Lo stato dell'arte del procedimento per decreto penale di condanna: la valorizzazione del 'nolo contendere' attraverso le forme dell'acquiescenza
Autore | Paolo Grillo |
Pagine | 474-476 |
474
dott
5/2012 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
LO STATO DELL’ARTE DEL
PROCEDIMENTO PER DECRETO
PENALE DI CONDANNA: LA
VALORIZZAZIONE DEL “NOLO
CONTENDERE” ATTRAVERSO LE
FORME DELL’ACQUIESCENZA
di Paolo Grillo
SOMMARIO
1. Il procedimento per decreto: i caratteri generali del rito
monitorio. 2. Segue: la negozialità espressa nelle forme del-
l’acquiescenza.
1. Il procedimento per decreto: i caratteri generali del
rito monitorio
Il procedimento per decreto penale di condanna si
caratterizza per essere privo sia dell’udienza preliminare,
sia del dibattimento.
Il rito, già noto nelle precedenti esperienze codicistiche
italiane (sia del 1913 sia del 1930), ha la principale funzio-
ne di deflazionare il carico giudiziario attraverso l’anticipa-
zione della condanna ad una pena pecuniaria, prevedendo
il recupero del contraddittorio soltanto in via eventuale e
successiva all’emanazione del decreto stesso (1).
Atteso il rilievo costituzionale del diritto al contraddit-
torio, e considerate le modalità di emissione del decreto
penale di condanna, caratterizzate, come si è anticipato,
dall’assenza di ambedue le fasi tipiche del procedimento
ordinario, si è posta immediatamente, in dottrina, la que-
stione sulla compatibilità di questo rito con i principi della
Carta Costituzionale (2).
La Consulta, investita a più riprese del problema in
relazione alla mancata previsione, nel procedimento mo-
nitorio, della notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., ha
concluso affermando la compatibilità del procedimento
per decreto con i principi costituzionali, rilevando in par-
ticolare che l’intervento dell’imputato - e correlativamente
l’esercizio del contraddittorio - non necessariamente deve
conformarsi ad una modalità esplicativa standardizzata,
potendo anche esercitarsi con modalità peculiari in dipen-
denza del rito alternativo volta per volta considerato (3).
Nello stesso senso, sempre la Consulta ha affermato
che il procedimento monitorio non collide con il principio
del contraddittorio e con il diritto di difesa in quanto, nel
perseguire scopi deflattivi, prevede un contraddittorio
eventuale e differito, recuperabile attraverso l’opposizio-
ne al decreto di condanna (4).
La competenza a richiedere l’emissione del decreto pe-
nale di condanna spetta al p.m., mentre la decisione sulla
richiesta è compito del g.i.p.. Il presupposto fondamentale
è che l’organo dell’accusa ritenga possibile chiedere l’ap-
plicazione di una pena pecuniaria, anche in sostituzione di
pena detentiva, a condizione che non sussista la necessità
di fare applicazione di misure di sicurezza personali (art.
459, comma 5, c.p.p.).
Il ventaglio di reati per i quali è ammesso procedere
nelle forme del rito monitorio comprende tanto reati per-
seguibili ex officio, quanto reati perseguibili a querela di
parte, purché il querelante non abbia manifestato la sua
opposizione a che il procedimento penale venga definito
“per decreto” (art. 459, comma 1, c.p.p.). Poiché lo scopo
primario del rito in esame è quello di sfoltire il carico
giudiziario, abbreviando la durata della pendenza dei pro-
cedimenti per i reati meno gravi, si prevede - in funzione
acceleratoria - che il p.m. debba presentare la richiesta
motivata di decreto penale entro il termine di sei mesi (5)
dall’iscrizione del nome dell’indagato (6) nell’apposito
registro.
La misura della pena può, infine, essere inferiore fino
alla metà del minimo edittale.
Il g.i.p., ricevuta la richiesta, valutata anzitutto l’im-
possibilità di prosciogliere l’imputato nelle forme dell’art.
129 c.p.p., può decidere in conformità alla richiesta del
p.m., ovvero può rigettare la medesima, restituendo gli atti
all’ufficio dell’accusa.
Tralasciando la disamina analitica dei requisiti del de-
creto penale, stabiliti dall’art. 460 c.p.p. e limitandoci a
rilevare che con esso il g.i.p., oltre ad applicare la pena,
concisamente motivando la sua decisione, ordina la confi-
sca ex art. 240, comma 2, c.p. e può altresì applicare il
beneficio della sospensione condizionale, si deve sotto-
lineare che il decreto deve essere notificato, ex art. 460,
comma 3, c.p.p., al condannato, al suo difensore ed alla
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Co-
pia del decreto deve essere anche comunicata al pubblico
ministero.
La premialità del rito, oltre che nella diminuzione fino
al minimo della metà del minimo edittale, si rinviene an-
che nelle previsioni dell’art. 460, comma 5, c.p.p..
Viene escluso, infatti, il pagamento delle spese del
procedimento e l’applicazione delle pene accessorie. È,
inoltre, esclusa l’efficacia di giudicato nel giudizio civile
o amministrativo. L’estinzione del reato, infine, interviene
in cinque o due anni, a seconda se si tratti di delitto o di
contravvenzione.
Notificato il decreto al condannato, quest’ultimo (e il
civilmente obbligato per la pena pecuniaria) può proporre
opposizione al g.i.p., personalmente o a mezzo del difenso-
re (7) entro quindici giorni dalla notifica del decreto.
L’epilogo dell’atto di opposizione (8), cui fa da con-
traltare la revoca del decreto di condanna, è sempre uno
dei riti alternativi previsti dal codice: giudizio immediato,
abbreviato, patteggiamento ovvero oblazione (9). Proprio
per non vanificare gli scopi deflattivi del rito, qualora non
venga in sede di opposizione espressa alcuna preferenza
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