Tribunale civile di Genova sez. III, 23 ottobre 2014, n. 3350
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giur
Arch. loc. e cond. 4/2015
MERITO
male deminutio, ad ogni utilizzo del cespite compiuto da
un conduttore che detiene il bene da tanti anni: e qui si
riferisce soprattutto ai fori sulle pareti, a singole macchie
ai segni di danneggiamento dei battiscopa, e simili.
Insomma, relativamente a queste riscontrate modifica-
zioni, ogni doglianza dell’attore è infondata.
Diverso discorso, invece, deve farsi per: realizzazione
di nuove opere murarie, macchie indelebili di grosse di-
mensioni al pavimento.
Con riferimento a tali ulteriori condizioni fattuali
dell’immobile locato, incontestabilmente sussistenti al
momento della sua restituzione, la domanda risarcitoria
del ricorrente può ritenersi fondata, in applicazione dei
canoni ermeneutici già richiamati e sussistendo con evi-
denza l’eccedenza del normale uso del cespite.
Per quanto concerne la quantificazione del danno, il
giudice ritiene di poter procedere ad una determinazione
equitativa ex art. 1226 c.c. che, partendo dalla quantifi-
cazione operata dal tecnico in sede di perizia (sommario
di spesa) ed escludendo le poste non risarcibili, tenga
anche conto del tempo intercorso da quell’accertamento
fino alla presente liquidazione: per cui, al ricorrente po-
trà riconoscersi la complessiva somma di euro 4.000,00 al
valore attuale. La somma definitivamente riconosciuta è
espressa in valori monetari attuali. Può farsi ricorso al tas-
so degli interessi al 2,0% annuo (stimato ragionevole, alla
luce dell’intervenuta inflazione) per risarcire, in termini
di lucro cessante, il danno imputabile al ritardo con cui i
danneggiati ottengono la disponibilità dell’equivalente pe-
cuniario del debito di valore dedotto in lite. Tali interessi
al tasso del 2,0% annuo dovranno calcolarsi, con riferimen-
to all’arco temporale intercorso tra l’illecito e la presente
pronuncia, sulla somma dapprima originariamente devalu-
tata alla data del sinistro e successivamente incrementata
anno per anno nominalmente fino all’importo liquidato in
base ai coefficienti Istat (si veda per l’adottato metodo di
liquidazione Cass., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712).
Sulla totale somma risarcitoria così determinata, poi,
spetteranno gli interessi legali dalla sentenza fino al sod-
disfo.
La domanda di parte attrice relativa al rimborso delle
spese sostenute per il giudizio di sfratto promosso nei
confronti della resistente non può trovare accoglimento
perché le stesse spese sono state liquidate o comunque
non dovranno essere liquidate nel relativo giudizio al fine
di evitare duplicazioni risarcitorie. La domanda riconven-
zionale è infondata dal momento che parte convenuta non
ha fornito la prova che i valori eseguiti erano stati preven-
tivamente autorizzati dal locatore.
Il diritto del conduttore alla indennità per miglio-
ramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art.
1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il
consenso del locatore. Questo consenso, importando co-
gnizione dell’entità anche economica e della convenienza
delle opere, non può essere implicito o desumersi da atti di
tolleranza, ma deve risultare da una manifestazione espli-
cita e inequivoca di volontà, senza la quale deve ritenersi
applicabile il principio generale stabilito dal predetto arti-
colo, secondo cui il conduttore non ha diritto all’indennità
per i miglioramenti apportati alla cosa senza il consenso
del locatore (Cass. 30 gennaio 2009, n. 2494).
In ossequio ai principi sanciti da Cass. 14 aprile 2000,
n. 4861, in precedenza richiamati, la prova dell’autorizza-
zione asseritamente data dalla locatrice alla effettuazione
dei lavori di cui si chiede il rimborso, doveva essere data
con atto scritto, stante l’operatività dell’art. 2725 c.c. (te-
nuto conto anche di quanto stabilito dall’art. 9 del con-
tratto di locazione).
Per i negozi giuridici per i quali la legge prescrive la
forma scritta “ad substantiam”, la prova della loro esisten-
za e dei diritti che ne formano l’oggetto richiede necessa-
riamente la produzione in giudizio della relativa scrittura,
che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e
neanche dal comportamento processuale delle parti, che
abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto
costituito con l’atto non esibito (cfr., Cass. 14 dicembre
2009, n. 26174) da ciò discende che nessun rilievo può es-
sere attribuito alle dichiarazioni testimoniali assunte nel
presente giudizio in merito alla asserita autorizzazione
data per facta concludentia.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo. (Omissis)
tribunale Civile di genova (*)
seZ. iii, 23 ottobre 2014, n. 3350
est. Cannata – riC. d.a. ed altro (avv. b.r.) C. Condominio v. (avv. v.s.)
Assemblea dei condomini y Convocazione y
Avviso y Nuova formulazione dell’art. 66 att. c.c. y
Regolarità della comunicazione y Utilizzo di Pec y
Condizioni.
. In tema di avviso di convocazione dell’assemblea,
se prima della riforma dell’istituto condominiale in-
tervenuta con la L. n. 220 del 2012 vigeva il principio
di libertà delle forme (per cui l’unico criterio con-
cretamente applicabile doveva ritenersi quello che
garantisse il raggiungimento dello scopo), ai sensi del
nuovo disposto dell’art. 66, comma 3, att. c.c. l’ammini-
stratore del condominio deve utilizzare le forme scritte
imposte dalla norma. Conseguentemente, in caso di
comunicazione effettuata dall’amministratore median-
te posta elettronica certificata, la stessa può ritenersi
validamente effettuata ai sensi di legge solamente se
entrambi gli utenti (mittente e destinatario) siano
titolari di PEC. (Fattispecie nella quale il Tribunale ha
annullato la delibera condominiale per vizio di omessa
convocazione di alcuni condomini, sul rilievo che solo
l’amministratore era titolare di PEC, mentre i condo-
mini destinatari dell’avviso di convocazione risultavano
titolari di semplice casella di posta elettronica) (att.
c.c., art. 66) (1)
(*) La sentenza è già stata pubblicata in questa Rivista 2015. 314. Si
ripubblica la sola massima con nota di ANTONIO NUCERA.
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