Sentenza nº 66 da Constitutional Court (Italy), 22 Aprile 2024

Data di Resoluzione22 Aprile 2024
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 66 del 2024

SENTENZA N. 66

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, promosso dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, nel giudizio proposto da P. S., con ordinanza del 29 maggio 2023, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 29 maggio 2023, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, nel corso di un giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso introdotto, ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), da P. S., ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

  2. – Il giudice a quo espone che l’attore ha allegato «disforia di genere» e documentato il percorso di transizione dal genere maschile a quello femminile, richiedendo la rettificazione di attribuzione di sesso e del prenome da P. a S. e, in caso di accoglimento della domanda e ricorrendone le condizioni di legge, la trasformazione dell’unione civile contratta con S. B. in matrimonio, nell’osservanza delle forme previste per la opposta ipotesi di conversione del matrimonio in unione civile, con le annotazioni di legge da curarsi dal competente ufficiale dello stato civile. Per la eventualità di rigetto della domanda, l’attore ha dedotto la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 nella parte in cui prevede, in caso di accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei componenti di una unione civile, l’automatico scioglimento della stessa, senza possibilità della sua trasformazione in matrimonio previa dichiarazione resa dalle parti davanti al giudice della rettificazione, con conseguente soluzione di continuità delle tutele riconosciute dall’ordinamento al precedente vincolo.

    Il rimettente riferisce altresì che S. B., comparso personalmente in udienza, ha reso congiuntamente all’attore dichiarazione di voler costituire e/o trasformare, in caso di accoglimento della domanda di rettifica del sesso, l’unione civile in matrimonio. Il difensore di P. S. ha comunicato l’intenzione del proprio assistito di rinunciare agli atti del giudizio «in caso di declaratoria di irrilevanza o manifesta infondatezza della questione».

  3. – Il Tribunale rimettente ritiene verosimilmente fondata la domanda di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso e, nella dedotta sufficienza di un rigoroso accertamento del giudice di merito in ordine al «disturbo di identità di genere e di un serio, univoco e tendenzialmente irreversibile percorso individuale di acquisizione di una nuova identità» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 180 del 2017 e n. 221 del 2015, e la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 20 luglio 2015, n. 15138), riscontra «al di là di ogni ragionevole dubbio», per le «apparentemente univoche» risultanze di prova di cui alle relazioni del Centro interdipartimentale disturbi identità di genere, C.I.D.I.Ge.M., dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della salute e della scienza di Torino, la sussistenza di disforia di genere in capo a P. S., che aveva acquisito una identità psicosessuale femminile non corrispondente al sesso attribuitogli nell’atto di nascita.

  4. – Ciò premesso, il Collegio rimettente richiama la sentenza n. 170 del 2014, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982, e, in via consequenziale, dell’art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del 2011 – che aveva sostituito il citato art. 4, abrogato dall’art. 36 dello stesso decreto legislativo, riproducendone però il contenuto con minima, ininfluente variante lessicale – nella parte in cui le norme incise non prevedevano che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, che determina in via automatica lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, consentisse, ove entrambe le parti lo avessero richiesto, di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che di questa tutelasse diritti ed obblighi, con modalità da stabilirsi dal legislatore.

    Il giudice a quo ricorda che questa Corte, con la richiamata sentenza, censurò la scelta operata dal legislatore che, con le norme caducate, non aveva attuato alcun bilanciamento tra interessi contrapposti, sacrificando a quello dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio – nel rigido automatismo di regolazione dei rapporti tra sentenza di rettifica di attribuzione di sesso e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio – il pregresso vissuto della coppia omoaffettiva, lasciata «priva di tutela», non risultando prevista «alcuna “forma di comunità” connotata da “stabile convivenza tra due persone, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione”» (è richiamata altresì la sentenza di questa Corte n. 138 del 2010).

    4.1.– Il rimettente menziona quindi la giurisprudenza di legittimità (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097) che, nel valorizzare la tutela da attribuirsi, nei termini di cui all’art. 2 Cost., alle unioni tra persone dello stesso sesso, rimarcava la “intollerabilità” di una «soluzione di continuità del rapporto» fintantoché il legislatore non fosse intervenuto nei termini indicati da questa Corte con la richiamata sentenza n. 170 del 2014.

    4.1.1.– Detto intervento è stato poi operato con la legge n. 76 del 2016, che ha introdotto l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso, delegando altresì il Governo all’adozione di decreti legislativi per adeguare le disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della stessa legge e per coordinare con queste ultime le disposizioni vigenti attraverso le necessarie modificazioni ed integrazioni normative.

    Nella ordinanza di rimessione si richiama in proposito il comma 4-bis dell’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, inserito dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, che consente ai coniugi di manifestare nel giudizio di rettificazione anagrafica, fino al momento della precisazione delle conclusioni, la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, convertendolo in unione civile. L’introduzione di tale disposizione adegua le norme sui procedimenti di rettificazione dell’attribuzione di sesso alla previsione del comma 27 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, secondo il quale «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano...

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