n. 6 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 5 marzo 2013 -

IL TRIBUNALE Nel procedimento penale n. 36253/08 P.M.RN.R. e n. 27180/10 Registro Generale a carico di: Iannuzzi Raffaele, nato a Grottolella (AV) il 20 febbraio 1928, domiciliato in Roma in via Giovan Battista De Rossi n. 32, presso lo studio dell'avvocato Grazia Volo, difeso di fiducia dall'avvocato Grazia Volo e dall'avvocato Dando Romagnino;

Imputato per il delitto p. e p.: a) artt. 595 1°, 2°, e 3° co. c.p., 13 L. 47/48, 61 n. 10 c.p. perche' in qualita' di autore del libro intitolato «Lo sbirro e lo Stato» edizioni Koine' 2008, da intendersi qui trascritto, offendeva, con il mezzo della stampa e mediante attribuzione di fatti determinati, la reputazione di Lo Forte Guido, magistrato gia' in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo in qualita' di Procuratore Aggiunto a causa dell'adempimento delle sue funzioni;

in particolare, redigendo l'opera predetta: riproponeva i contenuti diffamatori dell'articolo pubblicato su Il Giornale del 7 novembre 2004 intitolato «Mafia: 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri» nel quale si ricostruivano vicende giudiziarie cui aveva preso parte per le sue funzioni il Lo Forte, indicandole come conseguenza o comunque espressione di una guerra promossa dalla Procura di Palermo contro il R.O.S. dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell'Arma, con finalita' diverse da quella istituzionale;

affermava, sempre con riferimento all'attivita' della Procura di Palermo e quindi del Lo Forte;

che «Bruno Contrada non e' il solo poliziotto, il solo servitore dello Stato perseguito e incriminato dai professionisti dell'Antimafia della Procura di Palermo» (f.76);

che «e' stato cosi per il Tenente dei Carabinieri Carmelo Canale, il piu' fidato collaboratore del giudice Paolo Borsellino, che lo chiamava fratello, e che e' stato perseguitato e processato per anni soltanto perche' difendeva la memoria del M.llo Lombardo» (f. 76);

che «e cosi e' stato per il Capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donno, il principale collaboratore di Giovanni Falcone, che aveva avuto il torto di denunciare la fuga di notizie dalla Procura di' Palermo dell'inchiesta sulla mafia e sugli appalti» (f.76);

che «e cosi il Maggiore Obinu che voleva riportare in Italia dagli Stati Uniti il boss Gaetano Badalamenti per testimoniare contro le false accuse mosse contro a Giulio Andreotti» (f.77);

che «e cosi per il Colonnello Meli, che comandava il Gruppo dei Carabinieri di Monreale, ed aveva scoperto che il pentito Baldassare Di Maggio, liberato dal carcere e pagato per ordine della Procura di Palermo, scorrazzava per la Sicilia ammazzando i suoi nemici» (f.77);

che «e per il capitano Sergio Di Caprio, il leggendario capitano Ultimo, che ha arrestato il capo della mafia Toto Riina, ed e' stato perseguito per anni e processato con l'accusa di non aver perquisito in tempo il covo di Riina per complicita' con la mafia» (f. 77);

che «e con lui hanno perseguitato per anni e hanno processato il Generale Mario Mori, comandante dei R.O.S. e poi comandante del SISDE, il servizio segreto civile» (f. 77);

che «e non contenti di una persecuzione che dura da 15 anni, nonostante che alla fine il Generale Mori e' stato assolto, assieme a Di Caprio, con la formula piena, i professionisti dell'Antimafia si apprestano a riprocessare Mori con l'accusa di non aver voluto arrestare Bernardo Provenzano, il Carabiniere che ha arrestato Toto Riina, sara' infamato ancora per anni e processato per non aver arrestato Provenzano» (f. 77);

che «questi pentiti che vengono usati per incriminare e processare non i mafiosi ma i poliziotti e i carabinieri che combattono e arrestano i mafiosi» (f. 77);

sosteneva nel contesto complessivo della pubblicazione che il magistrato suddetto era un «professionista dell'antimafia» la cui attivita' giudiziaria sarebbe stata improntata a dolosa faziosita' e ad intenti persecutori, comunque ispirata da finalita' illecite attuate mediante comportamenti devianti. In Roma nel febbraio 2008, querela del 12 luglio 2008. b) artt. 595 1°, 2° e 3° co. c.p., 13 legge n. 47/48, 61 n.10 c.p. perche', in qualita' di autore del libre intitolato «Lo sbirro e lo Stato» edizioni Koine' 2008, da intendersi qui trascritte, offendeva, con il mezzo della stampa e mediante attribuzione di fatti determinati, la reputazione di Caselli Giancarlo, magistrato gia' in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo in qualita' di Procuratore, a causa dell'adempimento delle sue funzioni;

in particolare, redigendo l'opera predetta: riproponeva i contenuti diffamatori dell'articolo pubblicato su Il Giornale del 7 novembre 2004 intitolato «Mafia: 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri» nel quale si ricostruivano vicende giudiziarie cui aveva preso parte per le sue funzioni il Caselli, indicandole come conseguenza e comunque espressione di una guerra promossa dalla Procura di Palermo contro il R.O.S. dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell'Arma, con finalita' diverse da quelle della funzione istituzionale;

affermava, sempre con riferimento all'attivita' della Procura di Palermo, e quindi del Caselli: che «Bruno Contrada non e' il solo poliziotto, il solo servitore dello Stato perseguito e incriminato dai professionisti dell'Antimafia della Procura di Palermo» (f. 76);

che «e' stato cosi per il Tenente dei Carabinieri Carmelo Canale, il piu' fidato collaboratore del giudice Paolo Borsellino, che lo chiamava fratello, e che e' stato perseguitato e processato per anni soltanto perche' difendeva la memoria del M.llo Lombardo» (f. 76);

che «cosi e' stato per il Capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donna, il principale collaboratore di Giovanni Falcone, che aveva avuto il torto di denunciare la fuga di notizie dalla Procura di Palermo dell'inchiesta sulla mafia e sugli appalti» (f. 76);

che «e' cosi il Maggiore Obinu che voleva riportare in Italia dagli Stati Uniti il boss Gaetano Badalamenti per testimoniare contro le false accuse mosse contro Giulio Andreotti» (f. 77);

che «e' cosi per...

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