La realizzazione di innovazioni vietate tra placet assembleare e rispetto di esigenze pubblicistiche

AutoreAlberto Celeste
Pagine7-11

Page 7

@1. Il potere di disposizione e di gestione.

Il potere di «disporre» dei profili attivi e passivi della situazione soggettiva di condominio è riservato, nel nostro ordinamento, all'autonomia privata, mediante i contratti di compravendita delle singole unità immobiliari di cui è composto lo stabile stipulati tra il costruttore del secondo ed i singoli acquirenti delle prime (o tra costoro ed i loro aventi causa), nonché mediante convenzioni poste in essere successivamente da tutti i partecipanti al condominio.

Sotto il profilo attivo, basta richiamare l'art. 1118, primo comma, c.c. che fa riferimento al «titolo» - costituito appunto dai predetti negozi di trasferimento o dalle predette convenzioni totalitarie - il quale può determinare la misura del diritto di ciascun condomino sulle cose comuni, conseguendone che l'assemblea non può, a maggioranza, modificare la proporzione rappresentata tra il valore delle singole unità immobiliari e quello dell'intero edificio; sotto il profilo passivo, è sufficiente rilevare che, in forza dell'art. 1123, primo comma, c.c., soltanto per contratto è possibile derogare al criterio secondo cui il contributo di ciascun condomino alle spese per la conservazione delle parti comuni è proporzionato al valore della propria unità immobiliare, non potendo una delibera maggioritaria costringere il condomino a concorrere alle medesime spese in misura diversa da quella relativa alla quota di appartenenza.

Dunque, l'assemblea non può disporre dei diritti che ai singoli sono attribuiti dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e ciò sia con norme regolamentari di carattere generale (v. art. 1138, quarto comma, c.c.), sia con delibere riguardanti i casi di specie (v. CORONA R., Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino 2001, 193).

Il legislatore usa il verbo «menomare» che, però, non va inteso nel senso più ampio di ridurre, diminuire, intaccare, ma nel significato più rigoroso di far mancare o venir meno, ossia impedire; in quest'ottica, l'assemblea non può impedire l'uso delle cose comuni, ma può diminuire l'esercizio di tale uso, apportando limitazioni che non lo impediscono.

Interpretando l'art. 1102, primo comma, c.c., che consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune purché «non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto», la migliore dottrina ritiene che l'accezione adoperata dal legislatore, se correttamente intesa, permette al singolo di utilizzare la cosa comune (apportandovi anche delle modifiche), vietando solo l'uso che rende impossibile il godimento altrui, e non quell'uso che semplicemente limita il godimento altrui.

Nella stessa prospettiva, l'assemblea può deliberare innovazioni sulla cosa comune ai sensi del primo comma dell'art. 1120 c.c., le quali possono anche determinare diminuzioni o riduzioni non insignificanti all'esercizio dei diritti individuali, che non può, tuttavia, essere impedito del tutto - v., sul punto, il secondo comma dello stesso disposto, laddove vieta quelle innovazioni che «rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di un solo condomino» - cosicché il regolamento assembleare non può incidere sulla titolarità del diritto, potendo operare sull'esercizio, che determinate date o limitazioni può, invece, subire: pertanto, la competenza del collegio può giungere fino a stabilire limitazioni, che possono diminuire o ridurre, senza impedirlo, l'esercizio dei poteri e delle facoltà inerenti al contenuto del diritto.

Del resto, il potere dell'assemblea di stabilire limitazioni all'uso ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, in funzione della migliore utilizzazione o del miglior godimento delle parti comuni, si desume anche dal fatto che al collegio è attribuita la competenza generale in ordine all'amministrazione delle cose comuni; ad esempio, spettando all'amministratore la disciplina dell'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi (v. art. 1130, n. 2, c.c.) ed essendo ammesso ricorso avverso i provvedimenti in materia all'assemblea (v. art. 1133 c.c.), quest'ultima può disciplinare direttamente il godimento delle cose comuni, come può, sempre a maggioranza, approvare il regolamento che appunto si occupi di tale uso.

In tema di innovazioni, quindi, si manifestail più ampio potere riconosciuto all'assemblea in ordine alla «gestione» dinamica delle cose comuni; trattasi di un potere abbastanza esteso ed incisivo, che, però, va esercitato circoscrivendo nell'alveo delle attribuzioni demandate all'assemblea stessa: la legittimità della delibera dipenderà, quindi, dal suo oggetto, a seconda che concerna la gestione o sconfini nella «disposizione», settore quest'ultimo devoluto, invece, esclusivamente all'autonomia privata (v. anche CORONA R., Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano 1974, 155).

Ne consegue che la disciplina delle modalità per il miglior godimento della cosa comune presuppone pur sempre il rispetto della condizione che il diritto di comproprietà debba potersi estrinsecare liberamente; in quest'ottica, l'art. 1102, primo comma, c.c. contempla, per l'uso da parte del singolo, il divieto di impedire l'eguale uso dagli altri partecipanti e di alterare la destinazione della cosa comune, mentre l'art. 1120, secondo comma, c.c., prevede, per la delibera assembleare che approva le innovazioni, il limite della loro dannosità sia alla collettività che ai singoli condomini.

@2. Il «miglioramento» della cosa comune

Il predetto secondo comma specifica che «sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabi-Page 8lità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano taluni parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino»; invece, nella comunione, con l'art. 1108 c.c., si assiste a limiti meno severi, inibendo solo quelle opere che possano provocare un pregiudizio ad alcuno dei partecipanti o importino una spesa eccessivamente gravosa (sul punto, v., per tutti, FRAGALI M., La comunione, Milano 1973, 213).

Il legislatore, in tal modo, ha posto dei limiti ben precisi alle decisioni dell'assemblea, anche se adottate con i quorum elevati di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., intendendo così salvaguardare i diritti della collettività e dei singoli partecipanti del condominio da eventuali abusi della maggioranza; in altri termini, quest'ultima può approvare qualsiasi innovazione, purché diretta a migliorare la...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT