Sentenza nº 159 da Constitutional Court (Italy), 29 Luglio 1982

Date29 Luglio 1982
IssuerConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 159

ANNO 1982

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Prof. GIOVANNI CONSO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso con ordinanzaemessa il 15 marzo 1978 dal Giudice istruttore del Tribunale di Torino, nel procedimento penale a carico di Contaldo Pierino, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 6 settembre 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento penale a carico di Contaldo Pierino, imputato di falsa testimonianza e di favoreggiamento personale successivamente al suo proscioglimento ai sensi dell'art. 80 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 82 della stessa legge n. 685 del 1975, che impone, in deroga agli artt. 348 e 465 c.p.p., a "coloro i quali siano stati dichiarati non punibili peravere agito nelle condizioni di cui all'art. 80", il dovere dideporre come testimoni nei processi relativi ai fatti che comunque possono portare all'individuazione delle persone o delle organizzazioni criminose che illecitamente producono, fabbricano, importano, esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo la deroga stabilita dalla norma impugnata alla generale impossibilità di assunzione testimoniale, a pena di nullità, degli imputati di un reato connesso (salvo che siano stati prosciolti, a seguito di giudizio, con la formula per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste) ha l'esclusiva funzione di consentire l'uso di uno strumento in più nella difficile opera di individuazione di soggetti particolarmente pericolosi quali gli spacciatori di sostanze stupefacenti. Tuttavia, "a parte le considerazioni che si possono svolgere sulla reale efficacia di questo strumento", sta il rilievo che il tossicomane, prosciolto ex art. 80, diviene, in base al successivo art. 82, possibile imputato di altri reati; e ciò in contrasto con lo spirito della legge n. 685 del 1975 che tende a considerarlo, piuttosto che un delinquente, un malato da curare e un cittadino da reinserire; le ragioni della deroga sembrano quindi - secondo il giudice a quo situarsi sul versante opposto rispetto agli intenti del legislatore. Ma, aldilà di tale puntualizzazione, vi é un preciso dato di riferimento per considerare illegittimo l'art. 82; si tratta della sentenza n. 201 del 1975 della Corte costituzionale con la quale venne affermato, testualmente: "é razionale che il soggetto che abbia reso, a suo tempo, interrogatorio in qualità di coimputato, non possa essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti. Ciò perché il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità finirebbe col togliere attendibilità alla sua deposizione".

Orbene, conclude il Giudice istruttore, l'affermazione della Corte, relativa proprio alla dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, secondo comma, c.p.p., non lascia adito ad equivoci se é vero che la Corte non ha "posto in luce la possibilità di deroghe alcune al principio del divieto di testimonianza dell'imputato prosciolto in processo per fatti connessi".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 1978.

Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Premette l'Avvocatura, con riferimento alla decisione della Corte indicata dal giudice a quo, che la razionalità di una regola generale (quella fissata nell'art. 348 c.p.p.) non significa assolutamente inderogabilità della regola stessa quando valide ragioni richiedano una disciplina particolare.

A ben vedere, poi, quella introdotta con la norma impugnata non é la sola eccezione operante nel nostro diritto positivo al divieto di assumere come testimoni gli imputati di uno stesso reato o di reato connesso anche se prosciolti: la Corte di cassazione, infatti, con giurisprudenza costante, ha statuito che non é vietata la testimonianza del coimputato che sia anche persona offesa rispetto ad un reato connesso, perché chi é stato offeso da un reato é tenuto a deporre ai sensi dell'art.408 c.p.p.. La norma impugnata, che stabilisce...

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