Critica al c.d. Danno biologico da uccisione inteso come invalidità subita dal superstite

AutoreGiovanni Benito Agrizzi
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La cultura giuridica e medico-legale attuale è riuscita ad alterare e a rendere ridicolo il nobile principio di GENNARO GIANNINI: il c.d. «danno biologico da uccisione», da lui creato per riqualificare e rivalutare il risarcimento dovuto ai congiunti per la morte di una persona; che da sempre è umiliato e sottovalutato, tanto che conviene al responsabile uccidere piuttosto che ferire un essere umano.

L'idea semplice e naturale del GIANNINI, che andasse risarcito ai superstiti il patrimonio di diritti e di contenuti rappresentato dalla persona defunta in sè e valutata in modo certo secondo il totale danno biologico della stessa, è stata travolta da un mare di pompose parole vane (come il latinorum di Don Abbondio), ed è stata sostituita dal nuovo principio: che non va risarcito ai superstiti il totale valore biologico della persona defunta, bensì va risarcito solo il grado del danno biologico che ciascun superstite proverà di aver personalmente subito per la morte del congiunto.

Questa teoria, inventata dalle compagnie di assicurazione, d'accordo con i medici-legali, interpreta «il danno biologico da uccisione» come danno alla persona del superstite, nel senso tecnico medico-legale, cioè come una vera e propria invalidità subita dal superstite per la morte del congiunto: in altre parole, la morte del congiunto è parificata ad un veicolo che investe il superstite, ferendolo e provocandogli una malattia del corpo o della mente.

Perciò il superstite potrà ottenere il risarcimento per la perdita della persona cara solo se si sottoporrà ad una perizia medico-legale che accerti che la morte di questo gli ha provocato una invalidità, cioè una vera menomazione oggettiva che durerà tutta la vita.

Sotto il profilo tecnico-scientifico medico-legale questa specie di teoria è una oscena scempiaggine, come può essere facilmente compreso da qualsiasi persona di normale buon senso. Invero, nella normalità, la morte del congiunto, pur cambiando tragicamente la vita e il futuro delle persone, non produce effetti invalidanti permanenti oggettivi sul superstite, tali da poter essere misurati con le tabelle di invalidità, come avviene quando la persona subisce un vero e concreto infortunio. E ciò lo sanno bene, ovviamente, anche i medici-legali, che propugnano tale orrenda tesi solo perché rappresenterebbe per loro un lucroso affare: per ogni defunto, essi perizierebbero i numerosi suoi congiunti. Non importa se questa perizia si ridurrebbe in una vera...

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