Sentenza nº 238 da Constitutional Court (Italy), 13 Novembre 2020

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione13 Novembre 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 238

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 318-octies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come aggiunto dall’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente), promosso dal Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Marsala nel procedimento penale a carico di G. I. e A. B. R., con ordinanza del 23 maggio 2016, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 maggio 2016, il Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Marsala, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-octies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la causa estintiva contemplata nell’art. 318-septies cod. ambiente, non si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel cod. ambiente dall’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).

    Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di due persone imputate del reato di cui all’art. 110 del codice penale e all’art. 256, comma 2, cod. ambiente, nell’ambito del procedimento penale iscritto al n. 853 del registro delle notizie di reato del 2013.

    In particolare, dà atto che nel corso dell’udienza del 25 gennaio 2016, il difensore degli imputati ha chiesto di sollevare una questione di legittimità costituzionale, in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 318-octies cod. ambiente.

    Il rimettente espone che il difensore degli imputati, dopo aver premesso che l’art. 318-bis del decreto legislativo citato delinea un preciso ambito applicativo avente ad oggetto reati contravvenzionali che puniscono condotte che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette, ha rilevato che la fattispecie oggetto d’imputazione non riguarderebbe rifiuti pericolosi, avuto riguardo al tipo e natura degli stessi, oltre che all’assenza di un danno in termini d’impatto ambientale; e che la Parte Sesta-bis del codice dell’ambiente introduce chiaramente una legislazione di favore, in quanto l’adempimento delle prescrizioni estingue il reato.

    Il rimettente dà atto che il difensore ha eccepito l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 318-octies cod. ambiente, la quale esclude dall’applicazione del suddetto beneficio le condotte rientranti nell’art. 318-bis del medesimo codice, per le quali sia già pendente un procedimento penale alla data di entrata in vigore della legge n. 68 del 2015 (ossia dal 29 maggio 2015). Il tenore di tale dettato normativo, a parere del difensore, contrasterebbe infatti con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., ponendosi la pendenza del procedimento penale come elemento discriminatorio rispetto a soggetti che hanno commesso l’illecito e non hanno subito l’azione penale e coloro i quali che, pur avendo commesso il reato, hanno subito l’inizio del procedimento penale e non possono dunque vedersi riconosciuta la prevista causa estintiva del reato.

    Tale trattamento differenziato apparrebbe, altresì, irragionevole anche alla luce dell’art. 318-sexies cod. ambiente, il quale prevede la sospensione del procedimento penale in conseguenza della comunicazione da parte dell’accertatore delle prescrizioni impartite al reo e del termine concesso per l’adempimento, «non risolvendosi incompatibile la pendenza del procedimento penale con il potere del giudice di sospendere il procedimento penale richiedendo all’organo accertatore di impartire prescrizioni ritenute utili e verificarne in seguito il rispetto (come ad esempio avviene in materia di messa alla prova o in materia di violazione delle norme sulla sicurezza)».

    Ciò sinteticamente premesso, il rimettente osserva come il disposto di cui all’art. 318-octies cod. ambiente appare evidenziare una «doppia natura», sostanziale e processuale, perché l’adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza rileva sia quale causa estintiva del reato, sia come modulo di definizione alternativa del processo.

    In ragione di tale natura, secondo il giudice a quo, appare irragionevole la preclusione dell’accesso alla suddetta causa estintiva per gli imputati che ‒ pur in possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge – si siano trovati al momento dell’entrata in vigore della disciplina in una fase processuale più avanzata rispetto a quella contemplata nell’art. 318-octies cod. ambiente.

    Il rimettente rileva, pertanto, che tale soluzione, pur nell’esercizio dell’ampia discrezionalità del legislatore, deroga ingiustificatamente al principio di retroattività della lex mitior, incidendo in peius sul diritto di difesa e sul diritto di uguaglianza.

    La mancata possibilità di procedere agli «adempimenti di bonifica» di cui all’art. 318-septies cod. ambiente, da parte degli imputati che, alla data di entrata in vigore della legge n. 68 del 2015, si trovino in una fase processuale avanzata, quale è quella che si instaura a seguito dell’esercizio dell’azione penale, si risolverebbe nella impossibilità di beneficiare di una pronuncia di estinzione di reato, per il mero fatto dell’avvenuto esercizio dell’azione penale, in violazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.

    Secondo il rimettente, rispetto a tale scelta legislativa si imporrebbe «una verifica di legittimità costituzionale, sotto il profilo della ragionevolezza, con riferimento all’oggettivo differente trattamento sostanziale-sanzionatorio di soggetti che – pur versando nelle medesime condizioni ‒ si trovino in diversi momenti del processo penale».

  2. – Con atto depositato in data 2 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

    La difesa dello Stato dà atto che l’art. 318-octies cod. ambiente, nel disporre che «le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte», debba interpretarsi nel senso che lo sbarramento temporale sia costituito...

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