Sull'obbligo di versamento degli aumenti del canone

AutoreMaurizio De Tilla
Pagine92-94

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Con la decisione in rassegna la Corte di cassazione ha affermato che il principio di tolleranza stabilito dall'art. 1455 c.c. secondo cui l'inadempimento determina la risoluzione del contratto soltanto quando non sia di scarsa importanza e quindi debba considerarsi grave impone che debba aversi riguardo all'interesse del creditore alla prestazione nell'ambito dell'economia complessiva del contratto.

Obbligazione principale del conduttore è quella del pagamento del canone, nella misura e nelle modalità pattuite, e non è consentito sino a che non sia stata accertata giudizialmente una diversa misura del canone, per essere contrario quello pattuito a norme di legge, una autoriduzione del canone convenzionale.

Il mancato versamento degli aumenti convenuti costituisce volontario inadempimento ex art. 1453 c.c., facendo venir meno l'equilibrio sinallagmatico convenzionale e, avuto riguardo all'interesse del locatore, in relazione all'entità delle somme non corrisposte e alla data della loro finale corresponsione non può ritenersi di scarsa entità.

Né ha rilievo la pretesa invalidità della clausola di adeguamento pattuita, ai fini di escludere una colpevolezza dell'inadempimento.

La legge, in materia contrattuale, ha operato una scelta in senso obiettivo nel senso di sanzionare come inadempimento l'omessa o inesatta esecuzione della prestazione dovuta, solo consentendo al debitore di offrire la prova liberatoria circa l'impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.

La decisione va condivisa.

Nello stesso senso si è affermato che in tema di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione di immobile urbano, poiché il conduttore ha l'obbligo primario di pagare alla scadenza pattuita l'intero canone, la mancata corresponsione di parte di questo, ancorché incidente in misura limitata (nella specie, dell'aggiornamento Istat pari al 10% della prestazione mensile), può assumere i caratteri della serietà e della gravità di cui all'art. 1455 c.c. se si protrae nel tempo e se persiste malgrado il ricorso alle vie giudiziali (v. Cass. 1 dicembre 1983 n. 7194).

Ed ancora, v. Cass. 14 febbraio 1986 n. 891, secondo cui il mancato pagamento, da parte del conduttore, del maggior canone dovuto in conformità di clausole di aggiornamento alla sopravvenuta svalutazione (cosiddetta clausola Istat), senza che sia stata giudizialmente accertata l'illegittimità di tale patto, o comunque sia pendente controversia in proposito, configura inadempimento giustificativo della risoluzione del contratto di locazione, restando irrilevante, per l'esclusione della colposità di tale inadempimento, il mero convincimento del debitore sulla non debenza di quella maggiorazione (conf. Cass. 17 luglio 1991 n. 7934, in questa Rivista 1992, 66).

Il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto per morosità non può opporre di avere versato il canone nella misura legale, né può il giudice, di ufficio, accertare in via incidentale l'effettiva misura del canone legale, essendo il relativo accertamento riservato alla cognizione del pretore a seguito di regolare azione del conduttore nelle forme e nei termini di cui agli artt. 44 e 45 della citata legge. Ne consegue che fino a quando, in quest'ultimo giudizio, non sia stata accertata, con sentenza passata in cosa giudicata, l'esatta misura del canone legale, che venga a sostituire quello convenzionale, non può il conduttore rifiutarsi di versare gli aumenti di legge del canone richiestogli dal locatore, in quanto ciò provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale e, pur costituendo il mancato versamento di detti aumenti inadempimento ex art. 1453 c.c., è compito del giudice di merito accertare, ai sensi dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento sia talmente grave da giustificare la...

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