Sentenza nº 78 da Constitutional Court (Italy), 24 Aprile 2020

RelatoreLuca Antonini
Data di Resoluzione24 Aprile 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 78

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 857, 859, 862, 863, 865 e 866, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), promossi dalla Regione Lazio, dalla Regione Siciliana e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con ricorsi notificati i primi tre il 1° marzo 2019, il quarto il 1°-7 marzo 2019, depositati in cancelleria i primi tre il 7 marzo 2019, il quarto l’11 marzo 2019, iscritti rispettivamente ai numeri 36, 38, 39 e 45 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 20, 21 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 febbraio 2020 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Marina Valli per la Regione Siciliana, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano e l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 1° marzo 2019, depositato in cancelleria il 7 marzo 2019 e iscritto al n. 36 del reg. ric. 2019, la Regione Lazio ha impugnato l’art. 1, commi 857, 865 e 866, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.

    1.1.– Tali disposizioni, insieme ad altre ricomprese nei commi da 849 a 872, riguardano il tema dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali delle pubbliche amministrazioni.

    In particolare, il comma 865 stabilisce che, per gli enti del Servizio sanitario nazionale che non rispettano i tempi di pagamento previsti dalla legislazione vigente, le Regioni e le Province autonome «provvedono ad integrare i contratti dei relativi direttori generali e dei direttori amministrativi inserendo uno specifico obiettivo volto al rispetto dei tempi di pagamento ai fini del riconoscimento dell’indennità di risultato». La disposizione prevede che la quota dell’indennità condizionata a tale obiettivo non può essere inferiore al 30 per cento e declina poi singoli scaglioni che modulano il riconoscimento di tale quota in base ai giorni di ritardo registrati e alla riduzione del debito commerciale residuo.

    Ai sensi del comma 860, per l’applicazione delle misure di cui al comma 865 si fa riferimento ai tempi di pagamento e al ritardo calcolati sulle fatture ricevute e scadute nell’anno precedente e al debito commerciale residuo, di cui all’art. 33 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).

    A norma del comma 857, inoltre, nell’anno 2020 la quota dell’indennità di risultato condizionata al rispetto dei tempi di pagamento è raddoppiata «nei confronti degli enti di cui al comma 849 che non hanno richiesto l’anticipazione di liquidità entro il termine di cui al comma 853 e che non hanno effettuato il pagamento dei debiti entro il termine di cui al comma 854».

    Infine, il comma 866 prevede che le Regioni trasmettono «una relazione in merito all’applicazione e agli esiti del comma 865» al Tavolo di verifica degli adempimenti regionali di cui all’art. 12 dell’intesa sancita il 23 marzo 2005 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, aggiungendo che «[l]a trasmissione della relazione costituisce adempimento anche ai fini e per gli effetti dell’articolo 2, comma 68, lettera c), della legge 23 dicembre 2009, n. 191»: disposizione questa che, al fine di consentire l’erogazione di una quota del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) a cui concorre ordinariamente lo Stato, la condiziona alla verifica positiva degli adempimenti regionali, previsti dalla normativa vigente e dalla stessa legge n. 191 del 2009. Infine, l’ultimo periodo del comma 866 prevede che «[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano relazionano al citato Tavolo sullo stato di applicazione del comma 865».

    1.2.– Con una prima censura, la Regione Lazio lamenta la violazione del principio di leale collaborazione «ex artt. 5 e 120 Cost.»: il legislatore avrebbe omesso ogni concertazione con le Regioni sia nella fase ascendente, in sede di adozione delle disposizioni impugnate, sia in quella discendente, relativa all’attuazione delle stesse. Tale concertazione sarebbe da ritenersi, invece, necessaria in entrambi i casi, in quanto l’intervento del legislatore intersecherebbe diverse materie relative sia alla competenza concorrente – «coordinamento della finanza pubblica» e «tutela della salute» – che a quella residuale – «ordinamento e organizzazione amministrativa regionale» e «organizzazione e funzionamento della Regione» –, con un inestricabile intreccio e senza che possa individuarsi la prevalenza di una competenza esclusiva statale.

    Inoltre, con specifico riferimento alla disciplina della dirigenza sanitaria regionale, che la giurisprudenza di questa Corte avrebbe costantemente ricondotto «al prevalente ambito della tutela della salute», la ricorrente richiama la sentenza n. 251 del 2016, segnalando che il legislatore si è uniformato al rispetto della leale collaborazione, imposto dalla suddetta pronuncia, nell’adozione del decreto legislativo 26 luglio 2017, n. 126, recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, di attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria». Del decreto attuativo della delega si richiama, peraltro, l’art. 2, comma 3, che prevede anche un accordo in Conferenza Stato-Regioni per definire i criteri e le procedure per la valutazione dell’attività dei direttori generali.

    Infine, la ricorrente precisa che la violazione del principio di leale collaborazione ridonderebbe sulle competenze legislative attribuite alla Regione e sulle corrispondenti funzioni amministrative ai sensi degli artt. 114, 117, terzo, quarto e sesto comma, nonché 118, primo e secondo comma, Cost.

    1.3.– La seconda censura si incentra sulla violazione dell’art. 117, terzo, quarto e sesto comma, Cost., ribadendo che le disposizioni impugnate – e in particolare quelle recate dai commi 857 e 865 sulla dirigenza sanitaria – non sarebbero ascrivibili in maniera prevalente al coordinamento della finanza pubblica e che in ogni caso non si atteggerebbero a principi fondamentali: contraddicendo l’autoqualificazione operata dal comma 858 dell’art. 1 della stessa legge n. 145 del 2018, a causa del loro carattere di «massimo dettaglio» non avrebbero, infatti, lasciato alcun margine di autonomia all’ente regionale.

    1.4.– La ricorrente prospetta, infine, la violazione degli artt. 3, 97 e 118, primo e secondo comma, Cost. argomentandola con l’irragionevolezza e il difetto di proporzionalità delle disposizioni impugnate, nonché rilevando la ridondanza sulle competenze regionali ai sensi dell’art. 117, terzo, quarto e sesto comma, Cost.

    Al riguardo, si sostiene che per l’effetto delle suddette norme risulterebbe irragionevolmente sacrificata la possibilità di orientare l’azione amministrativa regionale, «in violazione dei principi di buon andamento, differenziazione e adeguatezza», a obiettivi prioritari più attinenti alla tutela della salute, tra cui il perseguimento di un più alto livello di erogazione dei livelli essenziali di assistenza.

    Il denunciato difetto di proporzionalità deriverebbe invece dalla mancata considerazione di circostanze significative quali «il debito commerciale complessivo, i progressi nei termini di pagamento rispetto agli esercizi precedenti, le cause del ritardo, le eventuali responsabilità o al contrario i progressi ottenuti dal singolo dirigente rispetto alla progressiva riduzione del debito commerciale e dei termini di pagamento».

    La censura in esame colpirebbe in maniera ancor più evidente la norma contenuta nell’impugnato comma 866. La possibile mancata erogazione della «quota di finanziamento del SSN cui concorre lo Stato» discenderebbe in maniera automatica dal ritardo dei pagamenti, senza che sia dato rilievo ai progressi ottenuti rispetto all’obiettivo e alle specifiche responsabilità in materia, nonché alla complessiva riduzione del debito commerciale residuo.

    Inoltre, tale norma sconterebbe un difetto di chiarezza, destinato a incidere «sulla sua intrinseca ragionevolezza», perché non chiarirebbe se l’adempimento da essa richiesto sia riferibile alla sola trasmissione della relazione regionale o alla concreta gestione delle indennità di risultato. Intesa in tale secondo significato, «che sembra plausibile in ragione dell’inciso, contenuto nel comma 866» relativo alle autonomie speciali, la norma non sarebbe comunque idonea a raggiungere lo scopo che si prefigge: la mancata erogazione della quota di finanziamento statale potrebbe, infatti, incidere ulteriormente sul ritardo dei pagamenti.

  2. – Con atto depositato il 10 aprile 2019 si è costituito il Presidente del Consiglio dei...

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