Legittimità
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Rivista penale 6/2012
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 10 APRILE 2012, N. 13338
(UD. 10 GENNAIO 2012)
PRES. MANNINO – EST. FRANCO – P.M. SPINACI (DIFF.) – RIC. R. N.
Maltrattamento di animali y Elemento oggettivo
y Abbandono y Mancato ritiro di un cane preceden-
temente affidato ad un canile privato y Rilevanza
penale y Esclusione.
. Non dà luogo alla configurabilità del reato di abban-
dono di animale, previsto dall’art. 727 c.p., costituendo
soltanto un mero inadempimento contrattuale, la con-
dotta di chi, dopo avere affidato l’animale (nella specie,
un cane) ad una struttura privata che, a titolo oneroso,
abbia assunto l’impegno di custodirlo e, in caso di ne-
cessità, apprestargli le relative cure, non provveda poi
né al pagamento del corrispettivo né al ritiro dell’ani-
male, salvo che sia concretamente prevedibile, per la
oggettiva inaffidabilità o mancanza di professionalità
dei soggetti che sovrintendono a detta struttura, che
siano essi, nella descritta situazione, ad abbandonare
l’animale. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 727) (1)
(1) La sentenza in epigrafe si pone appieno nel solco interpretativo
tracciato dalla giurisprudenza di legittimità. Si vedano, ex multis,
Cass. pen., sez. III, 8 aprile 2008, Bellino, in questa Rivista 2009, 358
e Cass. pen. sez. III, 21 settembre 2001, Menchi, ivi 2002, 509.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il G.u.p. del tribunale di
Como dichiarò R. N. colpevole del reato di cui all’art. 727
c.p. per avere abbandonato presso un allevamento pensio-
ne cui li aveva affidati due cani, in quanto, nonostante le
sollecitazioni, non li aveva ritirati decorso il termine fis-
sato, e la condannò alla pena di € 2.000,00 di ammenda.
Osservò il giudice che il fatto integrava il reato contestato
perché i cani erano stati affidati ad un canile privato e non
ad un canile municipale, quindi avrebbero potuto essere
privati delle necessarie cure e custodia.
L’imputata, a mezzo dell’avv. D. D., propone ricorso
per cassazione - erroneamente qualificato come appello -
deducendo che il fatto non integra il reato contestato. Os-
serva in particolare che il principio, affermato dalla giuri-
sprudenza, che non si verifica un abbandono di animali e
non è integrato il relativo reato quando i cani sono affidati
ad un canile, deve riguardare sia le strutture pubbliche
sia quelle private, perché anche in queste ultime sono
garantite, per contratto, la cura e la custodia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato perché la vicenda in esame riguarda
in realtà solo una ipotesi di inadempimento contrattuale
tra privati e perché la sentenza impugnata è frutto di una
interpretazione distorta ed erronea della giurisprudenza
di questa Corte.
Nella specie è stato accertato che l’imputata aveva
affidato due cani di sua proprietà presso una struttura
privata, aveva pagato le prime mensilità contrattualmente
previste ed aveva sottoscritto apposita clausola contrat-
tuale con la quale autorizzava il canile, in caso di bisogno,
ad intervenire e ad anticipare le spese per le prestazioni
ed i mezzi terapeutici. Era poi accaduto che l’imputata
aveva sospeso i pagamenti e non aveva risposto alle solle-
citazioni di ritirare il cane del canile, il cui responsabile la
aveva quindi denunciata per il reato in questione.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’ab-
bandono previsto e sanzionato dall’art. 727 c.p. deve rav-
visarsi quando l’animale, del quale l’agente abbia potere
di disposizione, venga sottratto anche per mera colpa alle
prestazioni idonee ad assicurare il rispetto delle esigenze
psicofisiche specifiche di ogni animale, con la conseguenza
che lo stesso si trovi sprovvisto di custodia e cura ed espo-
sto a pericolo per la sua incolumità. È evidente che questa
situazione di abbandono non può ravvisarsi nel solo com-
portamento del proprietario che affidi il suo cane ad una
struttura o allevamento privato, il quale, sulla base di uno
specifico contratto oneroso, assuma verso il proprietario
l’obbligazione di custodire e curare l’animale e di evitare i
pericoli per la sua incolumità, provvedendo anche, in caso
di bisogno, alle necessarie prestazioni sanitarie ed ai mez-
zi terapeutici. Né un comportamento di abbandono - nel
senso indicato dalla norma incriminatrice - può ravvisarsi
di per sé nel solo fatto di avere sospeso il pagamento del
corrispettivo o nel non avere ritirato il cane, perché ciò
configura appunto un inadempimento contrattuale ma non
autorizza certamente la struttura o il canile affidatario ad
abbandonare il cane a se stesso, ad interromperne la cura
e la custodia o, addirittura, a sopprimerlo, comportamenti
questi che, del resto, potrebbero a loro volta integrare il
reato a carico del responsabile del canile. Costui, infatti,
in una ipotesi del genere, oltre ad agire civilmente per il
recupero del suo credito, potrà legalmente liberarsi del
cane solo con le procedure previste dalla legge per l’affida-
mento dell’animale ad una struttura pubblica. Ne deriva
che il proprietario che abbia affidato il cane ad un canile
privato che si sia contrattualmente obbligato alla sua cura
e custodia, potrà eventualmente rispondere di abbando-
no nel caso di sospensione dei pagamenti o di mancato
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ritiro solo quando sia concretamente prevedibile - per
l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile
affidatario - che questa situazione determini l’abbandono
del cane da parte del canile. Nel caso di specie, però, non
risulta dalla sentenza impugnata alcun elemento da cui
possa ritenersi provata una situazione di questo genere ed
anzi sembra che la stessa debba essere esclusa in quanto
non risulta che il titolare del canile, che aveva sporto la
denuncia, sia stato a sua volta incriminato per il reato di
cui all’art. 727 c.p., dal che deve desumersi che in concreto
i due cani non erano stati abbandonati.
In questo senso è la concorde giurisprudenza di questa
Corte, la quale ha sempre ritenuto che deve escludersi la
configurabilità del reato di abbandono di animali in, caso
di mancato ritiro di un cane dal canile cui era stato in
precedenza affidato dal proprietario (Cass. pen., sez. III,
21 febbraio 2008, n. 14421, Bellino, n. 239969) o in caso
di soggetto che abbia consegnato il suo cane ad un canile
comunale dichiarando falsamente che era randagio (Cass.
pen., sez. III, 5 luglio 2001, n. 34396, Menchi, n. 220105).
Entrambe queste decisioni si riferiscono a casi di cani
affidati ad un canile municipale e mettono in rilievo il fat-
to che gli animali ricoverati presso le strutture comunali
non possono essere soppressi né destinati alla sperimen-
tazione e agli stessi, nell’attesa della cessione a privati,
vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e cu-
stodia. Il giudice a quo ha quindi ritenuto che la stessa
soluzione non potesse applicarsi al caso in esame perché
nella specie il cane era stato affidato ad una struttura pri-
vata e non ad un canile municipale. È però evidente che la
ratio decidendi sulla quale si basano le suddette decisioni
non si fonda certamente sul fatto che si trattava di canile
municipale e non di canile privato bensì sul fatto che non
poteva concretare abbandono la consegna del cane o il
suo mancato ritiro da un luogo nel quale l’animale pote-
va ricevere le necessarie prestazioni di cura e custodia.
Il fatto che nella specie si trattasse di canile privato era
quindi irrilevante, a meno che non risultasse che tale
canile non assicurava la necessaria cura e custodia e che
di ciò l’imputata fosse stata consapevole o potesse essere
consapevole con l’ordinaria diligenza.
In conclusione, non essendo ravvisabile nei fatti emer-
genti dalla sentenza impugnata alcuna ipotesi di abbando-
no del cane, la sentenza impugnata deve, ai sensi dell’art.
129 c.p.p., essere annullata senza rinvio perché il fatto non
sussiste. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 30 MARZO 2012, N. 12101
(UD. 19 GENNAIO 2012)
PRES. TERESI – EST. FRANCO – P.M. LETTIERI (DIFF.) – RIC. P.G. IN PROC.
DECOLOMBI
Sottrazione o danneggiamento di cose sottopo-
ste a pignoramento o a sequestro y Danneggia-
mento y Fatto commesso dal proprietario custode
del bene y Elemento soggettivo y Dolo generico y
Sufficienza y Fattispecie.
. In tema di sottrazione o danneggiamento di cose sot-
toposte a sequestro penale o amministrativo, l’ipotesi
di cui al secondo comma dell’art. 334 c.p. (fatto com-
messo dal proprietario della cosa, affidata alla sua cu-
stodia), richiede, a differenza di quella di cui al primo
comma dello stesso articolo, il solo dolo generico, co-
stituito dalla coscienza e volontà di agire in contrasto
con il vincolo gravante sulla cosa, ossia di compiere atti
contrari ai doveri di custodia e di impedire il consegui-
mento delle finalità per le quali il detto vincolo è stato
imposto. (Nella specie, in applicazione di tale principio,
la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di merito
con la quale, in un caso in cui era stata deteriorata dal
proprietario custode, per pura finalità di protesta, la
cosa sequestrata, l’imputato era stato assolto per la
ritenuta inesistenza del dolo specifico). (Mass. Redaz.)
(c.p., art. 334) (1)
(1) In aggiunta ai precedenti citati in motivazione si veda Cass. pen.,
sez. VI, 2 marzo 1989, Marasa, in questa Rivista 1990, 94.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Fi-
renze, in parziale riforma della sentenza 13 ottobre 2008
del giudice del tribunale di Grosseto, dichiarò estinto per
prescrizione il reato edilizio di cui all’art. 44, lett. b), del
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, confermò la condanna per il
reato di violazione dei sigilli ed assolse invece l’imputata
dal reato di cui all’art. 334, comma 2, c.p. contestato per
avere, quale proprietaria e custode, danneggiato la casa
mobile sequestrata, colpendo con un martello un vetro ed
una finestra della stessa. Osservò la corte d’appello che
nella specie si era trattato di un gesto di intemperanza
e che quindi mancava il richiesto dolo specifico dello
scopo di favorire il proprietario del bene in sequestro, in
quanto il gesto era stato essenzialmente autolesionistico
e non certamente connotato dall’intento di conseguire un
vantaggio.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la cor-
te d’appello di Firenze propone ricorso per cassazione de-
ducendo erronea applicazione dell’art. 334, comma 2, c.p..
Osserva che per l’integrazione del reato di cui al comma
2 non è richiesto il dolo specifico, giacchè altrimenti la
fattispecie sarebbe applicabile soltanto al caso della sot-
trazione e non a quello di soppressione, distruzione, di-
spersione e deterioramento che pure sono espressamente
menzionati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha ritenuto di condividere le conclusioni del
Procuratore generale ricorrente e quindi di accogliere il
ricorso.
L’art. 334 cod. pen. prevede, al comma 1, l’ipotesi di chi
sottragga, sopprima, distrugga, disperda o deteriori una
cosa sottoposta a sequestro e affidata alla sua custodia, al
solo scopo di favorire il proprietario di essa.
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LEGITTIMITÀ
Il comma 2 prevede l’ipotesi del medesimo fatto mate-
riale commesso dal proprietario della cosa medesima non
affidata alla sua custodia.
La corte d’appello di Firenze ha ritenuto che quest’ul-
tima previsione costituisca una ipotesi attenuata speciale,
in considerazione dell’autore del fatto, rispetto a quella
di cui al comma 1. Secondo la corte d’appello, pertanto,
deve ritenersi che il dolo specifico richiesto dalla norma
incriminatrice (“al solo scopo di favorire il proprietario”
del bene in sequestro) debba ricorrere anche nella ipotesi
di minore gravità di cui al comma 2, tanto più che la detta
finalità appare pienamente compatibile tanto con il reato
base quanto con il reato attenuato.
Il Procuratore generale ricorrente, invece, sostiene
che per l’integrazione del reato di cui al comma 2 non sia
richiesto il suddetto dolo specifico, giacchè, altrimenti
opinando, ritenendo cioè che il proprietario custode deb-
ba avere agito al solo scopo di favorire se medesimo, la
fattispecie sarebbe applicabile soltanto al caso della sot-
trazione e non anche a quello di soppressione, distruzio-
ne, dispersione e deterioramento, benchè tali casi siano
espressamente menzionati dalla norma: infatti, è difficil-
mente ipotizzabile che il proprietario favorisca se stesso
distruggendo o danneggiando la cosa di sua proprietà. Ne
deriva - secondo il ricorrente - che la norma deve allora es-
sere interpretata nel senso che la fattispecie non richiede
il dolo specifico, ma solo il dolo generico.
Per la verità, l’argomentazione del Procuratore gene-
rale ricorrente prova troppo e non appare decisiva. Essa
infatti dovrebbe valere anche in relazione alla fattispecie
di cui al comma 1, in quanto la considerazione che è
difficilmente ipotizzabile che il proprietario possa es-
sere favorito sopprimendo, distruggendo o danneggiando
la cosa di sua proprietà, può applicarsi allo stesso modo
anche qualora l’autore del fatto materiale sia il custode
non proprietario.
Eppure in questo caso la norma richiede espressamen-
te il dolo specifico di avere agito al solo scopo di favorire
il proprietario della cosa. La norma pertanto sembra am-
mettere espressamente che il proprietario possa essere
favorito anche attraverso la soppressione, distruzione,
dispersione o deterioramento della sua cosa sottoposta a
sequestro, altrimenti la norma non avrebbe senso.
Nonostante ciò, il Collegio ritiene di accogliere il ricor-
so perchè effettivamente l’art. 334, comma 2, cod. pen.,
non richiede esplicitamente il dolo specifico e perchè in
questo senso è la giurisprudenza di questa Corte, sia pure
risalente.
È stato difatti affermato che “il dolo richiesto per la
sussistenza del delitto di sottrazione o danneggiamento di
cose sottoposte a pignoramento o a sequestro, commesso
dal custode al solo scopo di favorire il proprietario di esse,
è dolo specifico e della sua ricorrenza deve essere data
adeguata dimostrazione, mentre quello richiesto per la
sussistenza dello stesso delitto commesso dal proprietario
della cosa, affidata o non alla sua custodia, è dolo generi-
co e consiste nella consapevolezza di agire in contrasto
con il vincolo gravante sulla cosa” (Cass. pen., sez. VI, 29
gennaio 1974, n. 2788. Julianetti, Rv. 088627); che “L’art.
334 cod. pen., che punisce la violazione dei doveri inerenti
alla custodia di cose pignorate o sequestrate, formula tre
ipotesi, a seconda che il fatto sia commesso dal custode
non proprietario, dal proprietario custode, e dal proprie-
tario non custode. Negli ultimi due casi è sufficiente per
la sussistenza del reato il dolo generico, che consiste nella
scienza di agire in contrasto con il vincolo che grava sulla
cosa e di disporre di questa nonostante il vincolo; invece,
nella prima ipotesi, considerata dall’art. 334, comma 1
occorre il dolo specifico di aver sottratto o danneggiato
le cose pignorate o sequestrate al solo scopo di favorire il
proprietario di esse” (Cass. pen., sez. III, 18 gennaio 1971,
n. 69, Ledda, Rv. 117824); e che “Per la punibilità del reato,
di cui all’art. 334 cod. pen., è sufficiente la sussistenza del
dolo generico, e cioè della scienza del vincolo giudiziario,
che grava sulla cosa, e della volontà di compiere atti con-
trari ai doveri di custodia, impedendo che sulla cosa possa
esercitarsi azione esecutiva: ove manchi tale elemento
soggettivo, viene meno il reato” (Cass. pen., sez. VI, 28
novembre 1967, n. 1780, Mirabella, Rv. 106564; Cass. pen.,
sez. VI, 7 maggio 1969, n. 1071, Pietropaolo, Rv. 111968).
Bisogna però considerare che questa giurisprudenza si
riferisce, quasi sempre, ad ipotesi di beni sottoposti a pi-
gnoramento o sequestro e destinati ad esecuzione forzata
in vantaggio di un terzo creditore del proprietario del bene
sequestrato. È quindi evidente che, in siffatti casi, ciò che
interessa non è un eventuale vantaggio in favore del pro-
prietario, bensì evitare che il bene sia sottratto all’ese-
cuzione o che comunque dall’espletamento dell’azione
esecutiva il creditore possa ricavare una somma inferiore.
Tutta la richiamata giurisprudenza, peraltro, se da un
lato ritiene che nell’ipotesi dell’art. 334, comma 2, cod. pen.
di azione compiuta dal proprietario custode, non occorre il
dolo specifico di avere agito al solo scopo di favorire il pro-
prietario stesso, afferma tuttavia che per la configurabilità
del dolo generico occorre pur sempre la consapevolezza
e la volontà “di agire in contrasto con il vincolo gravante
sulla cosa”, o la “scienza di agire in contrasto con il vincolo
che grava sulla cosa e di disporre di queste nonostante il
vincolo”, o la “scienza del vincolo giudiziario, che grava
sulla cosa, e la volontà di compiere atti contrari ai doveri
di custodia, impedendo che sulla cosa possa esercitarsi
azione esecutiva”.
Nel caso di specie il giudice del merito ha accertato
che l’azione compiuta dall’imputata era consistita nel-
l’aver colpito con un martello un portafinestra ed un vetro
della casa mobile sottoposta a sequestro preventivo in re-
lazione alla violazione di norme edilizie (perchè collocata
sul posto in assenza di permesso di costruire) e che si era
trattato in realtà di un gesto di intemperanza e di stizza.
Il giudice del rinvio pertanto non dovrà limitarsi ad accer-
tare - come sembrerebbe ritenere il Procuratore generale
ricorrente - che l’imputata aveva agito con il dolo di dete-
riorare la casa mobile, bensì dovrà accertare se sussisteva
il dolo generico richiesto per la confìgurabilità del reato in
questione, e cioè se vi era la consapevolezza e la volontà
dell’imputata di agire in contrasto con il vincolo gravante
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