Valore commerciale del veicolo danneggiato da sinistro stradale: risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente. Limiti legislativi ed orientamenti giurisprudenziali

AutoreAnnunziata Candida Fusco
CaricaAvvocato, foro di Bergamo
Pagine743-746
743
dott
Arch. giur. circ. e sin. strad. 10/2016
DOTTRINA
VALORE COMMERCIALE
DEL VEICOLO DANNEGGIATO
DA SINISTRO STRADALE:
RISARCIMENTO IN FORMA
SPECIFICA E RISARCIMENTO
PER EQUIVALENTE. LIMITI
LEGISLATIVI ED ORIENTAMENTI
GIURISPRUDENZIALI (**)
di Annunziata Candida Fusco (*)
Il principio giurisprudenziale della necessità del ri-
sarcimento per equivalente in caso di riparazione antie-
conomica del veicolo danneggiato in un sinistro stradale,
da lungo tempo signore indiscusso nelle aule giudiziarie e
nelle transazioni stragiudiziali, sembra lentamente in fase
di evoluzione sia tra i giudici di merito che tra i giudici
di legittimità, sempre più attenti ad una valutazione pun-
tuale dei singoli casi. L’interrogativo che si pone è come
contemperare il diritto del danneggiato a conseguire l’in-
tegrale ristoro del danno subìto in occasione di un sini-
stro stradale con l’esigenza insopprimibile di evitare che
quest’ultimo si trasformi in occasione di lucro e di indebita
speculazione ai danni del debitore (solitamente le imprese
di assicurazione). “Occorre, infatti, ribadire il consolidato
principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione
del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la
funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello sta-
to in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo e, quindi,
trova presupposto e limite nell’effettiva perdita subita da
quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipen-
dentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le
varie, cfr. Cass. 5 luglio 2002 n. 9740)” (1). Se la “perdita
effettivamente subita” costituisce il limite alla risarcibilità
del danno, fermo restando che vanno risarcite tutte le con-
seguenze dirette e indirette del fatto secondo il principio
della causalità adeguata (2), ecco che la giurisprudenza in
materia di risarcimento del danno da sinistro stradale ha
elaborato, quasi come corollario del principio di cui innan-
zi, l’ulteriore principio secondo cui quando la liquidazione
del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata
per equivalente, il riferimento non può che essere il valore
del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illeci-
to. Ossia, la liquidazione avrà ad oggetto la corresponsione
“di una somma pari alla differenza di valore del bene prima
e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni su-
peri notevolmente il valore di mercato del veicolo (Cass. 12
ottobre 2010 n. 21012; Cass. 4 marzo 1998 n. 2402)” (Cass.
sez. VI, ordinanza 28 aprile 2014 n. 9367) (3).
Si ricorre, come noto, alla riparazione per equivalen-
te quando quella in forma specif‌ica non è possibile per-
ché “eccessivamente onerosa per il debitore” (art. 2058,
comma 2, c.c.) (4).
La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito che “la
domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo
a seguito di incidente stradale, quando abbia ad ogget-
to la somma necessaria per effettuare la riparazione dei
danni, deve considerarsi come richiesta di risarcimento
in forma specif‌ica, con conseguente potere del giudice, ai
sensi dell’articolo 2058, comma 2, c.c. di non accoglierla
e di condannare al risarcimento per equivalente” (Cass.
9367/2014, cit.; conforme Cass. 12 ottobre 2010 n. 21012).
Orbene, se è vero che è facoltà del danneggiato deci-
dere se domandare il risarcimento in forma specif‌ica o
per equivalente (Cass. 6985/1997), il legislatore ricono-
sce al giudice il potere di decidere se accogliere o meno
la domanda e quindi condannare il debitore al pagamento
della somma di danaro effettivamente richiesta e neces-
saria per ripristinare lo status quo ante (risarcimento in
forma specif‌ica) ovvero condannare al pagamento di una
somma di danaro che sia pari alla differenza tra il valore
delle riparazioni ed il valore del veicolo al momento del
sinistro, qualora il costo per le riparazioni sia superiore
a quest’ultimo (c.d. riparazione antieconomica) (5). Ri-
prendendo l’interrogativo iniziale, a questo punto ci si
chiede se il criterio della antieconomicità delle ripara-
zioni, di elaborazione giurisprudenziale, corrisponda alla
“eccessiva onerosità” prevista come limite al risarcimen-
to in forma specif‌ica e come criterio di riferimento per il
giudice chiamato ad esercitare la sua scelta discrezionale
tra le due forme risarcitorie superando f‌inanche il prin-
cipio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato
(art. 112 c.p.c.).
La giurisprudenza di legittimità prevalente ha costan-
temente risposto affermativamente al quesito, ritenendo
che il principio della antieconomicità delle riparazioni
faccia da discrimine tra le due ipotesi, costituendo il faro
nella formulazione del giudizio f‌inale. L’applicazione rigo-
rosa di detto principio ha portato perciò i giudici di me-
rito a ricorrere quasi esclusivamente al risarcimento per
equivalente ogni volta che le stime del veicolo effettuate
giusta mercuriali, listini, riviste specializzate restituisca-
no una spesa per riparazioni anche solo di poco superiore
al valore commerciale del veicolo stesso. Detto ancora più
semplicemente, ogni volta che le stime riferiscono una ri-
parazione antieconomica, il giudice, ritenendola de plano
“eccessivamente onerosa”, opta per il risarcimento per
equivalente (2058, 2° comma, c.c.).
Il secondo interrogativo che si pone a questo punto è
il seguente: ogni riparazione antieconomica è eccessiva-
mente onerosa per il debitore? Oppure potrebbe il giudice,
in virtù del potere discrezionale conferitogli dalla norma,
decidere di volta in volta e caso per caso se l’assioma è
sempre vero? Per quanto maggioritario l’orientamento ri-

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