Sentenza nº 73 da Constitutional Court (Italy), 24 Aprile 2020

RelatoreFrancesco Viganò nella camera di consiglio del 6 aprile 2020
Data di Resoluzione24 Aprile 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 73

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, nel procedimento penale a carico di V. M. e V. V., con ordinanza del 29 gennaio 2019, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Francesco Viganò nella camera di consiglio del 6 aprile 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera a);

deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 29 gennaio 2019, il Tribunale ordinario di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, primo e terzo comma, e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

    1.1.– Il giudice rimettente premette di essere chiamato a giudicare, in sede di giudizio abbreviato, della responsabilità penale di V. M. e V. V., imputati del reato di furto pluriaggravato di cui agli artt. 624, 625, numeri 2) e 7), e 61, numero 5), cod. pen., commesso in concorso tra loro.

    A entrambi gli imputati è stata contestata la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in relazione a plurimi precedenti per reati contro il patrimonio, alcuni dei quali commessi anche in epoca relativamente recente.

    D’altra parte, dalla perizia psichiatrica disposta dal giudice è emersa per entrambi gli imputati un’infermità mentale tale da scemare grandemente la capacità di intendere e di volere senza, tuttavia, escluderla, essendo state riscontrate «alterazioni psicopatologiche che soddisfano i criteri diagnostici per il Disturbo della Personalità», nonché le «stimmate psicologiche di un Disturbo da Abuso di Sostanze (oppiacei), oggidì in parziale remissione».

    Quanto in particolare a V. M., la relazione peritale ha evidenziato «un importante sbilanciamento depressivo dell’asse affettivo e la presenza […] di tratti personologici marcatamente disarmonici», nonché «severe disarmonie dell’organizzazione fondamentale della personalità» che «fanno assumere una connotazione disforica alla sofferenza affettiva e, assai probabilmente, facilitano l’emergere di condotte regressive finalizzate all’ottenimento di immediata gratificazione e prive di adeguata valutazione del rischio che esse comportano»; il tutto in un «quadro di Depressione Persistente».

    Quanto a V. V., il perito ha rimarcato un quadro di «disturbo della personalità con tratti misti del primo e del secondo raggruppamento (particolarmente rilevanti i tratti schizotipico, narcisistico, istrionico, antisociale)», unitamente a «povertà dell’empatia» e «insistita convinzione di essere meritevole di particolare considerazione».

    Interrogato in udienza sulla rilevanza delle patologie riscontrate rispetto all’eziologia delle condotte contestate, il perito ha aggiunto che tali patologie, pur non apparendo tanto destrutturanti da giustificare un giudizio medico-legale di totale abolizione della capacità di intendere e di volere, incidono «specialmente [su] quelle parti del funzionamento mentale che vengono definite funzioni esecutive, quindi capacità di programmazione, valutazione, valutazione inferenziale, criteri di appropriatezza e di opportunità, pesatura del rischio anche rispetto all’utile personale».

    Il rimettente riferisce, infine, che in due occasioni V. V. era stato prosciolto da precedenti imputazioni per vizio totale di mente, mentre in altra circostanza – malgrado la contestazione della recidiva reiterata – il giudice aveva ritenuto prevalente l’attenuante del vizio parziale di mente, applicando la relativa diminuzione di pena. Nei confronti di V. M., poi, era stata riconosciuta in almeno una occasione l’attenuante del vizio parziale di mente, ritenuta equivalente alla contestata recidiva reiterata.

    1.2.– Su richiesta del pubblico ministero, alla quale si è associata la difesa degli imputati, il giudice a quo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale sopra formulate, aventi a oggetto in sostanza il divieto – desumibile dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. – di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente sull’aggravante della recidiva reiterata.

    1.3.– Quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente ritiene di non potere, allo stato degli atti, escludere tout court nei confronti di V. M. e V. V. la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, così come ad essi contestata.

    Entrambi gli imputati hanno infatti plurimi precedenti per reati contro il patrimonio (rapina, furto tentato e consumato, ricettazione, danneggiamento), alcuni dei quali intervenuti anche in epoca relativamente recente e, in ogni caso, nel quinquennio precedente alla commissione del fatto per il quale si procede. Nei confronti di entrambi, d’altronde, in più occasioni è già stata riconosciuta la recidiva (reiterata), ed applicato il relativo aumento di pena.

    Osserva il rimettente che «sussist[o]no senz’altro, nel caso di specie, gli indici rivelatori di una relazione qualificata tra i descritti precedenti ed il nuovo illecito, per il quale si procede (il furto in concorso di due pluviali in rame), trattandosi di reati della stessa indole, omogenei dal punto di vista del bene giuridico offeso, posti in essere nel tempo, senza che possa ravvisarsi una qualche soluzione di continuità nella perpetrazione di condotte antigiuridiche da parte di entrambi gli imputati».

    Il giudice a quo ritiene pertanto, in accordo con l’orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 192 del 2007) e di legittimità (sono citate le sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738, e 24 febbraio-24 maggio 2011, n. 20798), che nel caso di specie la reiterazione dell’illecito, «al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali», sia effettivo sintomo tanto di una maggiore colpevolezza, quanto di una più elevata capacità a delinquere dei due imputati.

    Ed invero, accanto ad una più accentuata pericolosità sociale, i numerosi precedenti specifici, posti in essere con analoghe modalità, lascerebbero emergere una «peculiare insensibilità degli imputati nei confronti delle condanne precedentemente riportate e dell’implicito monito a non violare più la legge, in esse contenuto, comportando un maggiore addebito anche in termini di rimproverabilità soggettiva».

    D’altra parte, le patologie mentali riscontrate in sede di perizia sembrerebbero aver avuto un sicuro rilievo nella genesi delle condotte delittuose poste in essere dai due imputati.

    Ad avviso del rimettente, tuttavia, la ridotta capacità di intendere e di volere degli imputati al momento del fatto non potrebbe valere ad escludere tout court l’applicabilità della recidiva reiterata nei loro confronti. Una tale soluzione presupporrebbe infatti l’impossibilità di «muovere nei loro riguardi un addebito di maggiore rimproverabilità soggettiva», e dunque l’affermazione che le patologie riscontrate negli imputati abbiano avuto «un valore tanto determinante nella genesi del reato da escludere che, nel caso di specie, gli stessi potessero essere sufficientemente sensibilizzati e motivati dai moniti provenienti dalle condanne riportate in precedenza». Il che, secondo il giudice a quo, non potrebbe essere sostenuto nel caso di specie.

    Tanto più che – osserva il rimettente – la soluzione di un’automatica non...

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