la propria dimora abituale». In tal senso, l’intervento del giudice sarebbe necessario per rimediare alla lesione del diritto soggettivo di iscrizione anagrafica, cagionato dalla condotta dell’amministrazione. Nella prospettiva del rimettente, la tutela di questo diritto assicurerebbe al richiedente asilo «un’utilità ulteriore rispetto a quella derivante dall’accesso ai servizi e dall’esercizio dei diritti e delle facoltà rispetto alle quali l’iscrizione all’anagrafe è strumentale». Quest’ultima sarebbe, infatti, «direttamente collegata alla dignità personale e sociale dell’individuo, alla sua capacità di identificazione, appartenenza e, in senso più ampio, integrazione con la comunità locale, che a loro volta costituiscono passaggi indispensabili per la concretizzazione del progetto fondante la nostra Costituzione, ossia assicurare all’individuo – legalmente presente nel territorio italiano – una vita libera e degna».

    Il giudice a quo aggiunge, al riguardo, che la mancata iscrizione comporterebbe anche «un immediato […] nocumento in capo al ricorrente laddove esclude a priori il computo del periodo trascorso come richiedente asilo […] ai fini dell’esercizio di tutti quei diritti che sono collegati alla durata della residenza» (tra cui quelli all’acquisizione della cittadinanza, all’accesso all’edilizia popolare e al cosiddetto reddito di cittadinanza).

    Il rimettente passa poi ad argomentare la presenza, nel caso di specie, dei presupposti per l’esercizio dell’azione antidiscriminatoria, richiamando, al riguardo, l’art. 43, commi 1 e 2, lettera a), del d.lgs. n. 286 del 1998. Nell’odierna vicenda giudiziaria il diniego dell’ufficiale dello stato civile di iscrizione anagrafica sarebbe riconducibile a uno dei presupposti per l’esercizio dell’azione antidiscriminatoria, «sussistendo un...

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