Ordinanza nº 146 da Constitutional Court (Italy), 06 Giugno 2012

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione06 Giugno 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 146

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione, promossi dal Tribunale di Nicosia con ordinanza del 6 luglio 2011, dal Giudice di pace di Potenza con ordinanza del 9 novembre 2011, dal Tribunale di Bari con ordinanza del 19 maggio 2011 e dal Tribunale di Siracusa con ordinanza del 7 ottobre 2011, rispettivamente iscritte al n. 259 del registro ordinanze 2011 e ai nn. 13, 14 e 24 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2011 e nn. 7 e 9, prima serie speciale, dell'anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di Unicredit s.p.a., quale incorporante del Banco di Sicilia s.p.a., fuori termine, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Nicosia, con ordinanza del 6 luglio 2011 (r.o. n. 259 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 102, primo comma, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, primo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito di un giudizio avente ad oggetto la domanda di accertamento della nullità – ai sensi degli articoli 1283 e 1284, terzo comma, del codice civile – delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di applicazione di interessi ultralegali, relative a conti correnti di corrispondenza con apertura di credito e conti anticipo intrattenuti da uno degli attori con il Banco di Sicilia s.p.a., nonché la domanda di condanna di quest’ultimo alla restituzione dell’indebito versato;

che, nel costituirsi in giudizio, il Banco di Sicilia s.p.a. ha eccepito la prescrizione delle pretese azionate, chiedendo la condanna degli attori al pagamento del saldo finale del conto, oltre interessi;

che il rimettente rileva come soltanto per due dei rapporti bancari sopra menzionati la banca avesse prodotto la relativa documentazione contrattuale e come uno dei conti fosse ancora in corso alla data della notifica dell’atto di citazione o, quantomeno, fino alla data della missiva inviata con raccomandata del 2 novembre 2007, ricevuta dall’attore il 14 novembre 2007;

che, medio tempore, era entrata in vigore la legge 26 febbraio 2011, n. 10, recante conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225;

che, con tale normativa, è stata introdotta nell’ordinamento la seguente disposizione: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa»;

che, in punto di rilevanza della questione, il rimettente osserva di non potere prescindere dall’applicazione del nuovo precetto ontologicamente retroattivo, in quanto, qualora la prescrizione decennale non decorresse dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato dalla sentenza della Corte di cassazione, resa a sezioni unite, il 2 dicembre 2010, n. 24418), ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto, ciò darebbe luogo all’estinzione per prescrizione del diritto di credito pecuniario del correntista per gli importi versati a titolo solutorio e annotati in data anteriore al 30 luglio 1997, ossia oltre dieci anni prima della data di notificazione dell’atto di citazione;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale sottolinea come la norma censurata non risulti rispettosa sia delle ragioni che dei canoni legittimanti l’adozione di una disposizione interpretativa e, dunque, retroattiva;

che, infatti, per consolidata giurisprudenza costituzionale, una disposizione è interpretativa qualora, esistendo una oggettiva incertezza del dato normativo (ordinanza n. 400 del 2007) e un obiettivo dubbio ermeneutico (sentenza n. 29 del 2002), essa sia diretta a chiarire il contenuto di preesistenti norme ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei significati tra quelli plausibilmente ascrivibili a queste, anche se non siano insorti contrasti giurisprudenziali (ordinanza n. 480 del 1992), purché sussista una situazione di incertezza nella loro applicazione (sentenze n. 170 del 2008; n. 291 del 2003; n. 374 del 2002 e n. 525 del 2000), essendo sufficiente che la scelta imposta rientri tra le possibili varianti di senso del testo interpretato e sia compatibile con la sua formulazione (sentenze n. 409 del 2005; n. 168 del 2004; n. 292 del 2000);

che, ad avviso del rimettente, la norma censurata, sotto le vesti di una disposizione interpretativa, celerebbe in realtà una norma innovativa, in quanto adottata in un contesto ermeneutico caratterizzato da un orientamento consolidato della giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 14 maggio 2005, n. 10127 e 9 aprile 1984, n. 2262) sul dies a quo relativo alla decorrenza della prescrizione dell’azione avente ad oggetto la ripetizione di somme illegittimamente versate (ad esempio: a titolo di interessi ultralegali o con capitalizzazione trimestrale), nel corso di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, orientamento da ultimo confermato, per la particolare importanza della materia trattata, dalla citata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2010, secondo cui il termine di decorrenza della prescrizione della condictio indebiti coincide con la estinzione del rapporto bancario, sia pure per le rimesse finalizzate a ripristinare la provvista;

che il rimettente richiama, altresì, i limiti – elaborati dalla giurisprudenza costituzionale – alla ammissibilità di una norma interpretativa retroattiva ed, in generale, all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; alla tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo Stato di diritto; alla coerenza e alla certezza dell’ordinamento giuridico; al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 397 del 1994);

che, ad avviso del giudice a quo, anche i suddetti canoni risulterebbero violati dalla norma censurata;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, l’art. 2, comma 61, lederebbe: 1) il principio di parità di trattamento tra situazioni simili, in quanto, involgendo i soli rapporti bancari, escluderebbe ogni altro rapporto regolato in conto corrente tra diversi soggetti giuridici; 2) l’affidamento legittimamente insorto nei consociati, in quanto, fino alla entrata in vigore della detta norma, i beneficiari di aperture di credito, in “sofferenza”, soprassedevano, in costanza di rapporto, da richieste dirette alla ripetizione di somme illegittimamente versate, ciò al fine di evitare pericolose ricadute sul rapporto di fiducia con l’istituto di credito, quali la cosiddetta revoca dell’affidamento, ossia la decadenza dal beneficio del termine; 3) i canoni di coerenza e di certezza dell’ordinamento per le medesime ragioni di cui sopra;

che il rimettente assume il contrasto della norma denunciata anche con l’art. 117, primo comma, Cost., tramite violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretata dalla Corte EDU, secondo cui il principio dello Stato di diritto, la nozione di equo processo e il principio di parità delle armi, vietano l’interferenza del legislatore – con norme retroattive – nell’amministrazione della giustizia destinata ad influenzare l’esito delle singole controversie, fatta eccezione per i motivi di interesse generale (sentenze 21 giugno 2007, Scanner de L’Ouest Lyonnais e altri contro Francia; 9 dicembre 1994, Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis contro Grecia; 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia);

che, ad avviso del giudice a quo, se è vero che motivi rilevanti di interesse generale potrebbero in astratto rinvenirsi nella necessità di salvaguardare la tenuta del sistema bancario e quindi nelle esigenze di tutela del risparmio (art. 47, primo comma, Cost.), nella fattispecie concreta nulla sembra giustificare la nuova disposizione retroattiva sulla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito;

che, con memoria depositata in data 17 gennaio 2012 (fuori termine), si è...

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