Lo Straniero e l'apolide nel patrocinio a spese dello stato (d.p.r. n. 115 Del 2002)

AutoreDomenico Potetti
Pagine681-691

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@1. Certificazione dell'autorità consolare. Riferimenti alla giurisprudenza costituzionale

- Il comma 2 dell'art. 79 del T.U. prevede che, per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione Europea «correda» l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.

La lettera della legge pare quindi chiaramente indicare che l'istanza dello straniero deve anzitutto avere i contenuti previsti dal comma primo dell'art. 79 del T.U. (compresa la dichiarazione sostitutiva sul reddito).

Inoltre, per i redditi prodotti all'estero, è richiesta aggiuntivamente («correda l'istanza», recita infatti il comma 2 cit.) la certificazione dell'autorità consolare.

Dal carattere agguntivo della certificazione consolare si evince l'infondatezza della eventuale obiezione difensiva, secondo la quale la certificazione consolare non sarebbe dovuta nel caso concreto, perché lo straniero non aveva (a detta sua, evidentemente) prodotto redditi all'estero.

Al contrario, l'intenzione sottesa al secondo comma dell'art. 79 T.U. è letteralmente chiara, nel senso che per i redditi prodotti all'estero da cittadini extracomunitari il legislatore pretende un'attestazione ulteriore (la certificazione consolare).

Si tratta di una pretesa molto ragionevole, data la difficoltà in generale dello Stato italiano di operare una verifica sul reddito reale dello straniero in uno Stato extracomunitario.

Orbene, così individua la ratio della disposizione, è evidente che essa non può essere altrimenti soddisfatta con una dichiarazione dell'istante (espressa, o anche solo considerata come implicita nel fatto stesso di non avere allegato all'istanza la certificazione consolare) di non aver prodotto redditi all'estero, perché ciò equivarrebbe a ridurre l'onere dello straniero alla dichiarazione sostitutiva di cui al comma primo, lett. c) dell'art. 79 del T.U., vanificando (contro la volontà del legislatore) l'onere aggiuntivo sopra individuato.

Quindi, lo straniero extracomunitario dovrà sempre allegare all'istanza la certificazione dell'autorità consolare, anche se i redditi prodotti all'estero fossero (secondo lui) pari a zero.

In pratica si tatta di una sorta di prova legale minima.

Ciò posto, venendo all'origine storica dell'istituto (origine la cui analisi è necessaria per la sua comprensione, anche nell'attualità), osserviamo che la previsione del contenuto della certificazione dell'autorità consolare («attesta la veridicità») pare essere la diretta conseguenza della sentenza n. 219 del 1995 della Corte costituzionale 1.

Per comprendere i «trascorsi» della norma occorre quindi ricordare che l'originario comma 3 dell'art. 5 della L. n. 217 del 1990 prevedeva che, ove l'istante fosse straniero «... per i redditi prodotti all'estero è sufficiente l'autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1, accompagnata da una attestazione dell'autorità consolare competente dalla quale risulti che, per quanto a conoscenza della predetta autorità, la suddetta autocertificazione non è mendace».

Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tale originaria disposizione, il giudice delle leggi (con la citata sentenza n. 219 del 1995) ebbe ad affermare alcuni principi che conviene (in sintesi) ricordare, per la parte che qui interessa.

La Corte ritenne fondata la censura (espressa in riferimento al principio di ragionevolezza), avente ad oggetto la disparità di trattamento in relazione alla documentazione del presupposto reddituale per l'accesso al beneficio, richiesta rispettivamente per il cittadino e per lo straniero.

Rilevava la Corte che, per il cittadino, l'art. 5 L. n. 217 del 1990 dettava una disciplina molto rigorosa, che si coniugava con quella ulteriormente prevista dai successivi artt. 6 e 10.

Infatti il cittadino doveva (allora) autocertificare la sussistenza delle condizioni reddituali, allegare la copia dell'ultima dichiarazione dei redditi o dei certificati sostitutivi, produrre una dichiarazione contenente l'elencazione di tutti i suoi redditi, indicare la sua situazione patrimoniale, corredando l'istanza con un'elencazione dei beni immobili e mobili registrati in ordine ai quali l'interessatoPage 682 fosse titolare di un diritto reale, soggiacere al controllo affidato all'intendente di finanza (con possibile revoca del beneficio).

Osservava la Corte che, invece, nulla di tutto questo era previsto per lo straniero, al quale bastava produrre l'autocertificazione della sussistenza del requisito reddituale, accompagnata dall'attestazione dell'autorità consolare competente dalla quale risultasse che, «per quanto, a conoscenza» della stessa, l'autocertificazione non era mendace.

In particolare, rilevava la Corte, il fatto che l'attestazione di non mendacio rimanesse nei limiti di quanto potesse essere a conoscenza dell'autorità consolare, da una parte consentiva in realtà che nessuna verifica venisse effettuata, e d'altra parte privava di ogni elemento di valutazione il giudice chiamato a provvedere sulla base dell'autocertificazione.

Da ciò la Corte traeva l'irragionevolezza intrinseca della disciplina dell'onere documentale in capo allo straniero, rilevando che il legislatore, se da una parte, nella sua discrezionalità, può individuare in termini analoghi per il cittadino e per lo straniero la situazione reddituale che definisce la condizione di non abbienza come presupposto per la spettanza del beneficio, non può però rinnciare solo per lo straniero a prevedere una qualche verifica e controllo che non siano legati unicamente all'eventualità, meramente ipotetica e casuale, che all'autorità consolare già risultino elementi di conoscenza utili a valutare l'autocertificazione.

L'articolo 5, comma 3, citato, veniva quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'articolo 3 della Costituzione e la reductio ad legitimitatem veniva ottenuta eliminando alla disposizione censurata l'inciso «per quanto a conoscenza della predetta autorità».

La Corte, inoltre, descriveva precisamente il funzionamento del meccanismo che nasceva per effetto della sua sentenza, ponendo una disciplina rilevante ancora oggi.

Affermava dunque la Corte delle leggi che, per effetto di tale pronunzia, l'autorità consolare, se voleva rendere un'attestazione utile in favore dell'interessato, non poteva più limitarsi a confrontare l'autocertificazione con i dati conoscitivi dei qualieventualmente disponesse, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) aveva (non certo l'obbligo, ma) l'onere (implicito nella riferibilità ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell'autocertificazione, indicando gli accertamenti eseguiti.

Osservava inoltre la stessa Corte costituzionale che veniva meno, con la sua pronuncia, il sostanziale vincolo che (dalla sufficienza della conformità dell'autocertificazione a quanto fosse eventualmente a conoscenza dell'autorità consolare) derivava per il giudice nazionale (fino ad allora, infatti, l'attestazione di tale mera conformità comportava una sorta di qualificazione legale di genuinità dell'autocertificazione).

In conseguenza di quella pronuncia, invece (riconoscevano i giudici della Consulta), dovendo l'autocertificazione essere in sé non mendace (piuttosto che meramente conforme a quanto eventualmente a conoscenza dell'autorità consolare) il giudice diveniva libero di valutare l'idoneità degli accertamenti eseguiti e la congruità delle risultanze degli stessi rispetto a quanto emergente dall'autocertificazione, al fine di riconoscere o disconoscere il diritto dell'interessato al patrocinio a spese dello Stato.

@2. Peculiarità nel trattamento dello straniero

- Posto che quella descritta al paragrafo precedente era la situazione anteriore alle intervenute modifiche contenute già nella L. n 134 del 2001, si tratta ora di vedere se il legislatore abbia correttamente seguito la strada segnata dalla Corte costituzionale.

Venendo allora ad esaminare la disciplina riservata allo straniero, è agevole osservare che, per quanto riguarda il punto dell'attestazione richiesta all'autorità consolare, il legislatore si è adeguato alla sentenza della Corte costituzionale, posto che l'autorità consolare avrà l'onere di attestare la veridicità di quanto affermato nell'istanza di ammissione al beneficio presentata dallo straniero (art. 79 comma 2 T.U.).

Ricordiamo in proposito che, se il cittadino extra comunitario è detenuto, internato per l'esecuzione di una misura di sicurezza, in stato di arresto o di detenzione domiciliare, ovvero è custodito in un luogo di cura, la certificazione dell'autorità consolare può anche essere prodotta, entro venti giorni dalla data di presentazione dell'istanza, dal difensore o da un componente della famiglia dell'interessato (art. 94 comma 3 T.U.).

A tale riguardo, la Cassazione 2 ha ritenuto che la mancata produzione entro venti giorni dalla data di presentazione dell'istanza della certificazione dell'autorità consolare comporta la revoca del provvedimento (v. infatti art. 112 comma 1 lett. C del T.U.).

Si noti che l'art. 94 comma 3 del T.U. si potrà combinare con l'art. 109 T.U. (applicabile a prescindere dalla cittadinanza), ossia con la possibilità dell'interessato di fare riserva di presentare l'istanza, avendo così a disposizione venti giorni ulteriori per presentare l'istanza medesima, comunque ottenendo che gli effetti benefici della richiesta decorrano dal primo atto in cui interviene il difensore.

Grazie a questo meccanismo l'extracomunitario in stato di restrizione ai sensi del comma 3 dell'art. 94 T.U., potrà avere a disposizione complessivamente quaranta giorni (20 + 20) per ottenere la certificazione dell'autorità consolare, ottenendo comunque che gli effetti dell'ammissionePage 683 retroagiscano al primo atto cui interviene il difensore.

Quanto alla sanzione per...

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