Sentenza nº 82 da Constitutional Court (Italy), 11 Aprile 2019

RelatoreFranco Modugno
Data di Resoluzione11 Aprile 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 82

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Alessandria, nel procedimento penale a carico di G. S., con ordinanza del 25 ottobre 2017, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 2019 il Giudice relatore Franco Modugno.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale ordinario di Alessandria, con ordinanza del 25 ottobre 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena, a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale e che forma oggetto di nuova contestazione.

    1.1.– Premette il giudice rimettente che, nel corso del dibattimento, all’esito di perizia balistica, era emerso che i tre fucili oggetto della imputazione di illecita detenzione di arma comune da sparo di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), contestata al capo b), – all’imputato era stata contestata anche una contravvenzione in materia di rifiuti, rubricata sotto il capo a) nonché il reato di tentata violenza privata, rubricata sotto il capo c) – erano da considerarsi armi da sparo atte all’impiego; ma era altresì emerso che uno dei tre fucili recava la matricola abrasa e non meramente illeggibile, come riferito dall’ufficiale di polizia giudiziaria esaminato nel dibattimento.

    In relazione a detta arma, pertanto, il pubblico ministero procedeva alla contestazione del reato di cui all’art. 23, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), in quanto arma clandestina (capo d), ed alla correlativa contestazione del delitto di ricettazione della medesima arma (capo e).

    In riferimento a tali nuove contestazioni, l’imputato formulava richiesta di applicazione della pena, indicando il relativo trattamento sanzionatorio e subordinando la richiesta stessa alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

    A fronte di tale richiesta – ha puntualizzato il giudice a quo – il pubblico ministero ha negato il proprio consenso, in quanto, trattandosi di nuove «contestazioni fisiologiche e non patologiche», esse non consentirebbero «la remissione in termini per il patteggiamento», alla luce dei principi affermati nella sentenza di questa Corte n. 265 del 1994. A questo punto, il Tribunale, su accordo delle parti, disponeva lo stralcio dei reati di cui ai capi a) e c) che venivano separatamente definiti con sentenza.

    Nel ritenere corretta la qualificazione giuridica delle nuove contestazioni elevate dal pubblico ministero e non sussistendo i presupposti per l’adozione di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., il giudice a quo reputa dunque astrattamente accoglibile la richiesta di applicazione della pena per i reati connessi contestati in dibattimento (connessione che il giudice a quo desume dalla continuazione fra tutti i reati concernenti le armi); ma, al tempo stesso, ritiene fondati i rilievi del pubblico ministero, dal momento che, trattandosi di nuova contestazione cosiddetta fisiologica a norma dell’art. 517 cod. proc. pen., non è prevista una “rimessione in termini” rispetto al termine di decadenza stabilito dall’art. 446, comma 1, cod. proc. pen.

    1.2.– Verificata, pertanto, la rilevanza della normativa in questione per la decisione sulla domanda di applicazione della pena, il Tribunale reputa che la stessa, nella parte in cui preclude all’imputato la possibilità di formulare richiesta di patteggiamento in riferimento al reato concorrente, frutto di contestazione suppletiva “fisiologica”, contrasti con il diritto di difesa e con i principî di uguaglianza e di ragionevolezza, in rapporto alla differente disciplina riservata ad eguali situazioni.

    Nel rievocare i percorsi seguiti dalla giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo rammenta, infatti, come ad un primo iniziale orientamento di rigore, che faceva leva sulla natura premiale dei riti alternativi e, dunque, sulla possibilità di accedere agli stessi solo laddove si fosse garantita la definizione del processo senza procedere alla celebrazione del dibattimento (si citano le sentenze nn. 593 e 277 del 1990 e n. 316 del 1992), con la successiva sentenza n. 265 del 1994 tale orientamento venne modificato nel caso di contestazioni dibattimentali tardive, dichiarando illegittimi gli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedevano la facoltà per l’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio della azione penale (contestazione cosiddetta patologica), ovvero quando l’imputato aveva tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione della pena in ordine alla originaria imputazione.

    Più di recente, rammenta ancora il giudice a quo, questa Corte, con la sentenza n. 184 del 2014, ha rimosso la preclusione a definire il processo con l’applicazione della pena su richiesta, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale.

    Per ciò che concerne il giudizio abbreviato, dopo una prima fase caratterizzata da alcune pronunce di inammissibilità, fondate sulle innovazioni introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), la Corte, con la sentenza n. 333 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestati in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio della azione penale.

    Con tale ultima pronuncia e con la successiva sentenza n. 139 del 2015 – la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato con riferimento al reato per il quale vi sia stata contestazione suppletiva di circostanza aggravante che già risultava agli atti al momento di esercizio della azione penale – la Corte, sottolinea il giudice a quo, ha parificato le situazioni del patteggiamento e del giudizio abbreviato, rimovendo definitivamente le preclusioni derivanti dalle contestazioni “patologiche”.

    1.3.– In merito, invece, alle contestazioni “fisiologiche”, con la sentenza n. 237 del 2012 la Corte, modificando il precedente orientamento negativo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentiva di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per il reato concorrente emerso nel corso del dibattimento, e divenuto oggetto della nuova contestazione. Ciò, in particolare, in considerazione della non necessaria prevedibilità di possibili variazioni della accusa nel corso della istruzione dibattimentale.

    La medesima soluzione è stata adottata anche nella sentenza n. 273 del 2014, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per il fatto diverso emerso nel corso della istruzione dibattimentale ed oggetto di nuova contestazione.

    Anche per ciò che concerne il patteggiamento – puntualizza ancora il giudice rimettente – la Corte, con la sentenza n. 206 del 2017, ha ritenuto estensibili, alla richiesta di patteggiamento formulata in dibattimento in caso di “contestazione fisiologica” del fatto diverso a norma dell’art. 516 cod. proc. pen., le argomentazioni già svolte in relazione al giudizio abbreviato, rilevando come l’imputato, il quale subisca una nuova contestazione, viene a trovarsi in una posizione diversa e deteriore, per ciò che attiene alla facoltà di accesso ai riti alternativi, rispetto a chi fosse stato chiamato a rispondere della stessa imputazione fin dall’inizio. Da qui, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione.

    Pure in questa circostanza, sottolinea il giudice rimettente, è stato ribadito che condizione essenziale per...

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