Sentenza nº 133 da Constitutional Court (Italy), 25 Giugno 2021

Data di Resoluzione25 Giugno 2021
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 133

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente:

Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), promosso dal Tribunale ordinario di Trento nel procedimento vertente tra B. Z., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale di M. Z., e R. C., con ordinanza del 30 giugno 2020, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Udita nella camera di consiglio del 12 maggio 2021 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

  1. – Nel corso di un giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità, il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

    Il comma terzo del citato art. 263 cod. civ. viene ritenuto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente che, per l’autore del riconoscimento, il termine per proporre l’azione di impugnazione decorra dalla conoscenza della non paternità.

    Il giudice, pertanto, censura la norma che, per l’autore del riconoscimento, fa decorrere il dies a quo, relativo al termine annuale di decadenza, dalla mera scoperta dell’impotenza al tempo del concepimento o, in alternativa, dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Ritiene, inoltre, che l’azione non debba essere impedita dal decorso di un termine, come quello quinquennale, che trascorre a prescindere dalla conoscenza della non paternità.

  2. – In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che B. Z. impugnava, con atto di citazione notificato il 7 agosto 2019, il riconoscimento del minore M. Z., per difetto di veridicità, chiamando in giudizio la madre, R. C., che aderiva all’impugnazione. Veniva, inoltre, disposta la nomina di un curatore speciale del minore M. Z.

    2.1.– Il giudice a quo riferisce che l’annotazione del riconoscimento era avvenuta il giorno stesso della nascita della bambina, in data 4 agosto 2010, e che solo nel novembre del 2018 la madre aveva confidato all’autore del riconoscimento di aver avuto, nel 2009, una breve relazione con una terza persona. Questo induceva B. Z. a sottoporsi a degli esami ematici, all’esito dei quali aveva scoperto che il dato scientifico smentiva la sua paternità biologica.

    2.2.– Il Tribunale di Trento espone che nel giudizio a quo tutte le parti chiedevano concordemente la rimozione dell’atto di riconoscimento della paternità, effettuato in contrasto con la verità biologica.

    Tuttavia, il giudice rileva che sia per l’autore del riconoscimento, sia per la madre erano decorsi i termini previsti dall’art. 263, terzo comma, cod. civ.

    Il rimettente, d’altro canto, esclude che il curatore nominato dal giudice istruttore possa ritenersi legittimato ad impugnare l’atto nell’interesse del minore, ai sensi dell’art. 264 cod. civ.

  3. – Sul piano della rilevanza, il giudice a quo osserva che l’impugnazione risulterebbe intempestiva, pur avendo la disposizione transitoria di cui all’art. 104, comma 10, del d.lgs. n. 154 del 2013, previsto, per i casi di annotazione del riconoscimento avvenuta prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, un differimento dei termini di cui all’art. 263 cod. civ. alla data dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo (il 7 febbraio 2014).

    La notifica dell’atto di citazione era, infatti, avvenuta il 7 agosto 2019 e, a quella data, risultavano decorsi sia il termine annuale, sia – per pochi mesi – quello quinquennale, sicché solo sollevando la questione di legittimità costituzionale il giudice ritiene di poter passare all’esame nel merito della domanda.

    3.1.– Sempre in punto di rilevanza, il giudice a quo sostiene che le questioni non potrebbero essere superate in ragione dell’intervento adesivo di soggetti diversi dal padre.

    Il pubblico ministero avrebbe legittimazione ad agire nell’azione di disconoscimento di paternità, ai sensi dell’art. 244 cod. civ., ma non nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.

    Parimenti, l’intervento adesivo della madre non sarebbe risolutivo, essendo anche la sua azione decaduta.

    Infine, sebbene l’azione da parte del figlio risulti imprescrittibile (art. 263, comma 2, cod. civ.), il favor per l’impugnazione espresso dal curatore speciale del minore non inciderebbe sulla rilevanza. Secondo il rimettente, infatti, la legittimazione all’esperimento dell’azione non spetterebbe al curatore nominato dal giudice istruttore, ma richiederebbe, nel rispetto dell’art. 264 cod. civ. (come modificato dall’art. 29 del d.lgs. n. 154 del 2013), una designazione effettuata a seguito di una procedura camerale, ai sensi dell’art. 737 del codice di procedura civile, assumendo sommarie informazioni ed acquisendo anche il parere del pubblico ministero, che deve verificare se l’impugnazione corrisponda all’interesse del minore.

  4. – Con riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo ritiene che l’art. 263, terzo comma, cod. civ. sia contrario «non solo all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e quindi all’art. 117, primo comma, Cost., ma anche agli artt. 3 e 76 Cost.».

    4.1.– In particolare, relativamente alla decorrenza, per l’autore del riconoscimento, del termine annuale di decadenza, il rimettente ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo.

    Innanzitutto, reputa insussistente qualsivoglia «ragionevole motivo [per il quale] il termine decorra dalla conoscenza [della non paternità] solo in caso di impotenza».

    Inoltre, denuncia l’irragionevole disparità di trattamento fra la disciplina che, ai sensi dell’art. 244, secondo comma, cod. civ., regola i termini per proporre l’azione di disconoscimento della paternità e la più rigida normativa contemplata dal comma censurato per l’impugnazione del riconoscimento. Il termine annuale di decadenza dall’azione nell’art. 244 cod. civ. decorre dalla prova di una pluralità di fatti, tra i quali la scoperta dell’adulterio della moglie al tempo del concepimento; viceversa, la disciplina censurata in tema di impugnazione del riconoscimento «nulla prevede in relazione alla specifica ipotesi di ignoranza – da parte del padre – della relazione della madre con altri uomini al tempo del concepimento».

    4.2.– La medesima norma relativa al termine annuale si porrebbe, poi, in contrasto con l’art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto all’art. 2, comma 1, della legge del 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali). Secondo il rimettente «la differenziazione – per il padre “apparente”, rispetto al padre coniugato – del termine per contestare il rapporto biologico col figlio “apparente”, effettuata dal[l’]art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che ha modificato l’art. 263 c.c., appare di dubbia costituzionalità».

    4.3.– Infine, la disciplina sui termini di cui all’art. 263, terzo comma, cod. civ. contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost., relativamente al parametro interposto di cui all’art. 8 CEDU. Secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo della norma che regola il diritto al rispetto della vita privata e familiare, l’esigenza di bilanciare, in una maniera conforme al principio di proporzionalità, il citato interesse con altre istanze contrapposte verrebbe pregiudicata da regole che a priori limitassero eccessivamente...

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