Sentenza nº 192 da Constitutional Court (Italy), 11 Luglio 1984

RelatoreAntonio La Pergola
Data di Resoluzione11 Luglio 1984
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 192

ANNO 1984

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Dott. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO

Prof. ETTORE GALLO

Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 2 marzo 1949, n. 143 (Tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 giugno 1978 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Lazzaro Remo e Rigato Michele iscritta al n. 566 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 dell'anno 1979;

2) ordinanza emessa il 17 novembre l981 dalla Corte di Appello di Potenza nel procedimento civile vertente tra Pica Matteo e Latorraca Vito iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 22 gennaio 1982 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Ospedale civile Immacolata Concezione e Caneva Vittorio iscritta al n. 258 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 262 dell'anno 1982.

Visti gli atti di costituzione del Consiglio nazionale degli ingegneri, di Latorraca Vito e di Caneva Vittorio;

Udito nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

Udito l'avvocato Claudio Rossano per il Consiglio nazionale degli ingegneri e per Vito Latorraca.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza emessa il 26 giugno 1978, su ricorso di Lazzaro Remo, la Corte di Cassazione ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 18 della legge 2 marzo 1949, n. 143 (Tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti), in riferimento all'art. 3 Cost.

    Il Lazzaro proponeva opposizione avverso il decreto 12 dicembre 1969, col quale il Presidente del Tribunale di Padova gli aveva ingiunto di pagare all'architetto Rigato L. 1.866.852 per compensi professionali, deducendo, fra l'altro, l'illegittimità della maggiorazione pretesa dal professionista ex art. 18 della legge sulle tariffe degli architetti e ingegneri.

    Respinta l'opposizione, il Lazzaro ricorreva alla Corte di Appello di Venezia, davanti alla quale sollevava la presente eccezione di costituzionalità. Quella Corte la dichiarava manifestamente infondata, respingendo l'appello.

    Il soccombente ricorreva allora per Cassazione, sollevando di nuovo la suddetta eccezione: l'art. 18 sarebbe incostituzionale nella parte in cui prevede a carico del committente che receda dal contratto un supplemento corrispondente ad un quarto del compenso spettante al professionista per l'opera effettivamente prestata. Tale disposizione, secondo il ricorrente, privilegerebbe ingiustificatamente ingegneri e architetti rispetto agli altri professionisti, modificando in peius la situazione obbligatoria del cliente, come stabilita dal codice civile agli artt. 2229 e seguenti. Afferma anzitutto la Corte di Cassazione che "la questione interessa il giudizio, in quanto la scelta del criterio da seguire per stabilire i compensi reclamati condiziona la decisione, e non appare priva all'evidenza di fondamento". Rileva ancora la Suprema Corte che la Corte di Appello di Venezia ha respinto la eccezione sulla base dei criteri particolari che informano le varie tariffe in relazione alla peculiarità della singola professione, di fronte alla quale sarebbe da escludere la lamentata disparità di trattamento.

    Ad avviso della Suprema Corte occorre, invece, accertare se le caratteristiche delle prestazioni professionali in questione giustifichino effettivamente una disciplina particolare, derogatoria rispetto al regime del codice civile. Tale regime prevede la possibilità che il committente possa recedere dal contratto senza restrizioni, mentre il professionista può esercitare il recesso solo per giusta causa. La differenza di trattamento fra le parti é stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 25 del 1974. Il legislatore ha dunque voluto espressamente tutelare maggiormente la posizione del committente. A suo carico in caso di recesso, il codice si limita a prevedere l'obbligo della corresponsione al professionista del rimborso delle spese e dei compensi dovuti per i lavori svolti, secondo le tariffe.

    La legge sulle tariffe per gli ingegneri ed architetti dopo aver disposto all'art. 15 che il compenso al professionista va riferito all'intera prestazione dell'opera e calcolato in percentuale sull'importo del consuntivo lordo, stabilisce, all'art. 18, che la limitazione dell'incarico originario solo ad alcune prestazioni comporta l'aggiunta del 25%. Detta maggiorazione é prevista anche per l'ipotesi di sospensione, o meglio di revoca, dell'incarico, di cui all'art. 10. Quest'ultima norma dispone, dal canto suo, che la sospensione per qualsiasi motivo dell'incarico non esime il cliente dall'obbligo di corrispondere al prestatore d'opera l'onorario relativo al lavoro svolto e predisposto in base all'art. 18, lasciando fermo il diritto del professionista al risarcimento degli eventuali maggiori danni, qualora la sospensione non dipenda da cause a lui imputabili.

    Tale normativa, afferma la Corte di Cassazione, é indubbiamente derogatoria rispetto a quella prevista dal codice civile. Per risultare costituzionalmente legittima, essa dovrebbe quindi trovare una sua razionale giustificazione. L'analoga disposizione dell'art. 10 della precedente tariffa, approvata con decreto ministeriale del 1 dicembre 1932, era stata ritenuta dalla stessa Suprema Corte in contrasto con l'art. 2237 del codice civile e pertanto da disapplicare, in quanto approvata con atto secondario, inidoneo a modificare il regime della legge. Quanto alla norma ora censurata, la giustificazione del trattamento da essa disposto in deroga al codice civile non si rinviene, ad avviso del giudice a quo nemmeno nei lavori preparatori della legge che la contiene.

    Ammette il Supremo Collegio che le prestazioni di opere architettoniche o di ingegneria possano, in relazione al complessivo disegno del lavoro da svolgere, anche implicare un impegno eccedente dai limiti della porzione progettata.

    Senonché, si dice, questo riflesso dell'opera del professionista non poteva essere sfuggito agli autori del codice civile, perché ricorre, in misura più o meno accentuata, con riferimento a tutte le attività intellettuali; e d'altronde le caratteristiche delle attività professionali in settori vicino a quello in considerazione - tali, in particolare, sarebbero le prestazioni dei geometri, nel campo dell'edilizia - non hanno ispirato al legislatore correttivi o maggiorazioni del compenso del professionista che valgano per l'ipotesi del recesso del committente, come invece é previsto nella specie. In tale quadro, la affermazione del ricorrente, secondo cui la normativa in esame sarebbe destinata a ripristinare una situazione di parità tra le parti (committente e professionista) sul piano economico - parità negata sul piano giuridico - costituirebbe in realtà un argomento in favore della denunciata disparità di trattamento. L'aumento del 25% non potrebbe del resto essere considerato come compenso per la mancata realizzazione delle capacità del professionista o per l'eventuale agevolazione di cui fruirebbe chi gli subentra nello svolgimento del lavoro per il fatto di giovarsi della prestazione iniziale, dal momento, si osserva anche qui, che tale situazione ricorre quando più, quando meno chiaramente - con riguardo a tutte le attività professionali. Dopo di che, la violazione dell'art. 3 Cost. é prospettata in questi termini: il committente é tutelato nel senso che gli oneri conseguenti al non compimento dell'opera, per via del suo recesso, risultano tassativamente precisati, ed implicano situazioni svantaggiose per il professionista, laddove la previsione, in una particolare legge professionale, di una maggiorazione del compenso del prestatore d'opera, che prescinde dalla illiceità del comportamento del cliente, determinerebbe un ingiustificato privilegio rispetto alle altre categorie professionali.

    La discrezionalità del legislatore, nel disciplinare situazioni che esso ritenga eguali, deve pur sempre essere esercitata, secondo la Corte di Cassazione, nei limiti della ragionevolezza, oltre che nel rispetto dei principi costituzionali. Il che non pare sia avvenuto nel caso in esame.

    Il giudice a quo ritiene pertanto che l'eccezione sollevata dalla parte privata non sia...

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