Sull’utilità dell’udienza preliminare nella sua attuale formulazione

AutoreAmato Carbone
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@1. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte

Che il processo penale sia un fertile terreno di coltura per le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale è un dato oramai assodato. Capita meno frequentemente che si chieda addirittura di espungere una parte fondamentale del sistema, così come pensato dai codificatori del 19881.

È però questo il caso posto all’attenzione della Corte dal G.u.p. del Tribunale di Verbania, il quale chiamato a giudicare in sede di U.P., ha valutato di sollevare, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’intero Titolo IX del Libro V del codice di procedura penale, nonché dell’art. 550, comma 1, dello stesso codice, “nella parte in cui limita i casi di citazione diretta a giudizio, in aggiunta alle ipotesi di cui al comma 2 del medesimo articolo, alle contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva”.

Una simile impostazione trarrebbe origine dalle modifiche normative che hanno investito l’istituto, tra le quali la concessione all’imputato del diritto potestativo di chiedere la definizione tramite giudizio abbreviato non condizionato, tanto che “risulterebbe, difatti, indubitabile che ove il giudice pronunci, sulla base degli atti, sentenza di non luogo a procedere, sulla base dei medesimi atti pronuncerebbe anche sentenza assolutoria nel merito”. Ciò avrebbe determinato il venir meno della funzione deflativa dell’udienza preliminare rendendo la stessa “una fase processuale inutile: con la conseguenza che il suo manteni-Page 161mento verrebbe a porsi in contrasto sia con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), che impegna il legislatore ad evitare scansioni processuali prive di significato in rapporto al corretto esercizio dell’azione penale e alla piena esplicazione delle esigenze difensive; sia con il principio di «buon andamento ed efficienza», di cui all’art. 97 Cost., tenuto conto segnatamente dei costi che l’udienza preliminare comporta; sia, infine, col più generale principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)”2.

@2. L’udienza preliminare: cenni sulla storia e l’evoluzione

Le valutazioni del giudice prendono spunto dall’evoluzione che ha subito l’udienza preliminare e da una assimilazione sempre più spinta tra la regola di giudizio di questa fase e di quella dibattimentale. Tale supposto appiattimento delle due fasi ne avrebbe quindi comportato una diminuzione di utilità ed anzi, a voler seguire l’iter logico del giudice rimettente, una diminuzione di tutele per la parte sottoposta a persecuzione penale (secondo la critica del gup di Verbania a parità di elementi di accusa sarebbe prosciolta in sede di U.P. invece che assolta in dibattimento).

Certamente le critiche mosse individuano una forte crisi di identità dell’istituto a seguito delle innovazioni del legislatore, che già in passato ha prodotto dubbi e dibattiti sulla sua eventuale nuova natura e che meglio possono essere colti attraverso una analisi dell’evoluzione dell’orizzonte conoscitivo del gup in tale sede.

Come noto, infatti, l’udienza preliminare ha rappresentato la novità assoluta del codice di procedura penale del 1988. Nel vigore del Codice abrogato non esisteva tale filtro; infatti, il vaglio delle imputazioni infondate avveniva al termine dell’istruzione, mentre l’archiviazione era collocata in una fase antecedente3. Era, pertanto, lo stesso giudice istruttore a condurre il procedimento probatorio, acquisendo le prove e determinando o meno la necessità del rinvio a giudizio, dapprima con sentenza e, dal 1972, con ordinanza4.

Il nuovo Codice di procedura penale ha abolito la fase dell’istruzione5, ha spostato in avanti la fase di instaurazione del processo, attribuendo al p.m. l’onere di valutare se, al termine delle indagini, siano maturati i presupposti per la richiesta di rinvio a giudizio6. I principi accusatori ispiratori del nuovo Codice hanno spinto il delegante a prevedere un tipo di dibattimento nel quale il contraddittorio si svolgesse per la prova e non sulla prova già formata nel corso dell’istruttoria.

In ogni caso l’udienza preliminare rappresenta “la prima fase in cui la giurisdizione ha competenza continuata e stabile, a differenza di ciò che avviene nel corso delle indagini preliminari, nelle quali il G.i.p. è chiamato ad intervenire per risolvere singole questioni e pronunciare determinati provvedimenti”7; in questa fase il G.u.p. è, invece, competente “per l’intero”.

In sintesi, la funzione essenziale dell’udienza preliminare8 è comunque quella di consentire ad un organo giurisdizionale il vaglio sulla fondatezza e rilevanza dell’imputazione; altrettanto importante è, però, quella di permettere alle parti in genere, ma soprattutto all’imputato, di chiedere i riti alternativi dopo aver avuto, con la discovery, l’opportunità di conoscere tutti gli atti del processo, compresi gli elementi di prova a carico, in mano al PM; inoltre, secondo una parte della dottrina, far valere il diritto alla prova9.

Se non si giunge ad un’anticipata definizione del giudizio per il tramite dei riti alternativi il giudice dell’udienza preliminare ha il compito di verificare, anche avvalendosi degli strumenti di integrazione delle conoscenze fornitigli dall’ordinamento, se “vi sono o meno gli estremi per dare vita a quel delicato meccanismo processuale costituito dal giudizio ordinario”10. In caso affermativo il giudice emette il decreto che dispone il giudizio, che oltre a contenere la vocatio in ius, contiene anche la formulazione dell’accusa, ovverosia la res iudicanda per il dibattimento11.

In caso negativo, se mancano le condizioni per l’instaurazione del giudizio ordinario, il G.u.p. pronuncia sentenza di non luogo a procedere, definendo in tal modo il processo in fase preliminare ancora allo stato del nascere e bloccandone così lo svolgimento. Infatti, la sentenza di non luogo a procedere recide l’iter processuale, producendo rebus sic stantibus la fine del processo. La sentenza è impugnabile e una volta divenuta non più impugnabile è possibile revocarla12 al sopravvenire dei requisiti legalmente previsti13.

Secondo l’originaria impostazione dei Codificatori l’udienza preliminare doveva, quindi, costituire “un filtro dalle maglie larghe, idonee a trattenere solo le imputazioni che presentassero una configurazione tale da prestarsi alla formulazione di una prognosi del tutto sfavorevole quanto ai supposti esiti dibattimentali”14. Come si evince anche dalla Relazione al progetto preliminare, il legislatore del 1988 voleva evitare, in primo luogo, una possibile rinascita di un’attività istruttoria nell’udienza preliminare, tanto da configurarla “come un procedimento allo stato degli atti, cui può far seguito, eventualmente, un regime eccezionale imperniato su limitate acquisizioni probatorie caratterizzate da un’efficacia interna alla fase”15.

L’impostazione si inseriva nel solco tracciato dall’art. 2 della legge delega, volto a dare attuazione ai caratteri del sistema accusatorio attraverso la “valorizzazione assoluta della centralità della verifica dibattimentale”. Da ciò scaturiva necessariamente un “correlato contenimento concettuale dell’udienza preliminare”, che venne configurata come mero provvedimento di impulso processuale, non a caso “carente dei motivi a sostegno della c.d translatio iudicii”.

Alla scelta di esaltare la funzione del dibattimento nell’operazione di ricostruzione del fatto, attraverso il con-Page 162traddittorio delle parti per la prova, ha fatto da inevitabile contraltare “il riconoscimento della inutilità dimostrativa di ogni acquisizione valutativa avvenuta nel corso delle indagini preliminari”16.

Ne apparivano così giustificati la ristrettezza dei termini per il compimento delle indagini e lo sfavore verso l’espletamento di attività processuali, che comunque non avrebbero mai potuto assumere la dignità di prova ed anzi potenzialmente avrebbero potuto costituire un fattore di indebolimento dell’atto processualmente a ciò finalizzato. Così per arrivare al proscioglimento dell’indagato la formula prevista dall’art. 425 c.p.p proponeva “una sostanziale inversione dell’onere della prova sull’accusa, richiedendo addirittura il requisito dell’evidenza probatoria della prospettazione rappresentata dalla difesa”17. La funzione dell’udienza preliminare era soltanto quella di verificare l’ammissibilità o meno della domanda di giudizio rivolta dal pubblico ministero18, rimanendo preclusa al giudice la possibilità di entrare in alcun modo sul merito della regiudicanda19.

Il ruolo assolutamente marginale che una simile regola di giudizio aveva conferito all’udienza preliminare la relegava alla funzione di mero filtro per la distribuzione delle udienze tra i vari giudici20, una sorta di “giudice per la fissazione del dibattimento”.

In realtà, sul concetto di evidenza21 occorrono talune precisazioni; l’interpretazione giurisprudenziale emersa rispetto alle regole di giudizio relative ad archiviazione e non luogo a procedere aveva...

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