Sentenza nº 58 da Constitutional Court (Italy), 03 Marzo 1997

RelatoreValerio Onida
Data di Resoluzione03 Marzo 1997
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 58

Anno 1997

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Dott. Renato GRANATA, Presidente - Prof. Giuliano VASSALLI - Prof. Francesco GUIZZI Prof. Cesare MIRABELLI - Prof. Fernando SANTOSUOSSO - Avv. Massimo VARI - Dott. Cesare RUPERTO - Dott. Riccardo CHIEPPA - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY Prof. Valerio ONIDA - Prof. Carlo MEZZANOTTE - Avv. Fernanda CONTRI - Prof. Guido NEPPI MODONA - Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge 30 gennaio 1963, n. 300 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957), con riguardo agli articoli 8 e 9 di detta convenzione, promosso con ordinanza emessa il 5 settembre 1996 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Priebke Erich, iscritta al n. 1212 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 45, prima serie speciale dell'anno 1996;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei

ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il

Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

  1. - La Corte di cassazione, pronunciandosi su di un ricorso promosso avverso i provvedimenti di convalida dell'arresto provvisorio a fini di estradizione, eseguito ai sensi dell'art. 715 cod. proc. pen. dalla polizia giudiziaria, e di applicazione della misura coercitiva della detenzione in carcere, adottati nei confronti di un imputato sottoposto a processo penale in Italia per lo stesso fatto a cui si riferisce la richiesta di estradizione, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 25, primo comma, e 112 della Costituzione, della legge 30 gennaio 1963, n. 300 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957), "a riguardo degli artt. 8 e 9 di detta convenzione".

Rileva la Corte remittente che propedeutica all'esame di vari motivi del ricorso appare la verifica richiesta dall'art. 714, comma 3, cod. proc. pen. - applicabile in tutti i casi di estradizione, anche se regolati pattiziamente - secondo il quale le misure cautelari coercitive non possono comunque essere disposte "se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione".

Nella specie - osserva il giudice a quo - è pacifico che la richiesta di estradizione riguarda gli stessi fatti (l'eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto in Roma il 24 marzo 1944) per i quali si procede penalmente in Italia nei confronti della persona di cui è chiesta l'estradizione (era già stata pronunciata sentenza di merito in primo grado, peraltro dichiarata nulla successivamente all'ordinanza di rimessione, onde il processo è tornato allo stadio del rinvio a giudizio dell'imputato, in attesa di processo). La normativa specificamente applicabile non sarebbe tuttavia quella-risultante dall'art. 705, comma 1, ultima parte, dei codice di rito, che vieta, fra l'altro, la pronuncia di sentenza favorevole all'estradizione ove per lo stesso fatto sia in corso procedimento penale in Italia, poiché su di essa prevarrebbe la normativa pattizia risultante dalla combinazione degli artt. 8 e 9 della convenzione europea di estradizione, resa esecutiva in Italia con la legge n. 300 del 1963, dalla quale emerge che l'estradizione può essere rifiutata quando la persona reclamata sia oggetto nello Stato richiesto di procedimenti penali per i fatti per i quali l'estradizione è domandata (art. 8), mentre l'estradizione non è accordata quando la persona richiesta è stata giudicata in via definitiva dalle autorità competenti della parte richiesta per i fatti per i quali l'estradizione è domandata (art. 9).

Nell'ordinanza si afferma che secondo tale sistema normativo il ricorrente potrebbe essere estradato per rispondere degli stessi fatti per i quali egli è sottoposto a giudizio in Italia, e che la decisione sull'accoglimento o meno della richiesta di estradizione spetterebbe, secondo la giurisprudenza uniforme della stessa Corte di cassazione, al Ministro di grazia e giustizia, il quale deciderebbe a discrezione, senza essere vincolato a (o anche solo indirizzato da) criteri o parametri normativa, rendendosi così evanescente la garanzia giurisdizionale, che pure assiste tutto il procedimento di estradizione.

Tale sistema normativa sarebbe, secondo il giudice remittente, lesivo anzitutto del diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, poiché, non essendo possibile l'abbandono del procedimento nel nostro Stato, per il principio di irretrattabilità dell'azione penale, la persona sottoposta a tale processo, una volta estradata, non sarebbe più in grado di difendersi personalmente partecipando al processo medesimo. Né si potrebbe eccepire -la possibilità di riestradizione o di sospensione del processo per legittimo impedimento dell'imputato: da un lato, infatti, sarebbe interesse costituzionalmente protetto quello dell'accusato di veder decisa la controversia in tempi ragionevoli; dall'altro lato, la decisione penale definitiva cui si pervenga nello Stato richiedente renderebbe giuridicamente impraticabile l'ulteriore prosecuzione del giudizio in Italia, opponendosi il principio dei ne bis in idem internazionale, enunciato dall'art. 9 della convenzione europea di estradizione.

In secondo luogo, secondo il giudice a quo, la normativa applicabile sarebbe in contrasto col divieto di distrazione dal giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione, perché la discrezionale determinazione dell'autorità politico-amministrativa risulterebbe capace di sottrarre l'imputato al giudice precostituito per legge, già individuato attraverso la celebrazione del processo.

In terzo luogo, si avrebbe violazione del principio di irretrattabilità dell'azione penale, corollario indefettibile della regola dell'obbligatorietà dell'azione penale, di cui all'art. 112 della Costituzione, perché, per effetto della discrezionale decisione dell'autorità politico-amministrativa, con l'esecuzione dell'estradizione il giudizio verrebbe consumato nello Stato richiedente, sicché il processo penale in Italia dovrebbe essere abbandonato.

La Corte remittente ritiene che la predetta situazione di contrasto con i principi costituzionali costituisca il frutto del recepimento nell'ordinamento giuridico italiano delle due richiamate disposizioni (articoli 8 e 9) della convenzione europea di estradizione, sicché il vizio di incostituzionalità si appunterebbe sugli articoli 1 e 2 della legge di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione, per la parte in cui essa ha recepito nella nostra legislazione norme in contrasto con l'ordine costituzionale, che condiziona anche l'esercizio delle potestà dei soggetti pubblici attraverso le quali si realizza la cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria.

Rileva il giudice a quo che l'art. 705, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen., individua il corretto meccanismo cui dovrebbero - e, nel caso di accoglimento della...

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