Sentenza nº 143 da Constitutional Court (Italy), 08 Luglio 2021

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione08 Luglio 2021
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 143

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente:

Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, promosso dalla Corte di cassazione, prima sezione penale, nel procedimento penale a carico di G. B., S. B e S. S., con ordinanza dell’8 settembre 2020, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza dell’8 settembre 2020 (reg. ord. n. 158 del 2020) la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell’attenuante del «fatto di lieve entità» – introdotta dalla sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’art. 630 cod. pen. – sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

    1.1.– Nel più ampio contesto di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, a cinque imputati è stato contestato, in particolare, il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, ai sensi dell’art. 630 cod. pen., con l’aggravante di cui all’art. 112, primo comma, numero 1), cod. pen., per il numero dei concorrenti nel reato. Gli imputati, condannati in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bari e in appello dalla Corte di assise di appello di Bari, hanno proposto ricorso per cassazione con motivi che attengono esclusivamente alla determinazione della pena.

    In particolare, contrariamente a quanto valutato dal giudice di primo grado, la Corte di assise di appello, facendo applicazione della sentenza di questa Corte n. 68 del 2012, ha riconosciuto in favore degli imputati l’attenuante del «fatto di lieve entità», trattandosi del sequestro operato per poche ore nei confronti di un associato, al fine di costringerlo a versare la somma di 1.400 euro, quale ricavato della vendita di una piccola quantità di stupefacente affidatagli, e al fine di ottenere la restituzione della pistola, appartenente al sodalizio criminale e della quale si era impossessato.

    Quanto alla determinazione delle pene nei confronti dei cinque imputati, la Corte di assise d’appello ha diversificato le posizioni.

    Per due imputati, ai quali non è stata contestata la recidiva, la Corte territoriale ha riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 311 cod. pen., in via prevalente sull’aggravante del numero di persone, con conseguente rilevante diminuzione della pena complessiva rispetto a quella inflitta in primo grado.

    Per gli altri tre imputati, invece, la Corte, stante la contestazione della recidiva ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen. e la ritenuta sua operatività, ha potuto valutare la diminuente solo come equivalente all’aggravante contestata e alla recidiva stessa, e ha conseguentemente confermato la pena finale di anni venti di reclusione, inflitta dal giudice di primo grado. In particolare, la Corte di appello ha adottato come pena base per il calcolo della pena complessiva il minimo edittale previsto dall’art. 630 cod. pen., pari a venticinque anni di reclusione; l’ha, poi, aumentata, per la continuazione con gli altri reati contestati ai tre imputati, ad una pena superiore a trenta anni di reclusione; ha applicato il limite di cui all’art. 78 cod. pen., determinando così la pena in anni trenta di reclusione, ridotta di un terzo per il rito abbreviato.

    1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la rimettente Corte di cassazione sottolinea che nella citata sentenza n. 68 del 2012 questa Corte ha affermato che la funzione dell’attenuante del «fatto di lieve entità» è quella di mitigare una risposta punitiva improntata ad eccezionale asprezza «e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale». Inoltre, la Corte rimettente ha ravvisato la violazione dell’art. 27, comma terzo, Cost., «nel suo valore fondante, in combinazione con l’art. 3 della Costituzione, del principio di proporzionalità della pena al fatto concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente sproporzionata – e, dunque – inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato – vanifica, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa».

    La rimettente passa poi in rassegna le plurime sentenze di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, e, in primo luogo, richiama la sentenza di questa Corte n. 251 del 2012 che – nel dichiarare costituzionalmente illegittimo il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. – ha rimarcato come due fatti, quelli previsti dal primo e dal quinto comma dell’art. 73, che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell’offensività, siano ricondotti alla medesima cornice edittale con conseguente violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del principio di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.). Il divieto di prevalenza di cui alla norma censurata impedisce il necessario adeguamento della pena, connotando la risposta punitiva come pena palesemente sproporzionata, avvertita come ingiusta dal condannato, nonché contrastante con la finalità rieducativa della stessa.

    La rimettente si sofferma, altresì, sulle successive decisioni di questa Corte, tutte parimenti dichiarative dell’illegittimità costituzionale della stessa disposizione attualmente censurata, in riferimento ad altrettante specifiche ipotesi di reato.

    Anche nella fattispecie – conclude la Corte di cassazione – è costituzionalmente illegittimo il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del «fatto di lieve entità» nel reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, pur trattandosi di una diminuente comune, che però ha una necessaria funzione di riequilibrio dell’eccezionale asprezza del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 630 cod. pen.

    1.3.– In definitiva, l’impossibilità per il giudice di ritenere prevalente, sulla recidiva reiterata, la diminuente del «fatto di lieve entità» comporta – secondo la Corte rimettente – la violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost. Tali questioni di...

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