Sentenza nº 19 da Constitutional Court (Italy), 07 Marzo 1978

RelatoreLuigi Oggioni
Data di Resoluzione07 Marzo 1978
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 19

ANNO 1978

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. PAOLO ROSSI, Presidente

Dott. LUIGI OGGIONI

Avv. LEONETTO AMADEI

Prof. EDOARDO VOLTERRA

Prof. GUIDO ASTUTI

Dott. MICHELE ROSSANO

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. LEOPOLDO ELIA

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma terzo, 3, comma primo, 7, primo, penultimo ed ultimo comma, 65 e 72 t.u. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; degli artt. 10, comma secondo, 11, ultimo comma e 13, primo e secondo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345; degli artt. 2, 8, 9 della legge 21 marzo 1953, n. 161; dell'art. 16 del Regolamento dei servizi della Corte dei conti approvato con deliberazione delle S.U. della Corte stessa del 25 giugno 1915; dell'art. 38 del Regolamento approvato dalle S.U. il 2 luglio 1913; dell'art. 3 della legge 13 ottobre 1969, n. 691; dell'art. 60, penultimo ed ultimo comma, del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038; dell'art. 4, comma secondo, del d.1. 5 maggio 1948, n. 589 (t.u. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti e leggi successive), promosso con ordinanza 6 maggio 1977 del Magistrato relatore della seconda sezione giurisdizionale della Corte dei conti, nel giudizio reso dal Tesoriere del Comune di Aieta, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 del 13 luglio 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 1977 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 26 aprile 1977 il Presidente della seconda sezione giurisdizionale della Corte dei conti designava il referendario dott. Sciarretta quale relatore sui conti degli Enti locali della Calabria. Questi, con ordinanza emessa il 6 maggio 1977, nell'esercizio delle dette funzioni nel giudizio sul conto reso dal Tesoriere del Comune di Aieta, ai sensi dell'art. 29 r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, premesso che doveva pregiudizialmente essere accertata la legittimità della propria costituzione quale "giudice relatore" ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ. sia sotto il profilo della validita della investitura, sia sotto il profilo delle necessarie garanzie di indipendenza nell'esercizio di funzioni giurisdizionali, si considerava legittimato a sollevare in quella sede questioni di costituzionalità ai fini dell'accertamento suddetto, dovendosi, a suo avviso, ravvisare un parallelismo tra le funzioni assegnate al referendario relatore nel processo contabile e quelle del giudice istruttore nel processo civile. E ciò in quanto l'attività del relatore consisterebbe essenzialmente nella formulazione di "proposte" dalle quali dipenderebbe l'ulteriore svolgimento del processo, e che, "pur non avendo tali proposte carattere decisorio", giustificherebbero il riconoscimento di detta legittimazione in analogia a quanto stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, che avrebbe ritenuto ammissibile la questione sollevata dal giudice penale di sorveglianza quando é chiamato a rendere il parere di cui all'art. 144 cod. pen. sulla ammissione del condannato alla libertà condizionale.

Quanto alla rilevanza delle questioni attinenti alla investitura del relatore ed alle garanzie di indipendenza, il detto referendario relatore osservava che, concernendo le dette questioni, la norma che consente la nomina del Presidente della Corte da parte del Governo (art. 7 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214), l'eventuale caducazione della stessa norma avrebbe l'effetto di escludere la legittimità della nomina e, conseguenzialmente, la legittimità sia della assegnazione del presidente della seconda sezione giurisdizionale, effettuata appunto dal Presidente della Corte, sia della designazione del relatore, effettuata dal presidente di sezione. Il relatore, quindi, in caso di accoglimento delle censure e di conseguente annullamento della norma, risulterebbe carente di legittimazione alle funzioni assegnategli, dal che ovviamente deriverebbe la pregiudizialità della questione.

Ciò premesso, il giudice a quo passava ad illustrare le censure contro il menzionato art. 7 del t.u. n. 1214 del 1934, osservando in sostanza che, in base a tale norma, la scelta del Presidente della Corte sarebbe affidata all'arbitrio del Governo che adotterebbe al riguardo criteri di natura politica ed inciderebbe comunque sull'indipendenza dell'Istituto, sotto molteplici aspetti che andrebbero identificati nella possibilità di influire sul vertice dell'Istituto mediante la scelta dal momento della nomina (che porrebbe il presidente reggente nel periodo intermedio, a volte di diversi mesi, in posizione di subordinazione nei confronti del Governo ai fini di una eventuale nomina definitiva); sia nel potere esclusivo del Governo di provocare il parere sulla inamovibilità del presidente da parte della Commissione parlamentare prevista dall'art. 8 t.u. n. 1214 del 1934; sia nella corresponsione al Presidente della Corte di un compenso per lavoro straordinario, che sarebbe rimesso alla discrezionalità del Presidente del Consiglio; sia nel sistema di conferimento di incarichi esterni presso pubbliche amministrazioni ex artt. 7, ultimi due commi, del t.u. suddetto e 8 e 9 legge 21 marzo 1953, n. 161, che sarebbe tale da creare un intreccio di interessi fra il Presidente della Corte e i capi delle amministrazioni stesse.

Questa possibilità di influenza causerebbe gravi disfunzioni in seno alla Corte data l'ampiezza dei poteri del Presidente che avrebbe la facoltà di trasferire i magistrati da un ufficio all'altro ex art. 16 del Regolamento approvato dalle sezioni unite il 25 giugno 1915, e potrebbe a sua volta influire sulle promozioni a scelta previste dagli artt. 10 e 13 legge 20 dicembre 1961, n. 1345, essendo presidente del Consiglio di presidenza di cui é richiesto il parere, e sarebbe titolare, col Governo, dell'iniziativa del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 8 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214.

Tutto quanto premesso si rifletterebbe anche sulla indipendenza del "gruppo di vertice della Corte (presidenti di sezione e Procuratore generale) come componenti del Consiglio di presidenza e, comunque, come componenti del gruppo nell'ambito del quale normalmente si esercita la scelta del Presidente da parte del Governo e che quindi, pur essendo magistrati, si troverebbero nella prospettiva di accedere a funzioni più elevate per effetto di decisioni discrezionali di un organo della pubblica amministrazione.

In base a tutto ciò, il giudice a quo ha quindi ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, per la violazione degli artt. 100, ultimo comma, 101, secondo comma, e 108, secondo comma, Cost. concretantesi appunto nella lamentata ingerenza governativa nei confronti del Presidente e dei magistrati più elevati della Corte.

Il giudice a quo denunzia poi ulteriori vizi di legittimità, questa volta attinenti alla pretesa lesione della propria indipendenza in quanto gli verrebbe tolta la dovuta serenità ed autonomia di giudizio per effetto della possibile privazione delle funzioni delle quali é investito, mediante l'assegnazione alle funzioni requirenti per disposizione del Presidente della Corte, in virtù dell'art. 11, ultimo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345, come pure del possibile trasferimento da parte del Presidente ad altra sezione giurisdizionale (ex art. 2, secondo comma, legge 21 marzo 1953, n. 161), o ad altro ufficio della Corte (ex art. 16 del Regolamento 25 giugno 1915). E ciò anche senza il suo consenso e senza la possibilità di un effettivo controllo della sussistenza di ragioni valide alla base dei trasferimenti, e comunque in assenza di criteri obbiettivi predeterminati al riguardo, a differenza di quanto accadrebbe non solo per i magistrati ordinari e dei tribunali amministrativi, che possono ricorrere ad organi elettivi appositamente previsti, ma perfino per quanto riguarda gli impiegati civili dello Stato, i quali pure godrebbero di garanzie superiori, potendo ricorrere al Consiglio di amministrazione competente.

Pertanto, secondo il giudice a quo, le citate norme (art. 11, ultimo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345; art. 2, secondo comma...

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