Sentenza nº 158 da Constitutional Court (Italy), 13 Luglio 2018

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione13 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 158

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di E.T.R. F.;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni».

    1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessità di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1° luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».

    La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere «il trattamento economico di maternità per l’intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che l’interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era «avvenuta senza effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte della ricorrente».

    1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la disposizione censurata impedisce di riconoscere l’indennità di maternità alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di 60 giorni».

    All’inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da più di sessanta giorni del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia comunque corrisposto il trattamento di maternità, come nelle altre fattispecie tassativamente previste dall’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001.

    1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dalla premessa che l’indennità di maternità miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni connessi alla cura del bambino.

    Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l’assistenza del coniuge disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’inizio del periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le «complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un congedo straordinario».

    Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo liberamente il momento in cui diventare madre.

    In particolare, nel negare l’indennità di maternità quando il rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessità di assistere il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la speciale protezione della maternità, sancita dagli artt. 31 e 37 Cost.

    Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto nega l’indennità di maternità alla lavoratrice che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessità di assistere il coniuge disabile e determina una disparità di trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta anche alla lavoratrice assente dal servizio da più di sessanta giorni.

    Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità». Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato dall’art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva 2006/54 e trasposto nell’ordinamento all’art. 2 bis del d.lgs. n. 198/06», e a causa della disabilità, in contrasto con le previsioni «della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in particolare con «il divieto di discriminazione fondato sull’handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi gli presta assistenza.

    Il rimettente, in ragione della tassatività delle ipotesi in cui il trattamento di maternità è corrisposto anche a prescindere da una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a sessanta giorni, reputa impraticabile l’interpretazione adeguatrice e ravvisa la necessità di investire la Corte costituzionale per la soluzione del dubbio di costituzionalità.

    Questa necessità non potrebbe dirsi superata dal fatto che il conflitto tra norme interne e norme dell’Unione europea di diretta applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma interna...

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