Sentenza nº 279 da Constitutional Court (Italy), 20 Dicembre 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione20 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 279

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», introdotto dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Avellino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di M. P., con ordinanza del 7 novembre 2018, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 7 novembre 2018, il Magistrato di sorveglianza di Avellino ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», introdotto dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, ai fini della attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie dinanzi al magistrato di sorveglianza, parifica all’ipotesi della comunicazione di esperimento infruttuoso della procedura esecutiva l’ipotesi di mancato esperimento della procedura esecutiva decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell’agente della riscossione.

    1.1.– Il giudice rimettente premette di essere stato investito della richiesta con cui il Pubblico ministero presso il Tribunale ordinario di Torre Annunziata ha trasmesso, ai sensi dell’art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, gli atti per la conversione di una pena pecuniaria di 150 euro di multa, inflitta a M. P. con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Castellammare di Stabia, del 22 giugno 2010.

    Rileva il rimettente che in allegato alla richiesta di conversione sono stati trasmessi soltanto il titolo esecutivo e un prospetto dal quale appare iscritta nell’anno 2011 una partita di credito nei confronti di M. P., non risultando tuttavia posta in essere alcuna procedura esecutiva nei confronti del condannato, al quale la cartella di pagamento risulta notificata in data 26 gennaio 2013 «in condizioni di “irreperibilità relativa”».

    Osserva il giudice a quo che, per effetto della norma censurata, il mancato esperimento di attività esecutiva da parte dell’agente di riscossione costituirebbe presupposto sufficiente perché il pubblico ministero investa degli atti il magistrato di sorveglianza competente alla conversione ai sensi dell’art. 660 cod. proc. pen.

    1.2.– Il rimettente, tuttavia, dubita della legittimità costituzionale di tale disposizione sotto plurimi profili.

    1.2.1.– Essa violerebbe anzitutto l’art. 3 Cost., in quanto, parificando il mero decorso di ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell’agente della riscossione all’esperimento infruttuoso della procedura esecutiva, determinerebbe l’instaurazione automatica della procedura di conversione anche nei confronti di condannati potenzialmente solvibili, ma che potrebbero essere rimasti del tutto ignari della procedura esecutiva in corso, dal momento che la previa notificazione della cartella di pagamento potrebbe essere stata effettuata ai sensi degli artt. 140 e 143 del codice di procedura civile, e dunque senza che risulti la prova della loro effettiva conoscenza della stessa. Essi sarebbero così esposti al rischio di subire una compressione della libertà personale per effetto della conversione della pena pecuniaria inflitta nei loro confronti in conseguenza della mera inerzia dell’agente della riscossione, risultando così la loro situazione irragionevolmente equiparata a quella di coloro che, avendo subito l’infruttuoso esperimento di atti di esecuzione forzata nei propri confronti, siano consapevoli della procedura in corso.

    1.2.2.– La disposizione censurata violerebbe, inoltre, l’art. 24, secondo comma, Cost. – interpretato anche alla luce degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – dando avvio ad un procedimento per chi sia stato condannato a una mera pena pecuniaria, finalizzato all’adozione di un provvedimento limitativo della sua libertà personale, senza che egli abbia avuto la possibilità di averne notizia e di esporre le proprie ragioni prima che venga adottato un provvedimento che gli rechi pregiudizio.

    1.2.3.– Da ultimo, sarebbe violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, al fine di evitare l’estinzione della pena pecuniaria per prescrizione, legittimerebbe l’instaurazione di una «procedura pregiudizievole per il reo che potrebbe sfociare nell’adozione di un provvedimento avente ad oggetto una pena non proporzionata alla gravità del reato e inidonea a far sì che il reo impari a vivere nel rispetto delle regole di civiltà».

    1.3.– Le questioni prospettate sarebbero altresì rilevanti, dal momento che dalla loro definizione dipenderebbe la possibilità di procedere o meno alla conversione della pena pecuniaria oggetto del giudizio a quo.

  2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano rigettate in quanto infondate.

    2.1.– Quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., l’interveniente sostiene l’erroneità delle premesse interpretative dalle quali muove il rimettente, le quali trascurerebbero altre disposizioni in materia di riscossione di pene pecuniarie non pagate.

    In particolare, l’art. 235 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevederebbe l’annullamento del credito in caso di irreperibilità del condannato (segnatamente, qualora la notifica dell’invito al pagamento riferito alle spese e alle pene pecuniarie si ha per eseguita ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ.) e la possibilità di una nuova iscrizione a ruolo da parte dell’ufficio solo se il debitore risulti reperibile.

    Dal combinato disposto di tali disposizioni dovrebbe ricavarsi che l’agente della riscossione non può attivare la procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria in caso di irreperibilità cosiddetta assoluta del condannato, ossia nell’ipotesi di notifica a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ.

    In senso analogo si sarebbe espressa – osserva l’Avvocatura generale dello Stato – anche la Corte di cassazione a sezioni unite, che ha affermato che la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva postula il necessario accertamento della insolvibilità del condannato, chiarendo che tale accertamento non può essere svolto nei confronti di quei soggetti per i quali, proprio a cagione della loro irreperibilità, non è possibile conoscere quali siano le effettive e attuali (eventualmente anche sopravvenute) possibilità economiche (è citata Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 ottobre 1995-17 gennaio 1996, n. 35).

    Di contro, la disposizione censurata potrebbe trovare applicazione nel caso di irreperibilità relativa...

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