Sentenza nº 26 da Constitutional Court (Italy), 15 Febbraio 2013

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione15 Febbraio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 26

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Gaetano SILVESTRI Giudice

- Sabino CASSESE "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Paolo GROSSI "

- Giorgio LATTANZI "

- Aldo CAROSI "

- Marta CARTABIA "

- Sergio MATTARELLA "

- Mario Rosario MORELLI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 27 febbraio – 1° marzo 2012, depositato in cancelleria il 5 marzo 2012 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

  1. — Con ricorso notificato il 27 febbraio – 1° marzo 2012 e depositato il 5 marzo 2012, su deliberazione consiliare del 24 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in via principale l’intera legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)» e pubblicata sul B.U.R. della Sardegna n. 38 del 29 dicembre 2011, ed in particolare gli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5.

    1.1. — Premette il ricorrente che la legge regionale n. 27 del 2011 ha inteso modificare la disciplina del Fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza a favore dei dipendenti dell’amministrazione regionale (FITQ), istituito dalla legge della Regione autonoma Sardegna 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’amministrazione regionale), in epoca precedente alla disciplina organica della previdenza complementare – dettata dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera v, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), successivamente abrogato dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari) – che, viceversa, deve applicarsi al personale non iscritto al FITQ o assunto a decorrere dal 1° gennaio 2012.

    1.2. — Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la legge regionale, oltre ad eccedere dalla competenza legislativa concorrente in materia di «previdenza complementare e integrativa» di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione – estesa, ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), quale forma di autonomia più ampia, alla Sardegna, cui è riconosciuta al riguardo competenza integrativa-attuativa dall’art. 5, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – ed a violare la competenza legislativa spettante in via esclusiva allo Stato in materia di «previdenza sociale» ex art. 117, secondo comma, lettera o), Cost., presenterebbe ulteriori profili di illegittimità costituzionale.

    1.3. — In particolare, l’art. 4, comma 2, della legge impugnata, prevedendo l’erogazione di un contributo specifico da parte della Regione per il raggiungimento dell’equilibrio finanziario determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo di cui al precedente art. 3, comma 1, fa rinvio, per la copertura dell’onere, a successivi provvedimenti da assumere con legge finanziaria (art. 16, comma 2). Ad avviso del ricorrente, simile modalità di copertura non terrebbe conto dei principi espressi dalla vigente normativa contabile – art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) – che, in attuazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., prevede che ogni legge che comporti nuovi o maggiori oneri – soprattutto per quei provvedimenti che determinano l’insorgenza di diritti soggettivi, come quelli spettanti ai beneficiari delle prestazioni pensionistiche integrative – debba indicare espressamente le previsioni di spesa per ciascun anno, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione delle eventuali eccedenze di spesa rispetto alle previsioni ed individuando, sulla base di una dettagliata relazione tecnica, la puntuale copertura degli oneri di regime, senza rinviare a successive disposizioni per la copertura finanziaria. Risulterebbe pertanto violato l’art. 81, quarto comma, Cost.

    1.4. — A dire del Presidente del Consiglio, inoltre, l’art. 7, comma 5, della legge regionale censurata, ammettendo la liquidazione in capitale delle prestazioni, con conseguente applicazione di un regime di imposizione fiscale più favorevole, determinerebbe minori entrate fiscali, con effetti negativi per la finanza pubblica, così incidendo sulla materia del sistema tributario e contabile dello Stato, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e contrasterebbe con il «principio di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.». Inoltre, poiché, nel rinviare al regolamento di gestione, la norma censurata non sancirebbe alcun criterio direttivo che chiarisca che la liquidazione in capitale non possa essere effettuata per intero, essa contrasterebbe con l’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005, che prevede l’erogazione in capitale delle prestazioni pensionistiche integrative fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato.

    1.5. — Infine, secondo il ricorrente «il complesso delle disposizioni recate dalla legge regionale», pur modificando in termini restrittivi la disciplina dettata dalla legge regionale n. 15 del 1965, non terrebbe conto delle inderogabili ed urgenti esigenze di contenimento della spesa pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali assunti in sede di Unione Europea, nonché delle richieste formulate all’Italia dagli organismi economici a livello internazionale.

  2. — Con atto depositato il 10 aprile 2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le questioni relative agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011 siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

    2.1. — Anzitutto, la resistente evidenzia come la legge impugnata incida sulla materia della previdenza complementare per i soli dipendenti regionali, così come si evincerebbe dal tenore dell’art. 1 (Finalità). Ciò confuterebbe l’assunto del ricorrente, secondo cui la legge regionale eccederebbe dall’ambito competenziale della «previdenza complementare e integrativa» previsto dall’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, essa sarebbe riconducibile alla materia «stato giuridico ed economico del personale» di cui all’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto, concernendo non la generalità dei lavoratori operanti in Sardegna, ma solamente i dipendenti regionali, a cui assicura particolari vantaggi anche in corso di rapporto di lavoro, come nel caso delle anticipazioni (art. 11) e dei piccoli prestiti ai dipendenti (art. 12). Da qui, secondo la Regione, l’infondatezza, se non l’inammissibilità, dell’intera impugnazione, per non aver invocato, tra i parametri alla stregua dei quali operare lo scrutinio, l’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto.

    2.2. — Peraltro, sempre secondo la resistente, quand’anche si riconducesse la legge impugnata alla materia della previdenza complementare ed integrativa, la Regione non avrebbe ecceduto dalla propria competenza, avendola esercitata, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della stessa legge regionale, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legislazione statale, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 252 del 2005 – il quale dispone che «le forme pensionistiche complementari possono essere istituite da […] le regioni, le quali disciplinano il funzionamento di tali forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia» – riformando un’esperienza pluridecennale di trattamento integrativo attraverso la sostituzione del sistema di calcolo c.d. contributivo a quello c.d. retributivo.

    2.3. — Parimenti inammissibili, prima ancora che infondate, sarebbero, ad avviso della resistente, le censure mosse alla legge regionale per non aver tenuto conto delle esigenze di contenimento della spesa pensionistica. Tale doglianza sarebbe apodittica, in quanto priva di ogni argomentazione di supporto, e non specificherebbe né le norme a cui si dirige né i parametri che si assumono violati. Peraltro, essa sarebbe anche destituita di fondamento, atteso che la legge avrebbe determinato il passaggio, per le prestazioni maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, dal sistema retributivo a quello contributivo e, pur facendo salvi i diritti quesiti, avrebbe previsto ulteriori misure di contenimento della spesa, stabilendo che il calcolo dell’indennità di fine rapporto avvenga assumendo a base la media delle retribuzioni degli ultimi dieci anni al 31 dicembre 2011 e non più l’ultima retribuzione, come nel regime precedente.

    2.4. — Quanto alle censure specificamente mosse all’art. 4, comma 2, la Regione ne assume l’infondatezza.

    2.4.1. — Evidenzia, infatti, come la copertura finanziaria della riforma sia...

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