Sentenza nº 94 da Constitutional Court (Italy), 04 Maggio 2017

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione04 Maggio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 94

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte nel procedimento vertente tra Top Ten House srl (in liquidazione) e il Comune di Gaiola, con ordinanza del 17 dicembre 2015, iscritta al n. 34 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione della Top Ten House srl (in liquidazione), nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2017 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato Gregoria Maria Failla per la Top Ten House srl (in liquidazione) e l'avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (d’ora in avanti: TAR) con ordinanza del 17 dicembre 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 111, primo comma, 113, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 12 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [d’ora in avanti: CEDU], firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui stabilisce che «[l]a domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo».

    Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento di danni, proposta dalla società Top Ten House srl nei confronti del Comune di Gaiola in relazione al rilascio di quattro permessi di costruire, successivamente rivelatisi illegittimi.

    Il TAR riferisce che la società aveva acquistato un terreno edificabile di circa 5000 metri quadrati, situato in un’area comunale e in relazione al quale i precedenti proprietari avevano formulato un’istanza di approvazione del piano esecutivo convenzionato per la costruzione di un complesso residenziale e commerciale. Divenuta proprietaria, la ricorrente aveva chiesto al Comune, e ottenuto nei mesi di ottobre e novembre 2011, i quattro titoli abilitativi, di cui uno, gratuito, per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e tre, onerosi, per la costruzione di ville residenziali e la realizzazione della strada privata di collegamento con la viabilità pubblica.

    La società, ottenuti i provvedimenti abilitativi, il 2 gennaio 2012 aveva dato avvio ai lavori, immediatamente interrotti per effetto dell’ordine verbale di sospensione intimato dal Capo cantoniere, poi confermato dall’ANAS spa, in data 29 marzo 2012, con una nota in cui si confermava l’impossibilità di assentire l’avvio delle opere in quanto i permessi erano stati concessi in assenza del preventivo nullaosta dell’ANAS.

    Il rimettente precisa, poi, che, constatata la illegittimità dei permessi, per violazione dell’art. 20 del d.P.R 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A), il Comune, dopo aver trasmesso all’ANAS l’istanza di nullaosta, aveva stipulato la prevista convenzione, trasmessa alla società ricorrente il 24 aprile 2013.

    Aggiunge, inoltre, il TAR che i lavori di costruzione degli immobili residenziali non hanno più avuto inizio per il venir meno della convenienza dell’intervento edilizio e che la società, nel frattempo posta in liquidazione, ha agito per la condanna del Comune al risarcimento del danno, con ricorso notificato l’11 luglio 2013.

    Ciò premesso, il giudice a quo riferisce che, rilevata la tardività della domanda risarcitoria, in relazione al termine di centoventi giorni di cui al comma 3 dell’art. 30 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in poi: cod. proc. amm.), ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale nei termini di seguito indicati.

    In primo luogo, il rimettente si sofferma sulla rilevanza ponendo in rilievo che: a) la società ricorrente lamenta di non aver potuto costruire gli immobili residenziali, autorizzati con i permessi di costruire, a causa dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dall’ANAS spa, per carenza del nullaosta al collegamento con la viabilità di sua competenza; b) la convenzione tra il Comune e l’ANAS è intervenuta il 24 aprile 2013, quando la convenienza dell’intervento edilizio era venuta meno, tanto che pochi mesi dopo la società è stata posta in liquidazione per l’ingente esposizione debitoria; c) il pregiudizio patrimoniale sarebbe causalmente collegato ai titoli abilitativi illegittimi, rilasciati dal Comune in difetto del preventivo parere favorevole dell’ANAS, in violazione dell’art. 20, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui compete al responsabile del procedimento l’acquisizione dei pareri e assensi di altre amministrazioni; d) il danno si sarebbe prodotto e manifestato all’atto della sospensione dei lavori avvenuta il 2 gennaio 2012, o, al più tardi, con la nota dell’ANAS del 29 marzo 2012, sicché il ricorso è stato proposto ben oltre il termine di centoventi giorni, decorrente dalla conoscenza del vizio dei permessi, risalente al 29 marzo 2012.

    Il TAR afferma, dunque, che la domanda risarcitoria si fonda sulla invalidità dei permessi di costruire, e rispetto ad essa deve applicarsi il termine decadenziale di centoventi giorni, di cui al comma 3 dell’art. 30 cod. proc. amm., decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato, che nel caso di specie coincide con quello della sospensione dei lavori disposta dall’ANAS.

    Il giudice a quo, quindi, confuta la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo cui la domanda di risarcimento del danno sarebbe, invece, tempestiva in quanto il procedimento di rilascio dei permessi di costruire si sarebbe perfezionato soltanto con la Convenzione tra l’ANAS ed il Comune per cui il ricorso, ai sensi del comma 4 dell’art. 30 cod. proc. amm., risulterebbe tempestivo.

    La domanda risarcitoria, ad avviso del rimettente, sarebbe meritevole di apprezzamento nella sola parte relativa alla illegittimità dei permessi di costruire, provvedimenti non impugnati dalla società, la quale lamenta un rilevante danno patrimoniale scaturito proprio dal vizio relativo a quei permessi e che ha impedito, per oltre un anno, l’esecuzione delle opere di urbanizzazione.

    Così qualificata, la domanda risarcitoria dovrebbe, pertanto, essere dichiarata irricevibile, ai sensi del comma 3 dell’art. 30 cod. proc. amm.

    Ciò premesso, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come l’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., sia in contrasto con gli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 111, primo comma, 113, primo e secondo comma, Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost. quest’ultimo in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli artt. 6 e 13 della CEDU.

    In primo luogo, secondo il TAR, il processo amministrativo per essere definito giusto deve offrire la garanzia di adeguate forme di tutela della situazione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente.

    Sotto tale profilo, a livello sovranazionale, verrebbe in rilievo l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale, secondo la giurisprudenza comunitaria, costituisce la riaffermazione del principio secondo cui la tutela giurisdizionale deve essere effettiva; principio sancito anche dagli artt. 6 e 13 della CEDU (al riguardo, è indicata tra le tante la sentenza della Corte di giustizia 28 febbraio 2013, C-334/12, Jaramillo e a.).

    Le esigenze di equivalenza e di effettività, prosegue il rimettente, dovrebbero rilevare sia sul piano della designazione dei giudici competenti a conoscere delle azioni, sia per quanto riguarda «la definizione delle modalità procedurali che reggono tali azioni» (sono indicate alcune pronunce della Corte di giustizia: sentenza 18 marzo 2010, C-317/08, Alassini; sentenza 27...

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