Controllo della suprema corte sull'addebito cautelare ed esercizio dell'azione penale. Qualche considerazione sul nuovo art. 405 Comma 1 bis c.p.p.

AutoreLeonardo Suraci
Pagine693-696

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Dopo un travagliato iter parlamentare, segnato anche da un messaggio del Presidente della Repubblica a norma dell'art. 74 Cost., il Parlamento, come è noto, ha approvato la c.d. legge Pecorella, recante: «Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento».

Come sempre più spesso accade, i titoli dei provvedimenti legislativi non ne riflettono compiutamente il contenuto, sicché, esaminando la L. 20 febbraio 2006 n. 46, si scorge un insieme normativo molto più complesso di quanto potrebbe apparire, frutto di un lavoro parlamentare dimostratosi, ancora una volta, incapace di non «cedere alla tentazione di arricchire la [originaria] proposta, inserendovi estemporaneamente e disorganicamente altre modifiche normative, magari non proprio necessitate da essa, ma che la prendevano solo a prestito» (FRIGO).

Tutto l'articolato è stato sottoposto a critiche e talvolta - anche questo è un dato comune ai casi in cui la politica sembra prendere il sopravvento rispetto alla tecnica - di tenore opposto, ma tra le disposizioni maggiormente indulgenti in perplessità - di essa non si è mancato, d'altra parte, di sottolineare l'assenza di ogni giustificazione sul piano della ragionevolezza (MARZADURI) - si colloca l'art. 3, il quale, modificando l'art. 405 c.p.p., vi ha inserito un comma 1 bis ai sensi del quale: «Il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell'art. 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini».

Va subito rilevato come le motivazioni con le quali il Presidente della Repubblica aveva rinviato alle Camere il testo approvato dal Parlamento il 12 gennaio 2006 non compendiassero alcuna censura riferita alla disposizione in esame e ciò dovrebbe significare che, a giudizio del Capo dello Stato, la medesima non presentasse profili di evidente illegittimità costituzionale, fatta salva, ovviamente, una differente valutazione della Corte costituzionale.

Al di là delle innegabili problematiche connesse alla «gestione» della disposizione - sulle quali sarà necessario tornare» - il profilo di maggior spessore evidenziato dalla dottrina è rappresentato dall'impossibilità di incastonare la stessa in un sistema che configura la deliberazione sulla sostenibilità dell'accusa in giudizio (art. 125 att. c.p.p.) in termini assolutamente eterogenei rispetto alla valutazione di gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p.

Che sia effettivamente così, però, è conclusione tutt'altro che scontata e, per rendersi conto dell'allineamento «in astratto» della nuova disposizione ai rinnovati equilibri che sostengono il sistema processuale, occorre leggere fino in fondo gli effetti di un processo riformatore che, iniziato nel 1999, ha rivoluzionato, in nome di un'esasperata esigenza deflazionistica, oltre il necessario (e, secondo alcuni, il compatibile con la filosofia del modello accusatorio) l'assetto del processo penale.

Non si aggiunge nulla di nuovo nel dire che, per effetto delle innovazioni apportate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, l'udienza preliminare ha subito un'evoluzione che, stravolgendone la struttura, ne ha deformato la funzione.

Come osservato incidentalmente dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 224/2001, la riforma dell'istituto ne ha determinato «una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare». Sulla base di questa premessa argomentativa, la Corte ha riconosciuto che «[l]'alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell'udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione del merito della accusa ormai non più distinguibile - quanto ad intensità e completezza del panorama delibativo - da quella di altri momenti processuali».

Le medesime conclusioni sono state ribadite, successivamente, nell'ordinanza costituzionale n. 335/2002, espressamente osservandosi, nell'occasione, che «l'udienza preliminare, in conseguenza dell'evoluzione legislativa sopra accennata, è [divenuta] anch'essa un momento di "giudizio"».

L'approdo costituzionale, è difficile nasconderlo, ha scosso il sistema dalle...

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