Sentenza nº 35 da Constitutional Court (Italy), 24 Giugno 1961

Data di Resoluzione24 Giugno 1961
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 35

ANNO 1961

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 7 luglio 1959, n. 490, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 2 marzo 1960 dal Consiglio di Stato in s. g. - Sezione IV - su ricorso della "Società Fondiaria Agricola Industriale" ed altre società esercenti l'industria zuccheriera contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, quale Presidente del C.I.P., Mascolo Alfonso, Caccianini di Frisa Giovanni e l'Associazione Nazionale Bieticoltori, e con l'intervento della "Società Generale Conserve Alimentari Cirio", iscritta al n. 63 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 16 luglio 1960;

2) ordinanza emessa il 24 giugno 1960 dal Tribunale di Modena nel procedimento civile vertente tra Meletti Luigi e la Società italiana per l'industria degli zuccheri, iscritta al n. 73 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 3 settembre 1960.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per la "Società Fondiaria Agricola Industriale" e le altre società, nonché, unitamente all'avv. Massimo Severo Giannini, per la Società italiana per l'industria degli zuccheri, gli avvocati Aldo Dedin e Paolo Boitani, per Caccianini di Frisa Giovanni, ed i sostituti avvocati generali dello Stato Luciano Tracanna e Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Dinanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato pendeva il ricorso proposto dalla "Società Fondiaria Agricola Industriale", con sede in Valdagno, ed altre Società esercenti l'industria zuccheriera contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, quale Presidente del C.I.P., nonché Mascolo Alfonso, Caccianini di Frisa Giovanni e l'Associazione Nazionale Bieticoltori, e con l'intervento della "Società Generale Conserve Alimentari Cirio", per l'annullamento della deliberazione del C.I.P. 5 giugno 1959, n. 796, relativa al prezzo delle bietole da zucchero prodotte nella campagna 1959. Su analoga eccezione dei ricorrenti fu sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 7 luglio 1959, n. 490, sotto il profilo della violazione degli artt. 41 e 113 della Costituzione. Con ordinanza 2 marzo 1960, la questione stessa veniva rimessa alla competenza della Corte costituzionale.

  2. - Il Consiglio di Stato osservava nella propria ordinanza, innanzi tutto, che l'impugnato art. 5, primo comma, stabilisce che: "per le barbabietole da zucchero del raccolto 1959, il prezzo di cessione che risulta determinato dal C.I.P. alla data di pubblicazione della presente legge deve intendersi prezzo fermo", e che il secondo comma dello stesso articolo dispone che "per il raccolto di cui al comma precedente, sono confermate le altre condizioni di cessione concordate tra l'Associazione Nazionale Bieticoltori e le ditte e società saccarifere per la campagna 1957". Affermava, quindi, che la prima di tali espressioni legittima l'opinione che la norma stessa abbia interamente regolato la materia oggetto di contestazione, in quanto il richiamo "al prezzo che risulta determinato" dimostra l'intendimento non di regolare solo l'efficacia della deliberazione del C.I.P., conferendo qualifica di "fermo" al prezzo massimo con essa deliberazione stabilito, ma bensì di recepire legislativamente la misura determinata, assumendo così nella norma il prezzo stesso, come risultato della elaborazione del C.I.P. Conclusione, questa, che sarebbe confermata dalla seconda espressione citata, riproducente pressoché letteralmente l'introduzione del provvedimento impugnato, e dalla considerazione che, al momento della entrata in vigore della legge, tutte le contrattazioni relative al raccolto 1959 erano già definite, avvenendo esse, per le semine primaverili, nell'autunno dell'anno precedente e, per le semine autunnali, nei primi mesi dell'anno stesso. Ciò, infatti, come si legge nell'ordinanza, escluderebbe la possibilità di considerare valida la norma solo per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, e ne chiarirebbe la portata comprensiva della materia regolata dalla legge impugnata "con efficacia ex tunc e senza lasciare alcun margine che possa considerarsi autonomamente regolato dall'atto amministrativo".

    Da queste conclusioni il Consiglio di Stato desumeva, in tesi, l'inammissibilità del ricorso, ma traeva, peraltro, anche la conseguenza della pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti nei termini predetti sulla pronuncia in ordine alla inammissibilità del ricorso, fondata, appunto, sul presupposto della recezione in sede legislativa del contenuto dell'atto amministrativo impugnato, e, quindi, sulla validità della relativa norma di legge.

    Quanto al merito della questione di legittimità costituzionale, il Consiglio di Stato, nell'ordinanza di rimessione osservava, relativamente alla prospettata violazione dell'art. 113 della Costituzione, che la garanzia che é conferita al cittadino attraverso la potestà di impugnare in sede giurisdizionale gli atti amministrativi - quali appunto sono le deliberazioni del C.I.P., come ritenuto dalla Corte costituzionale con sentenza 8 luglio 1957, n. 103 - verrebbe meno nel caso in cui il legislatore trasformi ex post l'atto amministrativo in norma legislativa. Ciò apparirebbe tanto più evidente nel caso di specie, ove si consideri che l'art. 5 viene a stabilire un vero e proprio ius singulare per il raccolto del 1959, conferendo forza di legge al deliberato del C.I.P. al riguardo, e conservando, invece, la garanzia giurisdizionale relativamente agli altri provvedimenti considerati nella legge, di natura evidentemente amministrativa. Questo comportamento del legislatore parrebbe anzi, secondo l'ordinanza, costituire una vera e propria sanatoria dei vizi da cui fosse eventualmente affetto l'atto impugnato, e l'incostituzionalità potrebbe ravvisarsi, come pure si precisa nell'ordinanza, proprio particolarmente in relazione alla retroattività di una norma che incide, ora per allora, assorbendolo e modificandone la natura, su un atto amministrativo emanato in base ad una legge diversa. Il che varrebbe a differenziare la fattispecie in esame da quella già risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza 25 maggio 1957, n. 60, la quale ha considerato e ritenuto costituzionalmente legittimi in relazione all'art. 113 della Costituzione i decreti di esproprio emanati in forza delle leggi sulla riforma fondiaria, decreti che la Corte costituzionale ha ricondotto nello schema della legge delegata.

  3. - Relativamente, poi, all'altro aspetto di incostituzionalità denunciato, il Consiglio di Stato rilevava che la norma impugnata non si risolve né in programma né in controllo, nel senso proprio che a questi termini dovrebbe attribuirsi a norma dell'art. 41 della Costituzione, terzo comma. Ed invero l'art. 5 impugnato non porrebbe un programma, poiché, mentre a tale concetto inerisce la natura di regolamentazione preventiva, esso art. 5 incide su rapporti già esauriti o in via di esaurimento.

    Né potrebbe escludersi l'incostituzionalità riguardando la norma sotto il profilo del controllo, giacché, dalla contemporaneità dell'iter della deliberazione del C.I.P. e della legge impugnata, e dalla comunanza delle finalità perseguite, dovrebbe desumersi che il prezzo di cessione delle bietole fu, in entrambi i casi, il risultato degli stessi criteri di determinazione. Ora, prosegue l'ordinanza, il C.I.P. ha adottato in proposito un criterio differenziale, ragguagliato alla resa del prodotto, che potrebbe essere considerato come una partecipazione accordata ai bieticoltori sui profitti dell'industria zuccheriera, oppure, addirittura, come una sovvenzione posta a carico degli industriali ed a favore degli agricoltori. Nel che potrebbe ravvisarsi una finalità protettiva di un determinato settore economico, conseguita facendone gravare l'onere su un'altra categoria di operatori, e, quindi, un vizio di contrasto con la libertà di iniziativa economica, analogo a quello che la Corte costituzionale, con sentenza 30 dicembre 1958, n. 78, ha rilevato nel D.L.C.P.S. 16 settembre 1947, n. 929, contenente norme circa il massimo impiego dei lavoratori agricoli.

  4. - L'ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, anche quale Presidente del C.I.P., al Mascolo, al Caccianini ed alla Società Cirio il 29 aprile 1960, ed alle ricorrenti il 30 aprile successivo, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 luglio 1960, n. 174.

    La "Società Fondiaria Agricola Industriale" e le altre Società ricorrenti si sono costituite a mezzo dell'avv. Antonio Sorrentino il quale, in data 23 maggio 1960, ha depositato le proprie deduzioni nella cancelleria della Corte costituzionale.

  5. - La difesa delle società premette che la favorevole posizione garantita ai bieticoltori per l'elevatezza del prezzo del prodotto e la sicurezza del suo collocamento conseguita attraverso i contratti nazionali aveva condotto ad un progressivo espandersi della coltura, anche in virtù della collaborazione istituitasi fra bieticoltori e industriali dello zucchero mediante la fissazione di un prezzo delle bietole proporzionale a quelle delle zucchero determinato...

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