La richiesta di proroga delle indagini preliminari tra clausole di stile e giusto processo: più vicini ad una "attenta" lettura della notitia criminis

AutoreAurelio Panetta
Pagine731-736

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Intervenendo con attenzione a seguito di una consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il G.I.P. del Tribunale di Locri torna ad affrontare il tema riguardante la proroga delle indagini preliminari a seguito della richiesta effettuata dal pubblico ministero ex art. 406, comma 1, c.p.p. E a otto anni dalla nascita dei nuovi principi garantistici del "giusto processo"1, offre un quadro "rinnovato" dettato dalla consapevolezza della portata dirompente e dei problemi esegetici suscitati dal disposto di cui all' art. 111 della Carta costituzionale e 406, comma 1, c.p.p.2. Si tratta di una questione di particolare importanza che interessa la giusta interpretazione delle norme processuali che regolano la materia del tempus e del locus commissi delicti3 ed i profili ordinamentali che attengono alle prerogative del pubblico ministero in rapporto alla condizione dell'indagato ed al diritto della difesa in un "giusto processo" svolto in tempi ragionevoli4. Il codice Vassalli5, diversamente da quello Rocco6 al fine di scongiurare una dilatazione delle attività investigative ha previsto dei limiti cronologici entro i quali le stesse devono essere compiute7. Tali tempi vengono regolati dalla costellazione degli artt. 335-405, comma 2, 406 e 407 c.p.p.8. Agli ordinari termini di sei mesi - ovvero di un anno se si procede per taluno dei reati associativi e di criminalità organizzata previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p. se ne possono aggiungere altri diciotto o ventiquattro mesi - ovvero i due anni in un'articolata serie di ipotesi previsti dal suddetto articolo del codice di procedura penale a seconda della gravità e delle difficoltà delle indagini9. In particolare, il ricorso a tale sbarramento temporale va ricondotto alla duplice esigenza di imprimere tempestività alle investigazioni e di preservare la persona sottoposta alle indagini dai pregiudizi connessi ad una durata indeterminata delle stesse10. Nel tentativo di contemperare le contrastanti esigenze, e di non consentire un'investigazione sine die da un lato e dall'altro, di permettere al pubblico ministero di ricercare ed acquisire elementi utili per la sua determinazione in ordine all'esercizio dell'azione penale, il nuovo legislatore ha introdotto l'istituto della proroga dei termini di durata delle indagini preliminari11. L'art. 405, comma 2, c.p.p. permette così al pubblico ministero di richiedere al giudice, per «giusta causa» la proroga del terminePage 732 previsto dall'art. 40512. Tale richiesta deve contenere l'indicazione della notitia criminis13 e l'esposizione dei motivi che la giustificano. Si tratta di un sistema a scansione temporale e a più fasi dove il controllo dell'attività giurisdizionale è affidato al giudice delle indagini preliminari14. Ed è proprio al giudice delle indagini preliminari che il pubblico ministero [eccezionalmente lo può fare anche l'indagato ex art. 393, comma 4, c.p.p.15] può, prima della scadenza, chiedere alla stregua dell'art. 406, comma 1, c.p.p. la proroga delle indagini preliminari, correlando la richiesta con l'esposizione dei motivi. Una volta inoltrata la richiesta, da notificare pure all'indagato e al difensore se è stato nominato, si mette in moto il singolare processo camerale regolato dalle disposizioni di cui all'art. 127 c.p.p. In questa fase la difesa ha la possibilità di "dialogare" presentando entro i cinque giorni dalla data di detta notifica memorie scritte.

Davanti alla presentazione delle memorie il G.I.P. può de plano convalidare la richiesta oppure, allo stato degli atti, non convalidarla fissando l'udienza camerale nella quale si svolgerà il contraddittorio tra le parti a conclusione della quale si potrà avere un provvedimento di rigetto o di accoglimento della richiesta avanzata dal pubblico ministero. Se quindi il giudice ritiene di accogliere l'istanza, provvede con ordinanza emessa in camera di consiglio, autorizzando il pubblico ministero a proseguire le indagini per un periodo non superiore a sei mesi; se invece ritiene che non sia possibile concedere una proroga, il pubblico ministero considerato il provvedimento di rigetto del giudice non potrà svolgere altre indagini, pena l'inutilizzabilità degli atti successivi16 e dovrà, entro dieci giorni, adottare i suoi provvedimenti di merito: richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio17 avendo le risultanze preliminari nel primo caso fatto emergere che, ad esempio, la notizia di reato era infondata e nell'altro, fatto ritenere possibile l'esercizio dell'azione penale. Al riguardo, va comunque evidenziato che presupposto della richiesta di proroga seguendo un tradizionale orientamento della Suprema Corte di Cassazione18, è che l'indicazione della notizia di reato prevista dall'attuale art. 406, comma 1, c.p.p. si ritiene assolta col richiamo alle fattispecie penali per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano indispensabili altre indicazioni spaziali e temporali del fatto, previste, invece, per l'informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p.19. Ed invero è da ritenere che simili rilievi di interpretazione dell'art. 406 comma 1 non possono che portare ad una dialettica cartolare del tutto fittizia, tenuto conto dei tempi a disposizione per presentare memorie e comprendere le ragioni del procedimento penale in atto: l'udienza camerale si svuota del suo contenuto essenziale. Nel ricondurre l'operatività dell'art. 406, comma 1, c.p.p. - alle condizioni di tempo e di luogo della notitia criminis il G.I.P. di Locri20 si è posto in un solco interpretativo nettamente contrario all'orientamento della Suprema Corte di cassazione appena richiamato, ed accoglie pienamente la interpretazione della Corte costituzionale21, la quale alla esigenza di ottenere la proroga delle indagini aveva ricondotto la comunicazione della notitia criminis a cura del pubblico ministero nelle ascritte condizioni di tempo e di luogo del fatto. L'art. 406, comma 1, c.p.p., viene qui inteso nel senso che la notitia criminis deve includere, oltre alle ipotesi di reato ascritte, le condizioni di tempo e luogo del fatto; così interpretata, la norma non viola gli artt. 3 e 24 Costituzione.

Suona come un campanello d'allarme l'ordinanza di rigetto22 del G.I.P. di Locri quasi a richiamare ad una corretta interpretazione dell'art. 406 comma 1, dottrina23 e giurisprudenza24 apparse tra loro divise.

Le argomentazioni del G.I.P., laddove ritiene che «ove la richiesta di proroga non contenga i requisiti formali "minimi" di tempo e luogo del fatto25 la stessa non sia assolutamente idonea ad integrare quel contraddittorio in forma cartolare che l'ordinamento processuale vigente prevede in occasione della richiesta di proroga del termine per il compimento delle indagini», non possono, per il pregio di essere comprensibili e "interamente" coerenti, che essere pienamente condivise. Ed è proprio «l'assenza di quei "riferimenti" di carattere loco-temporale ai fatti oggetto della richiesta con la conseguente impossibilità per i soggetti indagati di comprendere l'oggetto del procedimento medesimo» a condurre il G.I.P. di Locri a tale conclusione ed a sollevare nuovamente il problema della individuazione dei possibili contenuti della proroga a fronte di una certa prassi giudiziaria che accoglie richieste generiche, non precedute dalla informazione di garanzia, quasi sempre carenti dell'invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia e motivate, come nella specie con la sussistenza della giusta causa26. Prassi del genere, possono risultare fuorvianti. Occorre allora consolidare ed applicare le regole dettate dalla Corte costituzionale, per una corretta richiesta della proroga. A ben vedere, infatti ricevuta la comunicazione di richiesta di proroga si apre un contraddittorio cartolare sulla cui effettiva applicazione sorge tuttavia qualche dubbio. Con poche notizie, si fa poco contraddittorio. Non essendo prevista una discovery degli atti di indagine è infatti assai difficile che l'indagato e il suo difensore27 conoscano lo stato e la natura delle investigazioni e quindi, siano in grado di esercitare la propria dialettica in ordine all'opportunità di concedere una proroga delle indagini. In questa fase la veste di garante da parte del G.I.P.28, ossia il compito di verificare ed assicurare un accettabile equilibrio tra i due poteri - accusa e difesa - in conflitto è di particolare importanza, soprattutto nei casi in cui l'indagato non conosce quegli elementi essenziali previsti per l'informazione di garanzia29 perché mai notificata. Il contraddittorio - anche quello orale -30 diventa qui necessariamente più formale che sostanziale poiché risulta difficile che la facoltà concessa all'indagato di presentare nel termine di soli cinque giorni dalla notifica dell'avviso di proroga, memorie finalizzate al potere di ricercare elementi che abbiano l'attitudine ad incidere in senso favorevole sulla qualificazione del fatto-reato31, e conseguentemente a esternare il proprio parere nei confronti del pubblico ministero, possa tradursi in termini concreti. Tale diritto, per la compressione temporale a cui è sottoposto, rischia di rimanere in parte non esercitato o di non rispettare quelle forme garantiste di cui il codice Vassalli32 dovrebbe essere custode, manifestandosi così più come ostacolo all'accertamento dei fatti che come tutela di concrete garanzie difensive. Uno strano contraddittorio!

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In questo caso il G.I.P. di Locri si è fatto non solo garante della giusta interpretazione processualistica ma anche di quei principi costituzionali del giusto processo contenuti nell'art. 111 della Carta costituzionale33, permettendo all'indagato nel più breve tempo possibile di essere informato della natura e dei motivi dell'accusa34 elevata a suo carico soprattutto in un procedimento come nella specie dove all'indagato non era stata notificata neppure l'informazione di garanzia e nel quale la richiesta di proroga conteneva la sola...

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