Legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1097-1131

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. VI, 23 settembre 2010, n. 34333 (ud. 9 aprile 2010). Pres. Agrò – Est. Milo – P.M. Cedrangolo (diff.) – Ric. D.I. N.

Violazione degli obblighi di assistenza familiareOmessa prestazione dei mezzi di sussistenzaElemento psicologicoDolo genericoSufficienzaDisturbo della personalità del soggetto obbligatoEfficacia scriminanteFattispecie.

Sebbene per la configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.) sia sufficiente il dolo generico consistente nella mera coscienza e volontà del soggetto obbligato di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti la propria qualità, è da escludersi la sussistenza dell’elemento soggettivo quando l’imputato sia affetto da un riscontrato disturbo della personalità che si riverberi sulla normalità del suo processo rappresentativo e volitivo. (Nel caso di specie è stato assolto, perché il fatto non costituisce reato, un padre affetto da disturbo paranoide che aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza ai propri figli minori). (Mass. Redaz.) (c.p., art. 570) (1)

(1) Giurisprudenza conforme nel ritenere che per la configurabilità del reato de quo non sia necessaria che la condotta omissiva venga posta in essere con l’intenzione e la volontà di far mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa. V. Cass. pen,. sez. VI, 13 gennaio 1994, Sardu, in questa Rivista 1994, 1153 e Cass. pen., sez. VI, 28 maggio 1985, Romagnoli, ivi 1986, 353. In dottrina, cfr. ROSARIO LI VECCHI, Violazione degli obblighi di assistenza familiare. Una problematica tuttora caotica, confusa ed insoluta, ivi 2005, 669.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Il Tribunale di Lecco, con sentenza 1 marzo 2006, dichiarava D. I. N. colpevole del delitto di cui all’art. 570 c.p. - per essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore e per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori M. e M. (dal omissis al omissis) - e lo condannava, in concorso delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi due di reclusione ed euro 200,00 di multa.

2 - A seguito di gravame dell’imputato, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza 10 ottobre 2007, riformando parzialmente quella di primo grado, concedeva all’imputato la diminuente di cui all’art. 89 c.p. e riduceva la pena inflitta a un mese e giorni dieci di reclusione.

Il Giudice distrettuale, dopo avere dato atto che la materialità dei fatti era pacifica, si faceva carico di analizzare, sulla base della perizia psichiatrica espletata sul D. I. N., gli aspetti patologici della personalità di costui e i conseguenti riverberi sulla condotta incriminata. Evidenziava, in particolare, che l’imputato era affetto, all’epoca dei fatti, da un “disturbo paranoide della personalità manifestato attraverso comportamenti di diffidenza e sospetto nei confronti degli altri”, il che determinava una visione inadeguata della realtà ed una incidenza negativa sulla capacità intellettiva, definita dal perito “con continuità alterata”, pur permanendo una capacità di volere. Riteneva, pertanto, che tale quadro patologico legittimasse il riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente.

3 - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato, lamentando la mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato, che doveva essere escluso, perché, a causa del riscontrato disturbo della personalità, erano difettate in lui la rappresentazione e la volizione del fatto illecito addebitatogli.

4 - Il ricorso è fondato.

In linea generale, deve ritenersi che la diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con la sussistenza del dolo, non essendovi contrasto logico tra l’ammettere la seminfermità mentale e il ritenere provati la coscienza e volontà del fatto, ancorché diminuite. Il rapporto tra l’imputabilità e il reato è di assoluta indipendenza, nel senso cioè che il reato è configurabile a prescindere dalla capacità d’intendere e di volere del suo autore, dal che consegue coerentemente la piena autonomia tra le nozioni di imputabilità e di colpevolezza. Il vizio parziale di mente integra una circostanza attenuante del reato, riconducibile a quel genus di circostanze qualificate dal codice penale come “inerenti alla persona del colpevole”.

Proprio tale autonomia tra le due nozioni, tuttavia, impone l’indagine in ordine alla sussistenza o meno, nel comportamento tenuto dall’agente, dell’elemento soggettivo del reato, indagine che implica la verifica in concreto dell’eventuale incidenza che lo stato patologico può avere avuto sulla condotta considerata, per stabilire se questa si riveli alterata in modo sostanziale nella sua connotazione psicologica.

La sentenza impugnata, pur analizzando in maniera diffusa i problemi psichiatrici da cui era afflitto il D. I. N. e i riflessi negativi sulle sue scelte comportamentali, omette di trarre da ciò le logiche conclusioni in tema di rappresentazione e volizione del fatto tipico addebitato al predetto.

Si legge, infatti, nella sentenza in verifica che l’imputato, a causa del disturbo paranoide, aveva sviluppato la preoccupazione ossessiva che i figli “potessero essere abbandonati a sé stessi anche dalla madre e avviarsi su unaPage 1098 brutta strada frequentando compagnie inadeguate”; ciò aveva innestato in lui l’esigenza di tenere sotto costante controllo, sia pure a distanza, i figli, per rassicurarsi della infondatezza dei suoi timori, agendo secondo modalità del tutto irrazionali; la conflittualità interiore dell’agente, che, per un verso, aveva mostrato preoccupazione per la sorte dei figli e, per altro verso, si era sottratto al dovere di contribuire al loro mantenimento, nella convinzione “di agire utilmente e correttamente”, era chiaro sintomo della decisiva incidenza del disturbo psichiatrico sulla capacità intellettiva, che, all’epoca dei fatti, era “con continuità alterata”, condizione questa che “gli impediva di capire che senza il suo aiuto ... ai figli, di cui pur si preoccupava, venivano a mancare i mezzi di sussistenza”.

Tale motivato convincimento espresso dalla Corte di merito, sulla base anche delle condivise conclusioni rassegnate nella perizia psichiatrica espletata, non può che portare alla esclusione dell’elemento soggettivo del reato.

È vero che questo è punito a titolo di dolo generico, essendo sufficienti la mera coscienza e volontà di sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti la propria qualità senza giusta causa, ma è anche vero che non può darsi ingresso a presunzioni o a formule ispirate assertivamente al canone del dolus in re ipsa, che non hanno fondamento nell’ordinamento positivo. La coscienza e volontà attengono comunque all’azione, considerata nel momento della sua attuazione, ed esprimono il “coefficiente di umanità”, che consente di considerare la condotta, in tutte le sue componenti (oggettiva e soggettiva) come propria del soggetto.

Il grave perturbamento psichico di cui era portatore l’imputato all’epoca dei fatti si è inevitabilmente riverberato, per quello che emerge dalla stessa sentenza impugnata, sulla normalità del processo rappresentativo e volitivo del medesimo imputato.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. (Omissis)

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. fer., 26 agosto 2010, n. 32348 (ud. 10 agosto 2010). Pres. Esposito – Est. Mulliri – P.M. Geraci (diff.) – Ric. Simoncini

Previdenza e assistenza (assicurazioni sociali)Contributi assicurativiOmissione o falsità in registrazioni o denunce obbligatorieReato di cui all’art. 37 della L. n. 689/1981Impossibilità economica di versare i dovuti contributiIrrilevanza.

Il reato di omissione delle registrazioni e denunce obbligatorie in materia previdenziale, previsto e punito dall’art. 37 della legge n. 689/1981, non può essere escluso dal fatto che il soggetto obbligato sia nella impossibilità economica di versare i dovuti contributi. (Mass. Redaz.) (l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 37) (1)

(1) Conforme, nel senso di ritenere che la carenza di mezzi finanziari, da cui sarebbe derivata l’impossibilità materiale di versare i contributi assistenziali e previdenziali effettivamente dovuti, non può influire in alcun modo sulla struttura oggettiva del reato di cui all’art. 37 della legge 689/81, la citata sentenza Cass. pen. sez. III, 26 marzo 1999, Salmistraro, pubblicata per esteso in questa Rivista 1999, 459.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Premesso che si procede nei confronti dell’odierno ricorrente per i reati di cui agli artt. 81 c.p.v., 2 comma 1 bis, 11 novembre 1983, n. 638 e 37 legge 689/81, con sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha confermato la condanna inflittagli per avere, quale legale rappresentante della ditta Co. F.A.T. e datore di lavoro, omesso le registrazioni e denunzie obbligatorie con conseguente omissione di versamenti e di contributi previdenziali ed assistenziali per un importo non inferiore a 2.582,28 €.

Avverso tale decisione, l’imputato, ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge (art. 606 lett. b) c.p.p.) per erronea interpretazione da parte di entrambi i giudici di merito, dell’art. 37 L. 681/81. Si censura, in particolare, l’assunto secondo cui il Simoncini sarebbe stato tenuto ad effettuare le registrazioni anche ammesso che come da lui dedotto - non ebbe a corrispondere alcuna retribuzione ai propri dipendenti perché impossibilitato a farlo a causa di una grave crisi dell’azienda. Obietta il ricorrente che emerge inconfutabilmente dagli atti processuali che Simoncini all’epoca dei fatti, versava in disagiate condizioni economiche e che, nonostante gli sforzi fatti, non era riuscito a far fronte agli oneri previdenziali. Difetterebbe, quindi, la prova dell’elemento psichico del reato che è costituito da un dolo specifico;

2) vizio di motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p.) dal momento...

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