Stesso fatto-fatto diverso e prescrizione del reato

AutoreGiuseppe Luigi Fanuli
Pagine390-392

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  1. - Nel caso esaminato dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, sin dall'inizio del procedimento si era andata prospettando una duplice possibile ricostruzione alternativa dei fatti: una, fondata sulle dichiarazioni del denunziante, consacrata nelle originarie imputazioni, di rapina aggravata con sequestro di persona ai danni dello stesso denunziante; l'altra, corrispondente alla versione fornita sin dall'inizio, in sede di interrogatorio, dagli imputati, secondo cui gli stessi si erano accordati con il denunziante medesimo per appropriarsi della merce che questi trasportava per conto del datore di lavoro, simulando una rapina.

    Già in sede di udienza preliminare, il pubblico ministero aveva contestato agli imputati i reati di appropriazione indebita e simulazione di reato, ma il Gup aveva disposto il rinvio a giudizio solo per le originarie imputazioni; poi, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, gli stessi imputati avevano espressamente chiesto di «patteggiare» previa derubricazione delle imputazioni in quelle di simulazione di reato e appropriazione indebita. A tal fine, il P.M. di udienza aveva modificato le originarie imputazioni, in quelle, meno gravi, di cui agli artt. 367 e 646, 61 n. 11 c.p.

    Il «patteggiamento», a seguito di numerosi inutili rinvii del dibattimento, non si era più perfezionato e, infine, il Tribunale di Macerata aveva dichiarato la prescrizione dei reati come sopra «modificati», ritenendo che gli stessi integrassero «fatti nuovi» rispetto a quello contestati agli imputati, con la richiesta di rinvio a giudizio, e non lo «stesso fatto», pur se diversamente qualificato.

    Per cui, non essendo intervenuto, prima della scadenza del termine quinquennale, alcuno degli atti interruttivi di cui all'art. 160 c.p., gli stessi dovevano ritenersi prescritti.

  2. - La Corte, con la sentenza in commento, ha censurato tali conclusioni, sostenendo che il fatto ritenuto in sentenza rimane identico, anche se è di contenuto ed intensità minore rispetto a quello contestato. Nella specie, nella prima figura criminosa (rapina) dovevano ritenersi logicamente comprese sia le circostanze del conseguimento del possesso di una cosa da parte dell'agente che quella della successiva appropriazione e, quindi, si versava in ipotesi di identità del fatto.

    Con ciò smentendo anche l'assunto del tribunale, che aveva evidenziato gli elementi «reciprocamente specializzanti» delle rispettive fattispecie, quasi che si trattasse di alternativa tra concorso formale di reati e conflitto apparente di norme penali.

    Le conclusioni della sentenza in commento appaiono condivisibili, anche se non sembra essere stata adeguatamente approfondita la problematica stesso fatto-fatto diverso con specifico riferimento all'istituto della prescrizione.

    In particolare, la decisione che si annota risolve il problema dell'efficacia degli atti interruttivi della prescrizione, ponendosi nell'ottica - limitativa - delle approfondite analisi giurisprudenziali inerenti alla (ben diversa) problematica della correlazione tra l'accusa contestata e la sentenza (art. 477 c.p.p. del 1930 e art. 521 c.p.p. vigente), che si ritiene opportuno, sinteticamente...

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