Sentenza nº 198 da Constitutional Court (Italy), 11 Luglio 2014

Date11 Luglio 2014
IssuerConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 198

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Sabino CASSESE Presidente

- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Lucera nel procedimento penale a carico di M.E. con ordinanza del 27 giugno 2013, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti l’atto di costituzione di M.E., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Raffaele Lepore e Mercurio Galasso per M.E. e l’avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 27 giugno 2013, il Tribunale di Lucera ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale, in forza del quale, nella determinazione della pena detentiva da eseguire, sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate senza titolo dopo la commissione del reato per il quale è stata inflitta la pena che deve essere eseguita.

    Il giudice a quo premette di essere investito dell’incidente di esecuzione sollevato da un condannato, volto ad ottenere – a fronte del diniego tacito del pubblico ministero, funzionalmente competente ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen. – che dalla pena detentiva da espiare in forza di una sentenza dello stesso Tribunale di Lucera, divenuta irrevocabile il 20 maggio 2013, sia detratto il periodo di custodia cautelare ingiustamente subita dal richiedente per altri reati dal 17 giugno 1983 al 15 settembre 1986.

    Al riguardo, il Tribunale rimettente rileva che, in base alle risultanze degli atti, l’istante, nel lontano 1983, era stato sottoposto a «carcerazione preventiva» per tre anni e tre mesi, in quanto coinvolto in un “maxi-processo” per reati di criminalità organizzata, venendo poi assolto dalla Corte d’appello di Napoli dai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto.

    All’accoglimento della richiesta osterebbe, tuttavia, la disposizione censurata, in base alla quale l’ingiusta carcerazione, per poter essere computata in detrazione, deve seguire, e non già precedere, la commissione del reato per il quale vi è stata condanna alla pena da espiare. Nel caso in esame, di contro, i reati cui si riferisce la pena da eseguire sono stati commessi dal richiedente nel 2000 e, dunque, in epoca ampiamente successiva all’ingiusta custodia cautelare.

    Recependo l’eccezione formulata in via subordinata dal richiedente, il giudice a quo dubita, peraltro, della legittimità costituzionale dell’indicata condizione limitativa.

    La relativa previsione violerebbe, in specie, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e quello del favor libertatis (desumibile dal disposto dell’art. 13, primo comma, Cost.), determinando una ingiustificata disparità di trattamento fra i soggetti che abbiano ugualmente riportato una condanna definitiva a pena detentiva e subito una ingiusta carcerazione. A parità di situazione, la possibilità di “compensare” la seconda con la prima verrebbe, infatti, a dipendere da un fattore meramente casuale di natura temporale, quale l’anteriorità del reato, per il quale deve essere determinata la pena da eseguire, rispetto alla carcerazione ingiusta.

    La norma censurata violerebbe, inoltre, l’art. 27, terzo comma, Cost., giacché, impedendo di scomputare il periodo di ingiusta carcerazione a chi ha commesso il reato successivamente ad essa – ossia proprio al soggetto che, a ben guardare, più meriterebbe il beneficio, avendo subito l’ingiusta detenzione quando era incensurato – vanificherebbe la finalità rieducativa della pena ed ostacolerebbe il reinserimento del reo nel tessuto sociale.

    La disposizione in esame si porrebbe in contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza anche sotto un ulteriore e diverso profilo: e, cioè, in quanto fondata su una presunzione assoluta non rispondente ad una regola di esperienza generalizzata.

    Alla luce delle indicazioni della relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, la preclusione denunciata sarebbe finalizzata, infatti, ad evitare che il diritto al recupero della detenzione ingiustamente sofferta si risolva in un incentivo alla commissione di azioni criminose. Tale paventato effetto criminogeno sarebbe presunto iuris et de iure dalla legge, non essendo il divieto derogabile neanche quando vi sia la prova certa che quel pericolo non si è concretizzato.

    Per consolidata giurisprudenza della Corte...

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