Legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1255-1277

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. VI, 5 ottobre 2010, N. 35744 (ud. 3 giugno 2010). Pres. Mannino – Est. Mannino – P.M. Iacoviello (Conf.) – Ric. Petrassi

StupefacentiCommercio clandestinoConcorso di personeUtilizzo di un locale concesso in locazione per il confezionamento della drogaResponsabilità concorsuale del locatoreSussistenza.

La stipulazione del contratto di locazione di un magazzino con la consapevolezza che il conduttore lo utilizzerà per detenervi e confezionarvi sostanze stupefacenti destinate al mercato costituisce un contributo causale alla verificazione del reato di detenzione e cessione delle sostanze stesse, in quanto, a prescindere dalla natura sinallagmatica del contratto, condiziona, nella consapevolezza di entrambi i contraenti, lo schema concretamente adottato nell’esecuzione dell’illecito penale che non potrebbe altrimenti realizzarsi se non in forma organizzativa diversa, sicché la condotta del locatore ha sicuro valore concorsuale, indipendentemente dal fatto che l’azione tipica sia commessa dal conduttore. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 110; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 80) (1)

(1) In aggiunta ai precedenti citati in motivazione si veda Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2008, Cona, in Ius&Lex dvd n. 5/10, ed. La Tribuna, secondo cui la condotta consistente nella messa a disposizione di locali per la realizzazione di un incontro concordato fra l’acquirente ed il fornitore degli stupefacenti integra il concorso di persone nel delitto di cessione illecita di sostanze stupefacenti e non quello di favoreggiamento reale, in quanto la disponibilità del locale costituisce un contributo causale per la commissione del reato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza del 26 febbraio 2010 nel proc. n. 486/10 RG Libertà il Tribunale del riesame di Roma confermava, con esclusione dell’aggravante dell’art. 80 del D.P.R. n. 309/90, l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Tivoli 17 febbraio 2010, che aveva applicato a Adelmo Petrassi la misura cautelare della custodia in carcere quale indagato del reato previsto dall’art. 73 del D.P.R. n. 309/90 in concorso con Gianni Giordani.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Petrassi, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

- erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. e carenza di motivazione [art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.] perché nell’ordinanza impugnata si afferma che l’indagato aveva accettato di offrire al Giordani il proprio locale come deposito della droga senza una seria situazione cogente, quando lo stesso, nell’udienza di convalida, aveva dichiarato di trovarsi in serie difficoltà economiche; inoltre, la circostanza che il Petrassi fosse a conoscenza dell’attività illecita del Giordani non lo rende partecipe di questa e perciò concorrente nel reato, commesso esclusivamente da quest’ultimo.

L’impugnazione è inammissibile.

Nella sentenza impugnata si rileva come dagli atti acquisiti risulti ampiamente provato che i due indagati, Gianni Petrassi e Adelmo Giordani, detenessero rilevanti quantitativi di cocaina, ecstasy e cannabinoidi, utilizzando una pertinenza dell’abitazione del primo, un magazzino per materiale edile, per custodire, tagliare e confezionale le sostanze stupefacenti che venivano portate all’esterno per lo smercio.

La prova - si sottolinea nel provvedimento - era venuta e dal sequestro della droga occultata nel magazzino e dall’ammissione dello stesso Petrassi, il quale in sede di interrogatorio aveva dichiarato che, trovandosi in difficoltà economiche, aveva accettato l’offerta del Giordani di corrispondergli la somma di euro 1.600,00 mensili in cambio della possibilità di custodire nel magazzino predetto le sostanze stupefacenti in questione.

Ora non vi è dubbio che la stipulazione del contratto di locazione di un magazzino con la consapevolezza che il conduttore lo utilizzerà per detenervi e confezionarvi sostanze stupefacenti destinate al mercato costituisce un contributo causale alla verificazione del reato di detenzione e cessione delle sostanze stesse, in quanto, a prescindere dalla natura sinallagmatica del contratto, condiziona, nella consapevolezza di entrambi i contraenti, lo schema concretamente adottato nell’esecuzione dell’illecito penale che non potrebbe altrimenti realizzarsi se non in forma organizzativa diversa, sicché la condotta del locatore ha sicuro valore concorsuale (cfr., da ult. Cass., Sez. III, 20 gennaio 2010, n. 10642, Ric. Saad), indipendentemente dal fatto che l’azione tipica sia commessa dal conduttore (Cass., Sez. I, 8 maggio 1998, n. 7442, Ric. Negri e altro).

La decisione in tal senso adottata dal Tribunale è quindi assolutamente corretta e la motivazione relativa risulta adeguata in fatto e logicamente coerente.

Appaiono, perciò, palesemente infondati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazioni dedotti, a sostegno dei quali il ricorrente contrappone argomentazioni ininfluenti - relative alle allegate difficoltà economiche che avrebbero costituito il movente della condotta - o contestazioni in fatto, concernenti la sussistenza della prova del concorso nel reato, già motivatamente disattese nell’ordi-Page 1256nanza di riesame e comunque incompatibili con il giudizio di legittimità.

Pertanto il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. (Omissis)

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. II, 28 settembre 2010, N. 35006 (ud. 9 giugno 2010). Pres. Sirena – Est. Fiandanese – P.M. Passacantando (diff.) – Ric. Pistola

RapinaMomento consumativo del reatoImpossessamentoTemporaneoSufficienzaRagioni.

Ai fini della determinazione dell’impossessamento, che segna il momento consumativo del delitto di rapina, è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo ed anche nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata, sotto il dominio esclusivo dell’agente ed ovviamente il reato non può regredire allo stadio di tentativo solo perché in un momento successivo altri abbia impedito al suo autore di mantenere il possesso della cosa sottratta o di procurarsi la impunità; pertanto, si realizza l’ipotesi di rapina consumata anche se l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione a causa del pronto intervento dell’avente diritto o della forza pubblica. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 628) (1)

(1) Giurisprudenza conforme. Si vedano Cass. pen., sez. I, 1 marzo 2010, Pallotta, in Ius&Lex dvd n. 5/10, ed. La Tribuna; Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1978, D’Aquino, in Cass. pen. 1979, 1129 e Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 1978, Morgana, ivi 1979, 1130.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 13 ottobre 2009, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Velletri il 25 novembre 2008 alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1000,00 di multa nei confronti di Pistola Samuel dichiarato colpevole dei delitti di rapina aggravata, violazione di domicilio, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.

La Corte di Appello riteneva trattarsi di rapina consumata e non di tentativo, poiché risultava dal verbale di arresto che l’imputato si era già impossessato di un computer e di un monitor, dopo essersi introdotto negli uffici della società Stanhome ed essersi allontanato a piedi, e solo a seguito dell’intervento dei Carabinieri, che erano stati allertati da una persona che si era accorta dell’accaduto, lasciava cadere a terra la refurtiva per poter fuggire.

Per quanto concerne l’attenuante del vizio parziale di mente riconosciuta dal primo giudice equivalente alla recidiva reiterata specifica infraquinquennale e alle aggravanti, la Corte di Appello respingeva la tesi difensiva che detta attenuante non fosse soggetta a giudizio di bilanciamento e rigettava, altresì, la questione di costituzionalità dell’art. 99, comma 5, c.p. per contrasto con l’art. 3 Cost., ritenendo che essa non avesse rilievo, in quanto “il primo giudice ha ritenuto l’equivalenza del vizio parziale di mente con tutte le aggravanti, ivi compresa la recidiva, e quindi non ha operato alcun aumento per la stessa, ma, in ogni caso, mai potrebbe operarsi un giudizio di prevalenza dell’attenuante sulla recidiva, a fronte di soggetto ampiamente gravato da precedenti penali”.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

1) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 56 e 628, commi 1 e 3, c.p., nonché manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto.

Il ricorrente ritiene che il fatto contestato come rapina debba riqualificarsi come tentativo di rapina impropria: la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che l’imputato, all’atto dell’intervento dei carabinieri, avesse portato a compimento sottrazione e impossessamento della cosa mobile altrui, poiché i carabinieri intervennero pochi minuti dopo la sottrazione e intercettarono l’imputato nelle immediate vicinanze del locale di proprietà della persona offesa, così da poter ritenere che il Pistola non avesse ancora completato la sottrazione della cosa e sicuramente non se ne era impossessato, essendo stata la sua azione continuativamente controllata da altre persone sia durante che dopo l’ingresso nei locali della Stanhome sino al tempestivo intervento dei Carabinieri;

2) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 69, comma 4, 70 e 89 c.p..

Secondo la tesi del ricorrente, la diminuente del vizio parziale di mente non può essere considerata alla stregua di una circostanza attenuante, poiché opera sul piano della imputabilità e, quindi, della colpevolezza e della struttura del reato ovvero rappresenta una qualificazione soggettiva della persona, con la conseguenza che non potrebbe essere applicata attraverso il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69, comma 4, c.p., ma deve essere...

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