Sentenza Nº 38696 della Corte Suprema di Cassazione, 19-09-2019

Presiding JudgeBRUNO PAOLO ANTONIO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:38696PEN
Judgement Number38696
Date19 Settembre 2019
CourtQuinta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DEL BUONO PIERANGELO nato a CARRU' il 24/06/1960
avverso la sentenza del 23/01/2018 della CORTE APPELLQ di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FERDINANDO LIGNOLA
che ha concluso chiedendo
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.
1.2_cor—G-e-g—ee-il
ACCESSORIA E RIGETTO NEL RESTO
udito il difensore
LA DIFESA DI PARTE CIVILE CHIEDE LA CONFERMA DELLA SENTENZA IMPUGNATA E
IL RIGETTO DEL RICORSO, DEPOSITA CONCLUSIONI
L'AVV.TO COPPI CHIEDE L'ANNULLAMENTO SENZA RINVIO PER PRESCRIZIONE PER IL
REATO DI CUI AL CAPO SUB A, L'ANNULLAMENTO CON RINVIO PER LA
RIDETERMINAZIONE DELLA PENA E L'ACCOGLIMENTO DEL RICORSO
L'AVV.TO AUDISIO CHIEDE LA RIFORMA DELLA SENTENZA IMPUGNATA E
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38696 Anno 2019
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SESSA RENATA
Data Udienza: 03/05/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
L'ACCOGLIMENTO DEL RICORSO
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino, in parziale
riforma della pronuncia del Tribunale di Cuneo di condanna di Del Buono
Pierangelo, ha assolto il predetto dalle condotte di bancarotta fraudolenta
patrimoniale di cui al capo A) punti a2, a3, a4 per non aver commesso il fatto,
ed, esclusa l'aggravante di pluralità dei fatti contestata al capo A, ha
rideterminato la pena per i residui reati di cui al punto al del capo A e al capo B)
in anni sette e mesi tre di reclusione, nonché rigettato la richiesta di risarcimento
del danno avanzata dalla parte civile Julius Baer Bank SA, e confermato nel resto
la medesima pronuncia.
Segnatamente l'accusa nei confronti del Del Buono, recepita anche dalla
Corte territoriale, si incentra sulle seguenti circostanze:
A)Streri Lorenzo, amministratore unico di un gruppo di società da lui stesso
controllate ( Streri s.p.a., Euroleasing Group s.p.a., Direct Leasing s.p.a., Primea
s.r.l. poi Caluwa Italia S.p.A., Streri Leasing s.p.a. ), in concorso con del Buono,
il primo, Streri, utilizzando materialmente conti personali e societari nella
disponibilità del Del Buono Pierangelo, cagionava dolorosamente, e Del Buono
Pierangelo, intervenendo in ausilio materiale, contribuiva a cagionare
dolosamente, il fallimento delle società mediante le seguenti condotte:
al) in doloso pregiudizio dei creditori distraevano congiuntamente quattro
milioni e quattrocentomila dollari ( USD) dalle società di cui era amministratore
Streri, fatti uscire formalmente e contabilizzati nella forma di finanziamento
infragruppo, - benchè risultasse beneficiaria la società Caluwa Ltd Malindi il
danaro confluiva su conto aperto presso banca di Lugano in favore della Caluwa
Ltd BVI - società in realtà estranea al gruppo - da dove venivano spediti in
Hong Kong e poi in giro per il mondo con numerosi bonifici bancari tanto Italia-
estero che estero su estero mediante il coinvolgimento dei conti aperti a nome
delle società riconducibili a Del Buono in varie parti del mondo, previa
introduzione dello Streri da parte del Del Buono nei rapporti sia con la Hidea
Fiduciaria S.A. che col Banco di Lugano in Lugano e, successivamente, mediante
la messa a diretta disposizione per le operazioni distrattive da parte del Del
Buono delle società da lui amministrate in varie parti del mondo.
( Società del gruppo Streri dichiarate fallite il 11 dicembre 2001 );
B), nonché compivano condotte di bancarotta distrattiva e documentale
aggravata perché agendo d'accordo tra loro, Streri come amministratore della
Caluwa Ltd Malindi ed il Del Buono quale coadiutore, in totale pregiudizio dei
creditori occultavano bilanci e contabilità della società amministrata in Italia e,
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liquidata la struttura aziendale esistente in Kenya mediante la sua cessione agli
amministratori della Kubadisusha Ltd, Bulgari Franco e Ferrari Giacomo, si
impossessavano del corrispettivo pari a 2.200.000.000 ( due miliardi e duecento
milioni ) di lire, una parte dei quali per lire 700 milioni di lire venivano trattenuti
direttamente in contanti dallo Streri Lorenzo, per almeno 500 milioni di lire dati
al Del Buono, mentre i restanti 1.500 milioni di lire venivano "erroneamente"
bonificati dagli acquirenti sul conto corrente intestato alla Caluwa S.c. di
Montecarlo - nonostante la venditrice fosse la Caluwa Malindi - , società di cui
amministratore era Streri e direttore Del Buono, e quivi rigirati sul conto
corrente cifrato Angeli nella disponibilità dello Streri da dove venivano in parte
prelevati in contanti e per lire 673.513,75 bonificati al Del Buono Pierangelo che
li metteva a disposizione dello Streri attraverso altre società, con la distruzione o
occultamento mediante trasporto all'estero ( Montecarlo ) della contabilità della
Caluwa Ltd al fine di ostacolare la ricostruzione della situazione patrimoniale
delle operazioni poste in essere in pregiudizio dei creditori, cagionando con dolo
al fallimento della società Caluwa Ltd Malindi, dichiarato il 21 febbraio 2002.
2. Avverso l'anzidetta sentenza, nella parte confermativa della condanna del
Del Buono in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo
al, aggravata sotto il profilo del danno patrimoniale di rilevante gravità, e di
bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale di cui al capo B,
pluriaggravata ai sensi dell'art. 219 co. 1 e 2 n. 1 L. fall., hanno proposto ricorso
per Cassazione, nell'interesse del predetto imputato, i difensori di fiducia, avv.ti
Franco Coppi e Ezio Audisio, articolando undici motivi, qui enunciati nei limiti
imposti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Col primo motivo eccepiscono la nullità della sentenza per inosservanza
di norme processuali, segnatamente quelle concernenti l'esercizio dell'azione
penale, di cui agli artt. 50, 178 lett. b, 179 e 185 codice di rito, 112 Cost.
Deducono che il Pubblico Ministero, pur avendo già presentato la richiesta di
archiviazione, prima ancora che il giudice si pronunciasse su di essa, ha, previa
revoca della stessa, avanzato richiesta di rinvio a giudizio, e che tale sua
iniziativa si risolva in atto non solo illegittimo ma anche abnorme, non essendo
revocabile la richiesta di archiviazione una volta che ne sia stato investito il
giudice; rappresentano che il potere di avocazione attribuito al Procuratore
generale costituisce, infatti, ipotesi eccezionale rispetto al principio secondo il
quale il giudice ritualmente investito non può mai essere espropriato del potere
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decisorio; invocano, pertanto, la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a
giudizio e di tutti gli atti conseguenziali.
2.2. Col secondo motivo deducono la nullità della sentenza per inosservanza
di norme processuali, segnatamente quelle di cui agli artt. 109, 143, 143 bis,
242 415 bis e 178 lett. e e 185 codice di rito.
Lamentano, in buona sostanza, l'omessa traduzione in italiano di numerosi
documenti in lingua straniera, acquisisti con rogatoria nella fase delle indagini
preliminari e confluiti nel fascicolo del Pm, che avrebbe dato origine,
innanzitutto, alla nullità dell'avviso di conclusione delle indagini, eccepita già
all'udienza preliminare, per violazione dell'art. 178 lett. c cod. proc. pen.,
essendo stato in tal modo compromesso il diritto di difesa dell'imputato non
messo in condizione di avere una piena e dettagliata conoscenza dell'accusa e
delle fonti di prova.
Contestano la motivazione posta a sostegno del rigetto dalla Corte che ha
escluso le violazioni dedotte, osservando:
che i documenti in questione consistono esclusivamente in tabulati telefonici
e documentazione bancaria contenenti dati che non necessitano di traduzione ai
fini della loro comprensione;
che la censura era stata mossa in maniera del tutto generica senza
indicazione dei documenti stranieri di cui si lamentava la omessa traduzione;
che, come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 143 e 142 codice
di rito, l'obbligo di traduzione è sancito unicamente per gli atti del procedimento
non anche per i documenti.
Rappresentano che, invece, di là delle espresse previsioni normative,
occorre che i documenti già formati ed acquisiti agli atti siano comunque
comprensibili e che tali non possono ritenersi quelli redatti in lingua straniera,
prevedendo peraltro l'art. 143 bis codice di rito la nomina di un interprete da
parte dell'autorità procedente ogniqualvolta sia necessario tradurre uno scritto in
lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile, di talchè non può
neppure ritenersi circoscritto alla competenza del giudice, e quindi alla fase del
giudizio, tale obbligo di traduzione come vorrebbe la Corte territoriale che ha
interpretato letteralmente il disposto di cui all'art. 242 cod. proc. pen. che fa
riferimento esclusivo al giudice.
2.3. Col terzo motivo eccepiscono la nullità della sentenza per inosservanza
delle norme processuali di cui agli artt. 178 lett. e, 185, 74, 185, codice di rito, e
240 L. fall., reiterando la censura afferente la intervenuta ammissione della
costituzione di parte civile della Banca Julius Baer ( già Banco di Lugano ),
deducendo la carenza di legittimazione della stessa e quindi la sua irrituale
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partecipazione al processo, a nulla potendo rilevare il fatto che la Corte abbia,
infine, rigettato la sua richiesta di risarcimento del danno, perché intanto la
predetta ha comunque esplicato attività processuali che si sono ripercosse sulla
posizione del ricorrente.
In particolare, ribadiscono, a sostegno della eccezione afferente il difetto di
legittimazione, che questa, in ambito di reati fallimentari, spetterebbe
unicamente ai creditori e al curatore e non anche all'istituto di credito suindicato
qualificato come " danneggiato " dalla stessa Corte territoriale ( sotto il profilo di
un danno all'immagine quale banca attraverso la quale sono state trasferite
ingenti somme di danaro su di un conto intestato alla Caluwa Ltd BVI e non
riferibile alla LTD Malindi, beneficiario indicato nella disposizione ) .
Concludono che in ogni caso si sarebbe dovuto revocare la condanna al
pagamento delle spese processuali disposta in favore di tale parte civile dal
giudice di primo grado.
2.4. Col quarto motivo deducono la nullità della sentenza per erronea
applicazione degli artt. 110 cod. pen., 216 n. 1 e 2, 219, 223 L. Fall. in tema di
concorso esterno nei fatti di bancarotta di cui al capo Al, nonché mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione, dovute al travisamento dei dati
probatori in ordine al contributo causale attribuito all'imputato in relazione alla
condotta di causazione dolosa del dissesto e alla distrazione di 4,4 milioni di
dollari di cui al capo Al.
Sotto il primo profilo della violazione di legge lamentano che i giudici di
merito non avrebbero individuato né precise condotte agevolatrici riferibili al Del
Buono, né la precisa volontà dello stesso di avvantaggiare lo Streri nel suo
proposito distrattivo, con la consapevolezza di contribuire al depauperamento
della classe creditoria, in tal modo disattendendo le norme ed i principi in
materia di concorso di persone nel reato, riferibili anche all'ipotesi del concorso
dell'extraneus
nel reato proprio, come enucleati dalla giurisprudenza di questa
Corte. Pur non richiedendo la volontà di concorrere il previo accordo criminoso, è
in ogni caso necessario che l'azione del concorrente consista in un contributo
agevolativo, che persegua una finalità unitaria, accompagnato dalla
consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e dalla volontà di agire in comune,
consapevolezza che in caso di bancarotta patrimoniale deve avere ad oggetto il
depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori.
Nel caso di specie non si potrebbe affermare neppure che il Del Buono fosse
al corrente con certezza della provenienza illecita delle somme ricevute dalle
società altrui e confluite su conti di società a lui riferibili ( e ciò, secondo la
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difesa, non già senza alcuna giustificazione ma per una normale gestione
patrimoniale ).
In particolare, la Corte di Appello, pure a fronte delle critiche già mosse al
riguardo, si sarebbe limitata a riproporre acriticamente le argomentazioni del
primo giudice, senza neppure tener conto, o comunque travisandole lì dove
considerate, delle risultanze emerse nel secondo giudizio.
Indi riportano stralci delle due motivazioni afferenti i punti in esame,
ponendoli a confronto e concludono che pure a voler considerare le due
motivazioni congiuntamente e vicendevolmente integrate permane il vizio
dell'erroneità applicativa per quanto sopra dedotto.
Sotto il corrispondente profilo del vizio argomentativo deducono soprattutto
il travisamento probatorio in cui sarebbero incorsi entrambi i giudici di merito
nell'affermare che:
a)
il Del Buono non ha mai fatto sentire la sua voce ed ha affidato la sua
versione difensiva a due memorie tecniche contraddittorie;
- e ciò in palese contrasto col diritto di difendersi, il cui esercizio non è
giammai sindacabile e soprattutto non può essere fonte di deduzioni
in malam
partem ;
evidenziando che peraltro i due documenti non sono omogenei perché
elaborati da soggetti diversi e in tempi diversi; la difformità di contenuto tra la
memoria difensiva e la consulenza tecnica non potrebbe, comunque, giammai
assumere un significato 'accusatorio' per l'imputato;
b)
la scrittura privata del 17.1.2000 e la testimonianza dell'avv. Carlo
Fubiani sono false;
trascurando di considerare che il procedimento penale svizzero avviato nei
confronti del Fubiani per i reati di falsità in documenti e di falsa testimonianza
inizialmente ravvisati dall'autorità svizzera in relazione ai medesimi fatti, dopo
accurate indagini è stato archiviato ( nel linguaggio tecnico del diritto svizzero
'abbandonato' ) .
Indi passano in rassegna gli elementi su cui i giudici hanno fondato tale
convincimento di falsità ( quali ad es. i passaggi autostradali o la cella
agganciata dall'utenza del Del Bono o i canali bancari e finanziari adoperati per il
trasferimento distrattivo della somma di 4,4 milioni di dollari ) evidenziando di
volta in volta gli elementi di segno contrario che sarebbero stati trascurati ( così
ad es. in relazione ai passaggi autostradali, la circostanza secondo cui Streri
aveva tolto il telepass per evitare che fossero tracciati i suoi spostamenti; in
relazione ai detti trasferimenti, il contenuto della deposizione di Corradelli
Marilena, direttrice della fiduciaria Hidea Sa di Lugano, che escludeva di avere
mai visto insieme Streri e Del Buono e di aver operato sempre solo su
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indicazione del primo, e di Rossini Paola, funzionaria del Banco di Lugano che
nulla riferisce in ordine alle generalità dell'accompagnatore di Streri; delle quali
allega i rispettivi stralci ).
Lamentano, infine, che i giudici di merito nulla abbiano motivato in ordine al
concorso nella causazione dolosa del dissesto, pure risultante dalla contestazione
in cui figura il riferimento in diritto e in fatto a tale fattispecie criminosa, sia pure
concludendo - lo stesso ricorrente - che in realtà tale ipotesi è da ritenersi
esclusa, avendo la Corte, una volta pronunciata l'assoluzione per gli altri fatti
distrattivi contestati al capo A, eliminato l'aggravante della pluralità dei fatti di
bancarotta così implicitamente confermando la omessa pronuncia al riguardo.
2.5. Col quinto motivo deducono erronea applicazione delle norme
suindicate anche sotto il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto, da
ritenersi, ove non si dovesse accogliere il motivo principale dell'insussistenza
dello stesso, sussumibile nella fattispecie cui all'art. 232 L. fai!. o di riciclaggio di
cui all'art. 648 bis cod. pen., e non nell'ipotesi di concorso nel reato di
bancarotta fraudolenta di cui al capo A 1.
Argomentano al riguardo che una volta esclusa la sussistenza dell'elemento
soggettivo in considerazione di tutto quanto già esposto, al più sarebbe
configurabile una delle due ipotesi di reato indicate, per le quali in ogni caso
sarebbe maturato il termine prescrizionale, tenuto conto dei rispettivi tempi di
consumazione.
2.6. Col sesto motivo deducono inosservanza ed erronea applicazione degli
artt. 157, 158, 160, 110 cod. pen., 216 nn. 1 e 2, 219, 223 L. fall.,
rappresentando che il reato di cui al capo A era al momento dell'appello già
estinto per intervenuta maturazione del termine di prescrizione, da indentificarsi
in anni dodici e mesi sei - oltre giorni 47 di sospensione - , non potendosi
considerare la fattispecie aggravata dal danno di rilevante gravità, non
espressamente oggetto di contestazione ed erroneamente ritenuto contestato in
fatto (laddove il riferimento è esclusivamente alla pluralità dei fatti di
bancarotta).
Ritengono che a conforto di tale impostazione vi sia il percorso
determinativo della pena del primo giudice che avrebbe individuato il reato più
grave in quello di cui al capo B proprio perché al capo A non è in realtà
contestata tale aggravante.
Lamentano che in ogni caso non si possa ritenere nuovo il motivo afferente
l'esclusione di tale aggravante, come sostenuto dalla Corte territoriale, perché
enunciato dall'appellante in sede di discussione e non fatto oggetto di specifica
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doglianza nell'atto di appello, trattandosi di censura tendente ad evidenziare
unicamente ciò che non poteva ritenersi contestato.
2.7. Col settimo motivo deducono, in punto di quantificazione della pena, la
nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione degli artt. 81, 132,
133, 110, cod. pen., 216 n. 1 e 2, 219, 223 L. fall., per essere stata ravvisata la
continuazione tra il reato di cui al capo Al con quello di cui al capo B, nonché
violazione delle norme processuali concernenti il divieto di applicazione di pena in
assenza di condanna.
Lamentano che nonostante l'assoluzione in relazione alle condotte di cui ai
punti A2, A3, A4, e l'esclusione dell'aggravante di più fatti di bancarotta
contestata al capo A, la Corte, nel rideterminare la pena in conseguenza di tale
assoluzione, abbia ritenuto la continuazione ed operato aumenti di mesi tre - in
luogo degli originari mesi quattro - per ciascun dei cinque fallimenti di cui al
medesimo capo A.
2.8. Coll'ottavo motivo deducono la nullità della sentenza per erronea
applicazione degli artt. 110 codice panel , 216 n. 1 e 2, 219 commi 1 e 2, 223 L.
Fall. in tema di concorso esterno nei fatti di bancarotta distrattiva e documentale
di cui al capo B, nonché mancanza, contraddittorietà e illogicità della
motivazione, dovute al travisamento dei dati probatori in ordine al contributo
causale attribuito all'imputato in relazione alla condotta di causazione dolosa del
dissesto, alla distrazione di due miliardi e duecento milioni di lire e alla
distruzione o occultamento della contabilità della Caluwa LTD Malindi di cui al
capo B.
Lamentano, innanzitutto, che la Corte avrebbe tratto delle conclusioni errate
sulla base di una parziale ricostruzione dei fatti ( assumendo, cioè, da un lato,
che gran parte del prezzo di vendita del villaggio Karibuni invece di essere
incassato dalla Caluwa Malindi LTD, a cui avrebbe dovuto essere corrisposto,
trattandosi di cespite di proprietà di tale società, era pervenuto nelle mani del
Del Buono in assenza di alcuna ragione societaria a giustificazione del
trasferimento, e, dall'altro, sul versante del concorso nella sparizione della
contabilità, che esso potesse configurarsi perché la documentazione era stata
trasferita dapprima in un alloggio sito in Cuneo acquistato dalla Streri spa e
parzialmente offerto in comodato al del Buono e poi presso la sede della Caluwa
SC a Monaco, ove poi sarebbe stata fatta sparire, sede di cui era esclusivo
utilizzatore il Del Buono, designato gestore di tale società ).
In tal modo la Corte non solo ha dimostrato di non fare buon governo delle
norme e dei principi in tema di concorso di persone già sopra enunciati al punto
2.4., ma è anche incorsa nel cd. travisamento probatorio, avendo di fatto
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enfatizzato il ruolo del Del Buono, assurto nella motivazione impugnata da
semplice mediatore nella gestione della vendita del villaggio da parte del
venditore Caluwa LTD- Streri agli acquirenti Kubadilisha Ltd - Bulgari e Ferrari,
in cambio di compenso ( di cui alla quietanza di cui fa cenno la stessa sentenza
impugnata ), a concorrente consapevole ed operoso nelle attività distrattive,
laddove si era limitato, anche con riferimento alla fase dei pagamenti successiva
alla vendita, ad eseguire ciò gli era stato detto da Streri in ordine alle modalità di
esecuzione dei bonifici.
Né ha debitamente considerato che Streri aveva contratto documentati
debiti col Del Buono, personali e lavorativi - definiti una montatura dai giudici di
merito- e li ha, in realtà, onorati pagando la somma di circa 1.400.000.000 di
lire, utilizzando, autonomamente, le somme che aveva depositato sul conto CMB
di Monaco, intestato a Caluwa SC. ( come afferma la stessa sentenza nella parte
in cui dà atto che i 49.262 euro rimasti sul conto furono poi prelevati dal figlio di
Streri dopo la scomparsa del padre ) .
A conferma della bontà di tale ricostruzione vi sarebbe l'intervenuto
riconoscimento in sede di insinuazione al passivo del credito del Del Buono
ammesso nel fallimento personale di Streri per l'importo di euro 478.503,53
(oltre che l'ulteriore prestito di somma equivalente a quella ottenuta in
restituzione di cui ad assegno in garanzia di oltre 900.000.000 di lire ) .
Quanto alla bancarotta documentale il travisamento sarebbe consistito nella
omessa considerazione della storia societaria e del
modus operandi
della Caluwa
LTD, - come emergente anche dalla deposizione del socio Quaglia -, che avrebbe
sempre gestito in nero le uscite ( costi ) e le entrate ( finanziamenti ricevuti e
ricavi per vendite di unità immobiliari in Kenya ).
Evidenziano, infine, che anche in tal caso manca ogni riferimento alla
condotta di causazione dolosa del dissesto, contestata anche al capo B
dell'imputazione e del tutto trascurata dai giudici di merito.
2.9. Col nono motivo deducono erronea applicazione delle norme suindicate
anche sotto il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto, da ritenersi,
ove non si dovesse accogliere il motivo principale della sua insussistenza,
sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 232 L. fall. o di riciclaggio di cui all'art.
648 bis cod. pen., e non nell'ipotesi di concorso nel reato di bancarotta
fraudolenta distrattiva di cui al capo B.
Argomentano al riguardo che una volta esclusa la sussistenza dell'elemento
soggettivo in considerazione di tutto quanto già esposto, al più sarebbe
configurabile una delle due ipotesi di reato indicate, per le quali in ogni caso
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sarebbe maturato il termine prescrizionale, tenuto conto dei rispettivi tempi di
consumazione.
2.10. Col decimo motivo deducono erronea applicazione degli artt. 43, 110,
cod. pen., 216, 219, 223, L. Fall., 62 bis, 132, 133, cod. pen., nonché vizio
argomentativo, travisamento probatorio e del fatto, in ordine alla
commisurazione della pena.
Si dolgono del fatto che la Corte, pur avendo assolto il Del Buono dalle
diverse fattispecie di cui al capo A, punti a2, a3 e a4, ha di poco ridotto la pena,
valorizzando in maniera erronea determinati elementi, quali il silenzio serbato
dall'imputato, la particolare abilità dimostrata nell'individuare canali
internazionali, nel costituire società in paesi dalla fiscalità agevolata e nel
movimentare rilevanti masse di danaro., nonché il risalente precedente per
usurpazione di titoli, e trascurando, invece, di tener conto del ruolo marginale e
della scarsa intensità del dolo attribuibili al Buono; nonché erroneamente tenuto
conto anche del reato di causazione dolosa del dissesto per il quale difetta
in toto
motivazione.
Lamentano, per tali motivi, anche il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche.
2.11. Coll'undicesimo motivo deducono la violazione delle norme concernenti
il sequestro di numerosi beni immobili, di proprietà di terzi, disposto ai sensi
degli artt. 316 e 323 codice di rito, e relativo vizio argomentativo anche sotto il
profilo del travisamento probatorio in punto di ritenuta intestazione fittizia dei
predetti beni ai familiari del Del Buono e alla asserita inesistenza, in quel
periodo, di fondi leciti riconducibili in capo al predetto e alla sua famiglia,
trattandosi di circostanze non dimostrate o smentite da altre emergenze ( quali
gli esiti della consulenza tecnica di parte, Blangetti ).
Indi instano per l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va accolto limitatamente alla durata delle pene accessorie e alla
condanna ala pagamento delle spese processuali in favore della Banca Julius
Baer; nel resto esso deve essere rigettato perché presenta motivi in parte
infondati, in parte del tutto inammissibili avendo ad oggetto doglianze
aspecifiche, meramente ripetitive rispetto alle deduzioni d'appello, a cui, come si
dirà, la Corte aveva già dato risposte concrete ed esaurienti, o, comunque,
motivi diversi da quelli consentiti, laddove versati sostanzialmente in fatto.
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1.1.Deve rilevarsi in primo luogo che, diversamente da quanto eccepito dal
ricorrente col primo motivo, non sussiste alcuna nullità della sentenza per
inosservanza delle norme processuali indicate, segnatamente quelle concernenti
l'esercizio dell'azione penale, di cui agli artt. 50, 178 lett. b, 179 e 185 codice di
rito, 112 Cost.. Il pubblico ministero può revocare la richiesta di archiviazione, in
maniera espressa o tacita purchè univoca, fin quanto il giudice non si sia
pronunciato sulla stessa, come avvenuto nel caso di specie il cui il Pm ha
proceduto direttamente ad avanzare la richiesta di rinvio a giudizio ( cfr.
ex
multis,
Sez. 6, n. 11379 del 29/01/2018 - dep. 13/03/2018, P.O. in proc. Coccia
e altri, Rv. 272638; Sez. 2, Sentenza n. 18774 del 18/04/2007, Rv. 236405 ).
Nessun dubbio sussiste sulla revocabilità della richiesta di archiviazione da parte
del P.M., purché essa avvenga prima dell'emissione da parte del GIP del
provvedimento di archiviazione. La revoca dei provvedimenti non aventi
carattere di definitività di una fase di giudizio costituisce un principio acquisito
sia del procedimento penale che di quello civile, direttamente collegato alla
dinamica non solo istruttoria, ma anche alla revisione di un provvedimento da
ritenersi errato, e che potrebbe causare una definizione errata del procedimento
penale, il che sarebbe in palese contrasto con l'interesse collettivo della tutela
penale. A maggior ragione sono revocabili le istanze delle parti, e anche di quella
pubblica. Prevale il concetto dinamico, anziché quello burocratico, della
giurisdizione, tendente principalmente alla soluzione del procedimento penale
secondo finalità di giustizia, ben potendosi rivalutare richieste poi considerate
non percorribili. La revocabilità della richiesta di archiviazione da parte del P.M. è
stata peraltro affermata con varie decisioni del giudice di legittimità, anche in
altre situazioni che presentano alcuni caratteri di diversità, ma, comunque
assimilabili alla fattispecie ( Cass.26.9.1994 n. 4073; Cass. 8.7.1996n. 2648;
Cass. 1.2.1999n.415; Cass. 14.4.1999 n. 1694).
Né un siffatto provvedimento potrebbe essere qualificato abnorme dal
momento che esso non si pone affatto al di fuori dell'ordinamento, né, in
generale, crea alcuna situazione di stallo, in quanto il P.M. potrà procedere a
nuove indagini, e potrà anche riformulare la istanza di archiviazione, o potrà
richiedere il rinvio a giudizio, senza alcun pregiudizio per il contraddittorio e per
la partecipazione di tutte le parti alla futura decisione.
E'
stato, di contro, ritenuto abnorme il provvedimento del giudice
dell'udienza preliminare che ha provveduto sulla richiesta di archiviazione in
presenza della revoca della stessa da parte del pubblico ministero, non già il
provvedimento di revoca, pienamente legittimo ( principio affermato, nella
specie, in un caso in cui la dichiarazione di revoca era intervenuta all'udienza
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
camerale fissata ai sensi dell'art. 410 cod. proc. pen., essendovi stata
opposizione della persona offesa, Sez. 4, Sentenza n. 26872 del 13/06/2006, Rv.
234812 ).
La circostanza che sia prevista la possibilità di avocazione delle indagini
preliminari da parte del procuratore generale e di revoca da parte dello stesso
della richiesta di archiviazione, non esclude affatto la legittimità della revoca
della richiesta di archiviazione da parte dello stesso ufficio che ebbe a
presentarla. Ed invero, la revoca da parte del procuratore generale è evenienza
collegata alla diversa ipotesi in cui il giudice non accolga "de plano" la richiesta di
archiviazione fissando l'udienza camerale a norma dell'art. 409, comma 2, cod.
proc. pen. o dell'art. 410, comma 3, cod. proc. pen. ( anche in tal caso rimane
precluso al giudice di decidere, a pena di abnormità del suo provvedimento, in
ordine alla originaria richiesta di archiviazione, superata dal "contrarius actus"
del procuratore generale. (Sez. 5, n. 53442 del 07/06/2018 - dep. 28/11/2018,
MELIS GIAN BENEDETTO, Rv. 27443601). Anzi la circostanza secondo cui sia
espressamente previsto il
contrarius actus
del PG lungi dall'essere sintomatica
dell'eccezionalità della ritrattabilità della richiesta di archiviazione, è piuttosto
indicativa del fatto che la richiesta di archiviazione è per sua natura revocabile,
ritrattabile, e ciò che è eccezionale è piuttosto il potere di avocazione, di
intervento del Pg che è ancorato ad un'ipotesi specifica, con la conseguenza che
ritenere che invece non possa farlo il Pm, lo stesso autore della richiesta,
significherebbe porre un divieto distonico col sistema che mira a garantire il
progredire delle indagini e del procedimento laddove ne ricorrano i presupposti,
al punto da consentire l'intervento dall'esterno del Pg per porsi rimedio ad un
errore del Pm e consentirsi un siffatto epilogo.
1.2. Né sussiste la nullità della sentenza per inosservanza di norme
processuali, segnatamente quelle di cui agli artt. 109, 143, 143 bis, 242 415 bis
e 178 lett. c e 185 codice di rito.
Ed invero, la Corte territoriale ha già, esaustivamente, osservato al riguardo
che i documenti in questione consistono esclusivamente in tabulati telefonici e
documentazione bancaria contenenti dati che non necessitano di traduzione ai
fini della loro comprensione; che la censura era stata mossa in maniera del tutto
generica senza indicazione dei documenti stranieri di cui si lamentava la omessa
traduzione; che, come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 143 e 142
codice di rito, l'obbligo di traduzione è sancito unicamente per gli atti del
procedimento non anche per i documenti.
Ed invero, per
jus receptum,
di questa Corte anche a Sezioni Unite,
l'obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel
12
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
procedimento davanti all'autorità giudiziaria che procede, mentre per quelli già
formati, da acquisire nel processo, l'obbligatorietà della traduzione si pone solo
qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti da
provare, a condizione che la parte richiedente indichi le ragioni che rendono
plausibilmente utile la traduzione dell'atto, nonché il pregiudizio concretamente
derivante dalla mancata effettuazione della stessa. L'obbligo di usare la lingua
italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento, non agli atti già
formati da acquisire al processo, per i quali la necessità della traduzione si pone
solo qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti
da provare, essendo onere della parte interessata indicare ed illustrare le ragioni
che rendono plausibilmente utile la traduzione dell'atto nonché il pregiudizio
concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa. ( Sez. U, n.
38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv.
261111; Sez. 2, n. 18957 del 22/03/2017 - dep. 20/04/2017, 3ebali, Rv.
270067).
Anche nel caso di specie, trattasi di documenti esterni al procedimento,
peraltro consistenti in gran parte in atti contenenti dati numerici, rispetto ai quali
la difesa si è limitata ad eccepire che la loro mancata intelligibilità si era
ripercossa sul diritto di difesa sotto il profilo della mancata conoscenza delle fonti
di prova, senza specificare, cioè, il loro rilievo, non solo ai fini di un possibile
scopo difensivo ma neppure in termini di concreto utilizzo da parte dell'accusa,
lamentandosi, in buona sostanza, la loro mera allegazione all'avviso di
conclusione delle indagini. Sarebbe stato, invece, onere della difesa, una volta
che il Pm aveva doverosamente allegato tali atti ponendoli a disposizione delle
parti, andare a verificare la loro rilevanza e chiedere la traduzione di quelli di
interesse; richiesta di traduzione che peraltro deve anche indicare le ragioni che
rendono plausibilmente utile la traduzione dell'atto nonché il pregiudizio
concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa ( ragioni che
non vengono in realtà esplicitate nè in seguito, nè in sede di impugnazione ) .
1.3. Del pari insussistente è la eccepita nullità della sentenza per
inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 178 lett. c, 185, 74, 185,
codice di rito, e 240 L. fall.. Ed invero, secondo la stessa prospettazione del
ricorrente si tratta dell'istituto di credito qualificato come "danneggiato" dalla
Corte territoriale ( sotto il profilo di un danno all'immagine quale banca
attraverso la quale sono state trasferite ingenti somme di danaro su di un conto
intestato alla Caluwa Ltd BVI e non riferibile alla LTD Malindi, beneficiario
indicato nella disposizione ). Dovendo la valutazione dell'ammissione della
costituzione di parte civile avvenire alla stregua della stessa prospettazione della
13
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
parte istante ( al pari della valutazione della legittimazione in sede civile ), che in
genere si assume danneggiata sulla base delle contestazioni del PM, appare
evidente che essa rimane non contestabile ove sussista tale correlazione tra
domanda e imputazione, a nulla potendo peraltro rilevare l'eventuale rigetto
della pretesa risarcitoria che attiene ad un momento valutativo successivo che si
fonda su presupposti diversi.
Né si potrebbe ravvisare una limitazione allo
ius postulandi
in sede penale in
virtù della tipologia dei reati oggetto del presente procedimento, non sussistendo
alcuna disposizione che inibisca la possibilità di costituzione di parte civile da
parte del danneggiato allorquando si tratti di reati in materia fallimentare ( da
questa Corte è stato anzi affermato il contrario, così ad esempio con riferimento
al singolo creditore : in tema di reati fallimentari, ai sensi dell'art. 240, comma
secondo, L. fall., il singolo creditore è legittimato in proprio a costituirsi parte
civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta nella sua
qualità di persona danneggiata dal reato, quando fa valere una richiesta di
risarcimento a titolo personale, Sez. 5, n. 6904 del 04/11/2016 - dep.
14/02/2017, Gandolfi e altri, Rv. 269105 ).
Fondato è, invece, il rilievo mosso con riferimento alla mancata revoca della
condanna al pagamento delle spese processuali disposta in favore di tale parte
civile dal giudice di primo grado, perché una volta venuta meno la condanna al
risarcimento del danno, avrebbe dovuto cadere anche la condanna alle spese,
condanna alle spese che va, pertanto, qui revocata.
1.4. Il quarto motivo, che pone in discussione il concorso del Buono nella
condotta distrattiva contestata al punto Al sia sotto il profilo della violazione di
legge che del vizio argomentativo, quest'ultimo affrontato anche
sub specie
del
travisamento probatorio, è palesemente infondato.
La Corte territoriale ha già esaustivamente ricostruito la complessa vicenda
de qua,
lasciando chiaramente intendere come il ruolo del Del Buono fosse stato
fondamentale e determinate non solo ai fini della commissione delle condotte
criminose, ma anche nell'ambito del cambiamento che interessò in quel
medesimo periodo ( collocato a partire dal 1997-98 ) la vita dello Steri, che,
come notato dai suoi collaboratori, da quando il Del Buono si avvicinò a lui mutò
abitudini e prese a trascorrere molto tempo con lui chiudendosi addirittura nella
sua stanza con il predetto per parlare degli affari ed inibendo, al contempo, agli
altri di entrarvi.
In realtà, la Corte ricostruisce la stessa condotta distrattiva proprio sul
contributo del Del Buono, che con la sua disponibilità a prestarsi a rendersi
destinatario dei numerosi bonifici bancari, Italia-estero ed estero su estero,
14
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
mediante il coinvolgimento dei conti aperti in varie parti del mondo a nome di
società a sé riconducibili, consentì allo Streri di far uscire quattro milioni e
quattrocentomila dollari (USD) dalle società del gruppo Streri di cui era
amministratore e di farne perdere le tracce ( condotta a cui faceva seguito, già
nel 2001, e proprio a ridosso della scomparsa dello Streri - che dopo i fatti in
contestazione si rese irreperibile - la dichiarazione di fallimento delle società del
gruppo indicate in imputazione, le quali, svuotate di siffatte liquidità, essendo tra
loro collegate, risentivano inesorabilmente l'una delle sorti dell'altra, tant'è che
furono tutte dichiarate fallite ).
Ed invero, il denaro, contabilizzato nella forma del finanziamento
infragruppo, con indicazione come beneficiaria della società Caluwa Ltd Malindi
ovvero una società del gruppo, veniva in realtà convogliato su conto aperto
presso una banca di Lugano in favore della Caluwa Ltd BVI - società invece
estranea al gruppo - , da dove veniva spedito in Hong Kong e poi in giro per il
mondo attraverso, appunto, i conti riconducibili al Del Buono.
La totale anomalia e particolarità dell' operazione, certamente non
riconducibile,
prima facie,
ad una normale gestione dei beni societari - come
assume la difesa - costituivano non solo motivo di grande sospetto, tenuto conto
dell'entità dell' importo e della totale assenza di motivazione, - non offerta da
nessuno, né tantomeno congruamente prospettata, nemmeno in sede di
impugnazione, in cui ci si limita a definirla 'normale gestione patrimoniale' ma
senza indicarne neppure le ragioni sottostanti che ne potessero spiegare la
qualifica di normalità -, di mandare in giro per il mondo una tale ingente somma
di danaro, ma impongono di ritenere che essa non potesse essere neppure
ipotizzata senza il preordinato accordo con colui, il Del Buono, che costituiva il
presupposto essenziale per la buona riuscita della "dispersione" del danaro e la
ragion d'essere della stessa ideazione ed organizzazione di una siffatta articolata
vicenda. Tale modus operandi,
per la concatenazione di circostanze che
comportava e presupponeva, considerata la entità degli importi movimentati e la
necessità di una pluralità di conti intestati a terzi, non poteva che contenere, in
sé, insiti, la predisposizione dei mezzi e l'accordo, non essendo seriamente
ipotizzabile, in un siffatto contesto, che qualcosa potesse essere affidata al caso,
né tanto meno all'apporto estemporaneo di qualcuno. Si trattò, invero, di far
perdere le tracce ad una notevole somma di danaro dopo averla fatta fuoriuscire,
sotto il simulacro dell'apparente legittimità, dalle casse delle società del gruppo -
poi fallite a seguito di siffatto immotivato impoverimento.
In realtà, a differenza di quanto assume la difesa, l'operazione fu il frutto di
un'accurata preparazione. Vi fu dapprima l'introduzione dello Streri da parte del
15
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Del Buono nei rapporti sia con la Hidea Fiduciaria S.A. che col Banco di Lugano,
in Lugano, ove intervenne il primo passaggio del danaro, e, successivamente,
mediante la messa a diretta disposizione, per le operazioni distrattive, da parte
del Del Buono, delle società da lui amministrate in varie parti del mondo, la fase
conclusiva perfezionativa della condotta distrattiva.
Più che di contributo consapevole si trattò di un vero e proprio accordo,
quindi, a monte esistente, in virtù del quale lo Streri, e il Del Buono,
conseguivano il risultato di fare fuoriuscire dalle casse della suindicata società
la somma di 4,4 milioni di dollari di cui al capo
Al -
quanto meno di 4 milioni e
trecentomila afferma la Corte territoriale - somma che per la sua entità si
qualifica di per sé come integrativa della correlata circostanza aggravante del
danno di rilevante gravita, corrispondente, anche nei fatti, a siffatta diminuzione
patrimoniale ( che, come emergente dalle sentenze di merito, incise in maniera
rilevante sulle future sorti delle società e sulla consistenza dei rispettivi attivi
fallimentari ).
In una operazione di tal fatta è da ritenersi insita la stessa consapevolezza
di contribuire al depauperamento della classe creditoria - contestata dal
ricorrente - , consapevolezza che, peraltro, in caso di bancarotta fraudolenta
patrimoniale deve avere ad oggetto più che il depauperamento della classe
creditoria, il depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori,
rectius
con esposizione a pericolo delle ragioni creditorie; nondimeno nel caso di specie
il nesso ravvisato tra condotta dolosa e fallimento dà ampiamente conto anche
dell'elemento soggettivo che la difesa ha inteso contestare ( trattandosi,
peraltro, in ogni caso, di dolo generico ).
Né può ritenersi sussistente il dedotto vizio argomentativo, sotto il profilo
dell'assunto travisamento probatorio in cui sarebbero incorsi entrambi i giudici di
merito nell'affermare che il Del Buono non ha mai fatto sentire la sua voce ed ha
affidato la sua versione difensiva a due memorie tecniche contraddittorie,
trattandosi - all'evidenza - di mera annotazione che la Corte opera
ad
colorandum
e non di certo per fondarsi la responsabilità penale dell'imputato;
annotazione peraltro qui contestata non tanto sotto il profilo dell' insussistenza
della contraddittorietà degli atti quanto piuttosto per l'inopportunità della sua
rilevazione da parte dei giudici, assumendosi che, trattandosi di scelte difensive,
esse non sarebbero sindacabili e non avrebbero, quindi, dovuto essere sindacate
dal giudicante. In realtà, la Corte si è limitata ad annotare tale emergenza senza
trarre da essa alcun elemento specifico, avendo, in realtà, fondato la conferma
della sentenza impugnata - per tutto quanto sopra detto e per quant'altro
affermato nella medesima sentenza - su ben altri elementi; con la conseguenza
16
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
che essa non ha in tal modo inteso, in alcun modo, sindacare le concrete
modalità di esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato ( fermo restando
che rimane la difformità dei due documenti e ciò di là delle motivazioni fornite al
riguardo dalla difesa ).
potrebbe
ravvisarsi
il
lamentato
vizio
del
travisamento
probatorio/argomentativo nel fatto che la Corte non abbia valorizzato la scrittura
privata del 17.1.2000 e la testimonianza dell'avv. Carlo Fubiani, ritenendole
affette da falsità, che, invece, la difesa assume insussistente.
Ed invero, a ben vedere il ricorrente trae tale convincimento di non falsità
dall'esito del procedimento penale svizzero, avviato nei confronti del Fubiani per i
reati di falso in documenti e di falsa testimonianza, inizialmente ravvisati
dall'autorità svizzera in relazione ai medesimi fatti, che risulta archiviato ( nel
linguaggio tecnico del diritto svizzero 'abbandonato' ), ma appare evidente che
un siffatto esito non potrebbe giammai essere di per sé idoneo a porre in crisi le
valutazioni operate nell'ambito del presente procedimento, tenuto anche conto
dei limiti di quell'accertamento che si è, comunque, arrestato ad una fase
preliminare ed è stato circoscritto a quell'unico episodio ( qui inquadrato, invece,
nella complessiva vicenda, nel corredo probatorio più ampio a disposizione ).
Né potrebbero sortire miglior sorte i rilievi posti con riferimento ad alcuni
degli elementi su cui i giudici hanno fondato tale convincimento di falsità ( quali
ad es. i passaggi autostradali o la cella agganciata dall'utenza del Del Bono o i
canali bancari e finanziari adoperati per il trasferimento distrattivo della somma
di 4,4 milioni di dollari ), non apparendo - neppure - essi idonei ad escludere la
validità delle inferenze operate dai giudici sulla base di quegli indizi, come dai
medesimi valorizzati. In particolare, la stessa Corte è giunta a tale conclusione
valutando in maniera complessiva e non atomistica i plurimi elementi a
disposizione, in definitiva ritenuti non superabili attraverso le deduzioni del
ricorrente, che si muovono peraltro più sul terreno della prospettazione che della
concreta dimostrazione ( si pensi, ad esempio, alla prospettata circostanza
secondo cui Streri avrebbe tolto il telepass per evitare che fossero tracciati i suoi
spostamenti ).
La Corte ha, in maniera adeguata e del tutto logica e congrua, illustrato (cfr.
pagg. 20 e sgg. della pronuncia impugnata ) la dinamica delle operazioni
confluite sui conti riconducibili all'imputato, dando conto di tutti i passaggi ed
anche di quelli di ritorno, intervenuti sempre sui conti delle società del Del Buono
o intestati alla moglie ( cha ha peraltro escluso di essere stata a conoscenza
dell'apertura di conti a suo nome nei cd. paradisi fiscali ), con la conseguenza
che correttamente ha concluso che non è contestabile la distrazione, quanto
17
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
meno per 4 milioni e trecentomila euro, non essendo, a differenza di quanto
assume la difesa, la somma giammai rientrata nelle casse delle società dello
Streri ( la sentenza della Corte, a sua volta, rimanda a quella di primo grado, che
ha analiticamente affrontato tutti tali aspetti ).
E con riferimento alla singolare transazione posta, invece, dalla difesa a
sostegno di un assunto disinvestimento operato dallo Streri, che avrebbe
comportato il trasferimento delle somme al Del Buono a tacitazione di ogni altra
pretesa da parte di quest'ultimo, prodotta a giustificazione, questa volta, del
passaggio definitivo del danaro nelle casse del Del Buono, la Corte territoriale
non può che rilevare che essa è costituita da una fotocopia e presenta firme
scarsamente leggibili, ed è emersa a dodici anni dal fatto ( non avendone
giammai fatta menzione il Del Buono nonostante la patita custodia cautelare e la
sua presenza costante durante il lungo procedimento penale ); e soprattutto
evidenzia che diversi sono gli elementi che militano per la impossibilità della sua
stipulazione nel luogo ove, alla stregua dello stesso atto, sarebbe avvenuta
(quali i transiti registrati dal telepass in uso allo Streri, che riportano che alla
data della transazione lo stesso si trovasse in tutt'altro posto, diverso da quello
in cui si assume intervenuto l'atto transattivo - in Italia, Torino e Cuneo, e non
certo in Svizzera presso lo studio dell'avvocato Fubiani; d'altronde lo stesso
avvocato Fubiani, che si sarebbe limitato ad essere presente per pochissimo
tempo come privato e non nell'esercizio delle sue funzioni, non ricorda neppure
la data in cui sarebbe avvenuta la transazione ) ; e lo stesso dicasi per il Del
Buono per il quale parimenti sussistono elementi che escludono la sua presenza
in Svizzera il giorno della transazione. La circostanza risulta, in definitiva,
smentita da una pluralità di elementi - che vanno dai passaggi col telepass, alla
richiesta del telepass recante sempre la stessa data, a uno scontrino fiscale, alle
celle telefoniche - elementi tutti che attestano che nessuno dei due il 17.1.2000
potesse trovarsi a Lugano.
In ogni caso il contenuto piuttosto generico della transazione non appare
esaustivo rispetto alle finalità che attraverso di esso si è inteso perseguire,
trattandosi di documento che non dà specifico conto delle ragioni sottostanti che
avrebbero indotto lo Streri ad una siffatta operazione suicida, che rimane del
tutto non spiegata e soprattutto sganciata rispetto alle ragioni societarie, che per
essere efficacemente chiamate in causa a sostegno della natura non distrattiva
dell'operazione avrebbero dovuto trovare ben più compiuta esplicitazione
(trattandosi di giustificare un'operazione di rilevantissimo importo che comportò
il depauperamento delle società e di lì a poco il loro fallimento, non già una
operazione di scarso rilievo, che sarebbe stata, logicamente, più compatibile con
18
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
una siffatta, bonaria, soluzione tra le parti, peraltro intervenuta in un altro Stato,
al cospetto di un avvocato che in realtà si rende presente solo per pochissimo
tempo e senza espletare alcuna funzione attinente alla propria qualifica ). Dallo
stesso atto transattivo, come ben messo in evidenza dalla Corte territoriale a
pag. 25 della motivazione, a ben vedere, non risulta che il Del Buono vantasse
un credito nei confronti delle società, - che avrebbe potuto giustificare quella
fuoriuscita di danaro in suo favore - ma piuttosto che la richiesta di 6.300.000
,
franchi svizzeri in contanti proviene dallo Steri per sue necessità personali, come
da medesimo asserito nel corpo dell'atto.
Quanto poi alle deposizioni di Corradelli Marilena, direttrice della fiduciaria
Hidea Sa di Lugano, - che avrebbe escluso di avere mai visto insieme Streri e Del
Buono e di aver operato sempre solo su indicazione del primo -, e di Rossini
Paola, funzionaria del Banco di Lugano, che nulla avrebbe riferito in ordine alle
generalità dell'accompagnatore di Streri, si tratta a ben vedere di meri stralci
delle loro, rispettive, dichiarazioni che in quanto tali non appaiono idonei a dar
conto della valenza dirimente delle affermazioni in esse contenute, come
estrapolate e valorizzate dal ricorrente; affermazioni che peraltro già alla stregua
di quanto riportato dallo stesso ricorrente non appaiono escludenti il rapporto
sottostante tra i due, né che l'accompagnatore possa essere stato, in qualche
occasione, il Del Buono; tenuto anche conto che il fatto che il funzionario
bancario abbia affermato di aver operato sempre e solo su indicazione dello
Streri corrisponde alla sostanza delle cose perché il solo ad avere veste formale
era Streri e non certo Del Buono, che ben potrebbe, comunque, avere perorato
la causa del primo anche in sua assenza, come ricostruito ed affermato dai
giudici di merito.
In definitiva del tutto inconferente risulta il richiamo del ricorrente ad un
preteso travisamento dei risultati della prova da parte della Corte territoriale,
vizio, che, come è noto, ricorre solo nel caso in cui il giudice di merito abbia
fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato dì
prova incontestabilmente diverso da quello reale, avendo ad oggetto la doglianza
agitata, piuttosto, sotto certi aspetti, il vizio del "travisamento del fatto", che non
è possibile dedurre in questa sede, stante la preclusione per il giudice di
legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito ( Sez. 6, n. 11794 del
11/02/2013, Melfi, Rv. 25443901 ).
Stima utile il Collegio rammentare, oltretutto, che, secondo la linea
ermeneutica consolidata di questa Corte regolatrice, la rispondenza delle
valutazioni compiute dal giudice di merito alle acquisizioni processuali può essere
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dedotta
sub specie
del vizio di travisamento della prova a condizione che siano
indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la
contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile
"ictu ocull",
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di
macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze.
(Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006 - dep. 20/07/2006, Stojanovic, Rv.
23416701Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006 - dep. 14/06/2006, Francia, Rv.
23409901), con il risultato di porre a carico del ricorrente un peculiare onere di
inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti
processuali che intende far valere, onere da assolvere nelle forme di volta in
volta più adeguate alla natura degli atti stessi ( integrale esposizione e
riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione
della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice ), laddove nel caso di specie il
ricorrente si è limitato a riportare singoli stralci, che, estrapolati dal contesto
complessivo, non potrebbero, in ogni caso, giammai dar conto della fondatezza
del vizio denunciato, considerato anche che a fronte di quelle dichiarazioni vi è
una pluralità di altri elementi che depongono in senso diverso, coi quali il
ricorrente non si è confrontato ( laddove il travisamento probatorio per essere
sostenuto con efficacia implica la necessità di proiettarsi sull'intero compendio
probatorio quanto si deduce con riferimento al singolo aspetto che si assume
travisato, trattandosi di dimostrare anche la decisività di quanto si afferma
nell'economia generale della decisione ) .
In altri termini, il ricorrente ha posto in essere un'operazione ricostruttiva
non consentita, sotto diversi profili: non solo ha estrapolato pezzi di deposizioni,
da cui ha tratto, per ciascun segmento, una propria alternativa, a tratti riduttiva
o, secondo i casi, estensiva ricostruzione, che va invece riguardata innanzitutto
nel complessivo contesto dichiarativo - e non solo - cui afferisce, ma ha anche
analizzato ciascuno di essi scollegato dagli altri, procedendo in maniera opposta
alla corretta impostazione probatorio-valutativa, operata dai giudici di merito,
che impone di considerare in maniera non atomistica gli indizi.
Un siffatto, errato,
modus procedendi,
in particolare, non è contrapponibile a
quello adoperato dalla Corte territoriale, che dopo aver considerato, anche
mediante il rinvio alle risultanze esaminate nella pronuncia di primo grado, i
singoli elementi li ha messi insieme componendo il quadro altamente indiziario e
concordante su cui fonda la sua decisione; di talchè non possono ritenersi in
alcun modo messi in discussione, sulla base dei frazionati, suindicati elementi, gli
esiti di un tale procedimento inferenziale del quale vi è peraltro adeguato
riscontro nel percorso logico-argomentativo che sorregge le conclusioni raggiunte
20
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
( si rimanda alla pag. 25 della sentenza impugnata in cui, dopo essersi analizzati
tali elementi già in quella sede censurati, si è concluso evidenziandosi la loro
concordanza nel delineare l'ingerenza consapevole del Del Buono nelle vicende
dello Steri ).
Quanto, infine, alla doglianza tendente ad evidenziare che i giudici di merito
nulla avrebbero motivato in ordine al concorso nella causazione dolosa del
dissesto, pure risultante dalla contestazione in cui figura il riferimento, in diritto
e in fatto, anche a tale fattispecie criminosa, in realtà è lo stesso ricorrente a
concludere che tale ipotesi è da ritenersi, in buona sostanza, esclusa, non
avendo la Corte, una volta pronunciata l'assoluzione per gli altri fatti distrattivi
contestati al capo A, applicato l'aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta,
così implicitamente confermando la omessa pronuncia al riguardo ( omessa
pronuncia di cui evidentemente non può dolersi il ricorrente, e per la quale non si
può entrare nel merito non essendo al riguardo intervenuta alcuna impugnazione
da parte del Pm ) .
1.5. Anche il quinto motivo è del tutto destituito di fondamento. Ed invero,
una volta affermata la sussistenza dell'elemento soggettivo nei termini tracciati
dalle pronunce di merito - che in quanto conformi si compenetrano in un tutto
unitario - , e sopra condivisi, per essere stati essi argomentati ed affrontati in
maniera esaustiva e logica, non residua spazio alcuno per la diversa
qualificazione del fatto prospettata dal ricorrente ( sussumibile, secondo la
difesa, nella fattispecie di cui all'art. 232 L. fall. o di riciclaggio di cui all'art. 648
bis cod. pen., e non nell'ipotesi di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta di
cui al capo A 1 ); con la conseguenza che non può ritenersi maturato alcun
termine prescrizionale, tenuto conto dei tempi di consumazione dei reati (
rectius
delle date di dichiarazione dei fallimenti ).
1.6. Il sesto motivo, con cui si deduce che il reato di cui al capo A era al
momento dell'appello già estinto per intervenuta maturazione del termine di
prescrizione, da indentificarsi in anni dodici e mesi sei - oltre giorni 47 di
sospensione - , è parimenti manifestamente infondato, perché come già
precisato al punto 1.4 la fattispecie è aggravata dal danno di rilevante gravità,
espressamente oggetto di contestazione sia in diritto, atteso il richiamo all'art.
219 L.fall., che in fatto, attesa la macroscopicità dell'entità della somma
distratta, e ciò di là di come sia stata determinata la pena dal primo giudice, che
potrebbe essere stata frutto di un errore e che non può risolversi in un fattore
utile ai fini che occupano ( e di là della stessa novità del rilevo operato in appello
solo in sede di discussione, come evidenziato dalla Corte territoriale, che ha,
21
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
nondimeno, espressamente motivato al riguardo spiegando le ragioni per le quali
dovesse ritersi contestata tale aggravante ).
1.7.10 n settimo e il decimo motivo, afferenti entrambi la commisurazione
della pena, sono privi di pregio.
Il settimo motivo, in particolare, non si confronta né con la pronuncia
impugnata, in cui è spiegata la ragione della ritenuta continuazione esterna tra i
reati di cui ai capi Al e B , né con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui
in caso di pluralità di fallimenti trova applicazione l'istituto della continuazione,
operando la più favorevole previsione della cd. continuazione fallimentare, di cui
all'art. 219 co. 2 n. 1 L.fall., solo nel caso di pluralità di condotte illecite poste in
essere con riferimento alla medesima procedura fallimentare. Ed invero, mentre
il reato di cui al capo Al attiene ai fallimenti delle società del gruppo dichiarati il
11.12.2001, - ed a ciascuno di essi è da riferirsi la commessa distrazione della
somma di più di 4 milioni di dollari suindicata -, quello di cui al capo B, che
afferisce unicamente al fallimento della Calwua Ltd Malindi, dichiarato il
21.2.2002, ha ad oggetto sia la bancarotta fraudolenta patrimoniale di due
miliardi e duecento milioni di lire, che quella documentale, di sottrazione o
distruzione della contabilità.
Correttamente, quindi, la Corte ha applicato la continuazione di cui all'art.
81 cod. pen. con riferimento alle bancarotte di cui ai capi Al e B afferenti
distinti fallimenti; ed ha, invece, applicato l'aggravante di cui all'art. 219 co. 2 n.
1 in relazione ai più fatti di bancarotta contestati al capo B - patrimoniale e
documentale - trattandosi di condotte inerenti al medesimo fallimento.
Lo stesso è analogamente accaduto con riferimento alla pluralità di fallimenti
dichiarati in relazione alle diverse società del gruppo, - sia pure nella medesima
data -, rispetto ai quali è stata correttamente applicata la continuazione di cui
all'art. 81 cod. pen., una volta ritenuta la condotta di distrazione sub Al riferibile
a ciascuno di essi, avendo essa portato al fallimento ognuna delle dette società
collegate facenti parte del medesimo gruppo riconducibile allo Streri ( di talchè
tale continuazione è stata ravvisata non già in relazione alle condotte per le quali
è intervenuta assoluzione, come assume la difesa, ma per il motivo testè
esposto, come chiaramente evincibile dalla sentenza impugnata ).
Né potrebbe mettersi in discussione, come, invece, fatto dal ricorrente col
decimo motivo, la quantificazione della pena, essendo stati gli aumenti per la
continuazione esterna operati nell'ambito del capo Al quantificati in mesi tre - in
luogo degli originari mesi quattro - per ciascun dei cinque fallimenti di cui al
medesimo capo Al, avendo correttamente la Corte ridotto gli aumenti di pena
applicati in primo grado proprio in considerazione della minore gravità espressa
22
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dalle plurime bancarotte in continuazione una volta esclusa la pluralità dei fatti in
relazione a ciascun fallimento, in conseguenza dell'intervenuta assoluzione.
Né, più in generale, appare censurabile la mancata concessione delle
attenuanti generiche e la determinazione della pena, complessivamente
quantificata in anni sette e mesi tre di reclusione, avendo la Corte, con
motivazione non sindacabile in quanto congrua e logica, valorizzato una pluralità
di elementi dalla medesima ritenuti determinanti in tal senso, quali il silenzio
serbato dall'imputato, la particolare abilità dimostrata nell'individuare canali
internazionali, nel costituire società in paesi dalla fiscalità agevolata e nel
movimentare rilevanti masse di danaro, oltre che il risalente precedente per
usurpazione di titoli; nonché specificato che ai fini della concessione delle
circostanze generiche non potesse, di contro, neppure militare il comportamento
dell'imputato, che non avrebbe in alcun modo dimostrato la benchè minima
revisione critica del proprio vissuto.
D'altronde, con riferimento alla determinazione della pena, va ribadito che
poichè la graduazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., è, in realtà, proprio inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, come accaduto
nel caso censito, in cui vi è un espresso riferimento ad una pluralità di elementi e
non alla sola gravità, in sé, del fatto.
1.8. L'ottavo motivo afferisce l'affermazione di responsabilità in relazione
alle condotte di bancarotta distrattiva e documentale di cui al capo B,
rispettivamente distrazione di due miliardi e duecento milioni di lire e distruzione
o occultamento della contabilità della Caluwa LTD Malindi, censurata sia sotto il
profilo del vizio argomentativo che del travisamento dei dati probatori.
Si lamenta, innanzitutto, che la Corte avrebbe tratto delle conclusioni
errate sulla base di una parziale ricostruzione dei fatti, avendo erroneamente
assunto, da un lato, che gran parte del prezzo di vendita del villaggio Karibuni
invece di essere incassato dalla Caluwa Malindi LTD, a cui avrebbe dovuto essere
corrisposto, trattandosi di cespite di proprietà di tale società, era pervenuto nelle
mani del Del Buono in assenza di alcuna ragione societaria a giustificazione del
trasferimento, e, dall'altro, sul versante del concorso nella sparizione della
contabilità, che esso potesse configurarsi perché la documentazione era stata
trasferita dapprima in un alloggio sito in Cuneo acquistato dalla Streri s.p.a. e
parzialmente offerto in comodato al del Buono e poi presso la sede della Caluwa
23
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
S.C. a Monaco, ove poi sarebbe stata fatta sparire, sede di cui era esclusivo
utilizzatore il Del Buono, designato gestore di tale società.
Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe, di fatto, finito con l'enfatizzare il
ruolo del Del Buono, assurto nella motivazione impugnata da semplice mediatore
nella gestione della vendita del villaggio da parte del venditore Caluwa LTD-
Streri agli acquirenti Kubadilisha Ltd - Bulgari e Ferrari, in cambio di compenso
(di cui alla quietanza di cui fa cenno la stessa sentenza impugnata), a
concorrente consapevole ed operoso nelle attività distrattive, laddove si era
limitato, anche con riferimento alla fase dei pagamenti successiva alla vendita,
ad eseguire ciò che gli era stato detto dallo Streri in ordine alle modalità di
esecuzione dei bonifici.
In realtà, la Corte territoriale spiega bene, anche in tal caso, il motivo per
il quale sia dimostrata la partecipazione del Del Buono alla vicenda e non possa
ritenersi il ruolo del predetto circoscritto ad attività materiali, quand'anche di
qualificata mediazione, avulse dal contesto illecito in cui esse si collocano. La
commistione esistente tra i due piani si qualifica e contraddistingue sotto il
profilo penale per l'agire illecito, concordato, per scopi che vanno ben al di là
della cessione del cespite e del corrispondente incasso della provvigione, incasso
che si connota esso stesso di illiceità in ragione della strumentalità del
trasferimento, non certo dettato dall'esigenza in sé di alienazione del bene,
quanto piuttosto dal preordinato fine di sottrarlo alla società, non derivandone
per la stessa alcuna contropartita; di talchè giammai la pattuizione di quel
compenso potrebbe risolversi in un motivo di legittimazione dell'operazione, che,
come illustrato nella sentenza impugnata, ha comportato che la gran parte del
prezzo incassato fosse versato su conto accesso presso la CMB Monaco intestato
alla Caluwa S.c., società di diritto monegasco, creata appositamente per aprire il
conto su cui confluì poi il danaro, di cui era direttore generale il Del Buono, che
percepì peraltro cospicui compensi per tale ruolo nonostante l'assoluta assenza
di operatività della società medesima; qualche giorno dopo, il provento della
vendita per l'importo di euro 277.152,31 veniva trasferito sul conto di Del Buono
Angelo acceso presso la CMB Monaco, e per euro 396.367 presso il conto
denominato 'Angeli', acceso sempre presso la Cmb Monaco, riferibile allo Streri.
Da tale ultimo conto poi la somma totale veniva nuovamente movimentata sul
conto intestato al Del Buono, a parte la somma di euro 42.262 poi prelevata
dopo la scomparsa dello Streri da suo figlio. Dal conto del Del Buono le somme
indicate sono state poi nuovamente trasferite e se ne sono perse le tracce ( né
sono state fornite indicazioni sulla loro sorte; l'ulteriore somma di euro 361.519
veniva prelevata da Sopegno Giacomo e Streri Francesco, figlio dello Streri.).
24
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Indi la Corte territoriale conclude che gran parte del prezzo del villaggio Karibuni
invece di entrare nella disponibilità della Caluwa LTD Malindi, per effetto della
vendita di un cespite di proprietà della stessa società, era pervenuta nelle mani
del Del Buono in assenza di alcuna ragione societaria a giustificazione del
trasferimento, e, ciò che maggiormente rileva, non era mai più confluita nelle
casse della società Calwua LTD Malindi, che era l'unica legittimata a riceverla.
Né potrebbe assurgere a ragione giustificativa di tale mancato incasso da
parte della società proprietaria del cespite venduto la circostanza che lo Streri,
secondo quanto prospettato dal ricorrente, avrebbe contratto asseriti,
documentati, debiti col Del Buono, personali e lavorativi, che sarebbero quindi
stati onorati, pagando la somma di circa 1.400.000.000 di lire, utilizzando,
autonomamente, le somme depositate sul conto CMB di Monaco, intestato a
Caluwa S.C. ( documenti ritenuti 'una montatura' da tutti i giudici di merito,
compreso il Tribunale civile di Cuneo ).
Lo stesso riconoscimento che si assume intervenuto in sede di
insinuazione al passivo del credito del Del Buono, che sarebbe stato ammesso
nel fallimento personale dello Streri per l'importo di euro 478.503,53, non
potrebbe giammai rappresentare, a differenza di quanto assume la difesa, un
sintomo della bontà della ricostruzione dalla medesima offerta, potendo piuttosto
al più costituire un segno della esistenza di rapporti di credito esistenti tra i due
- ma di certo neppure di consistenza pari al coacervo delle somme distratte -, ai
quali, evidentemente, in ogni caso, giammai si sarebbe potuto fra fronte con
danaro della società.
La condotta alla quale partecipò il Del Buono può e deve essere, quindi,
qualificata, come correttamente fatto dai giudici di merito, di tipo distrattivo, e,
tenuto conto del ruolo che il Del Buono assunse anche rispetto a tale operazione
- sia tramite la società Calwua S.C. che mediante i successivi passaggi del
danaro che ne consentivano la definitiva sparizione/sottrazione alla società
destinataria ( della quale poco dopo veniva dichiarato il fallimento ) - , non
residua dubbio, secondo la Corte territoriale, sulla sua piena consapevolezza
partecipativa o meglio sulla esistenza, anche in tal caso, di un vero e proprio
accordo, a monte, a tal fine preordinato tra il Del Buono e lo Streri.
Quanto alla bancarotta documentale, essa, come sottolineato dalla Corte,
si è risolta in una condotta strettamente strumentale rispetto a quella distrattiva,
alla quale non fu estraneo il Del Buono, che anzi fu colui che verosimilmente fece
sparire la documentazione contabile della Calwua Malindi. Ed invero, come
riferito dai collaboratori dello Streri, la contabilità era stata dapprima trasferita
da Cuneo presso un alloggio acquistato dallo Streri e parzialmente concesso in
25
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
comodato al Del Buono e da qui portata presso la sede della Calwua S.C. a
Monaco, che, come detto, era in esclusiva disponibilità del Del Buono, e di essa
si era poi persa ogni traccia, essendo stata al curatore consegnata solo
documentazione priva di valore.
1.9. Con riferimento alla nona censura valgono le medesime
considerazioni già sopra svolte in relazione al quinto motivo, perché una volta
costruita nei termini suindicati la fattispecie distrattiva di cui al capo B non
residua spazio per le diverse ipotesi prospettate dalla difesa anche con
riferimento alla bancarotta patrimoniale di cui al capo B.
1.10. Quanto al decimo motivo si rinvia a quanto osservato al punto 1.7.
in cui si è già trattato anche di esso.
1.11. L'undicesimo motivo - afferente il sequestro di numerosi beni
immobili, di proprietà di terzi - in realtà tutti familiari del Del Buono - disposto ai
sensi degli artt. 316 e 323 codice di rito - è inammissibile. Ed invero, secondo la
giurisprudenza prevalente di questa Corte - che questo Collegio ritiene di
condividere essendo essa in linea con i parametri normativi esistenti in materia -
in tema di misure cautelari reali, avverso il provvedimento con il quale il giudice
dispone, su istanza del pubblico ministero, che sulle cose già oggetto di
sequestro preventivo sia mantenuto il sequestro con le finalità conservative di
cui all'art. 316 cod. proc. pen., è proponibile unicamente istanza di riesame ai
sensi degli artt. 318 e 324 cod. proc. pen., in ossequio al principio della
tassatività delle impugnazioni. (
ex multis,
Sez. 2, n. 4681 del 09/10/2018 - dep.
30/01/2019, SCALESE GIULIO, Rv. 275070, fattispecie relativa a sequestro
conservativo disposto dal giudice con la sentenza di primo grado; in ossequio al
principio di tassatività delle impugnazioni, ed in difetto di apprezzabili riferimenti
normativi, nessun rilievo può attribuirsi - a legittimare la possibilità di
un'impugnazione atipica, ovvero di proporre appello nelle forme ordinarie, e
successivamente ricorso per cassazione - alla circostanza che il predetto
provvedimento cautelare sia stato disposto in sentenza. ). Ed invero, dal
combinato disposto degli artt. 257, 318 e 322 c.p.p., in relazione all'art. 324
c.p.p., emerge che, sia nell'ipotesi del sequestro conservativo
ex
art. 316 c.p.p.,
che in quelle del sequestro preventivo
ex
art. 321 c.p.p. e del sequestro
probatorio
ex
art. 253 c.p.p., gli atti d'impugnazione esperibili sono la richiesta di
riesame, ovvero, per il solo sequestro preventivo (fuori dei casi previsti dall'art.
322 c.p.p.), l'appello
ex
art. 322-bis c.p.p., nonché, contro i provvedimenti in tali
sedi pronunciati, il ricorso per cassazione
ex
art. 325 c.p.p..
Nondimeno, si osserva che, in ogni caso, la Corte ha, con ampia
motivazione, esente da evidenti vizi di illogicità e contraddittorietà, spiegato che
26
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
l'intestazione dei predetti beni ai familiari del Del Buono non potesse che essere
ritenuta fittizia, attesa la inesistenza, in quel periodo, di fondi leciti riconducibili
in capo al predetto e alla sua famiglia, e non essendo seriamente ipotizzabile che
gli acquisiti effettuati direttamente a nome dei figli potessero essere stati pagati
con danaro dei medesimi, ancora studenti e all'epoca peraltro anche minorenni o
da poco maggiorenni. Indi, la Corte conclude che tutti i cespiti sottoposti a
cautela sono stati necessariamente acquistati con fondi tratti dalle condotte
illecite suindicate in assenza di dimostrazione della disponibilità di fondi
sufficienti in capo al Del Buono e ai suoi familiari.
E' stato peraltro affermato che in tema di sequestro conservativo, ai fini
dell'appartenenza di beni mobili ed immobili all'imputato evocata dall'art. 316
cod. proc. pen., non rileva la loro formale intestazione, ma la circostanza che
l'imputato ne abbia la disponibilità
"uti dominus",
indipendentemente dalla
titolarità apparente del diritto in capo a terzi ( Sez. 2, n. 44660 del 15/10/2010 -
dep. 21/12/2010, Chiesi, Rv. 248942 ).
In conclusione, si ritiene che la motivazione della pronuncia impugnata si
sottrae alle censure che le sono state mosse perché essa ha rappresentato, in
maniera esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni, le ragioni
che hanno indotto la Corte territoriale a ravvisare la ricorrenza di una
piattaforma probatoria idonea a sostenere il peso dell'affermazione di
responsabilità dell' imputato per i fatti contestatigli: ragioni che gli argomenti
opposti dal ricorrente non sono riusciti a disarticolare nella loro tenuta logica e
giuridica, avendo anzi esso con la riproposizione degli stessi dimostrato di non
essersi confrontato colle argomentazioni svolte dalla Corte di Appello, e prima
ancora dal Tribunale, che hanno, in realtà, già puntualmente fornito,
integrandosi a vicenda, le risposte sollecitate coi motivi di appello.
Non va taciuto, infine, che il più volte dedotto vizio di motivazione veicola la
critica alle opzioni probatorie compiute dai giudici di merito con argomentazioni
diffuse e perspicue, sulla scorta del vaglio delle emergenze processuali, finendo
per tradursi in una prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta
propria dai giudici del merito.
2. Rimane il profilo delle pene accessorie, applicate ex lege per la durata di
anni dieci, - da affrontare di ufficio trattandosi di questione incidente sulla legalità
della pena, ed applicandosi il principio di legalità della pena anche con riferimento
alle pene accessorie» (Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., in
motivazione). -, che, com'è noto, è stato di recente affrontato dalla Corte
Costituzionale che, con la sentenza n. 222 del 2018, ha dichiarato l'illegittimità
27
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
costituzionale dell'art. 216, u. c. I. fall. nella parte in cui dispone: «la condanna
per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni
l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa
durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: «la
condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione
all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi
presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».
La sostituzione della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018,
ha determinato l'illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio
dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente
applicate possano rientrare o meno nel nuovo parametro, posto che il
procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata
incostituzionale, di talchè s'impone l'annullamento della sentenza impugnata
in
parte qua.
Sorge allora la necessità di indicare al giudice del rinvio il criterio cui attenersi
nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa (dieci anni),
ma indicata solo nel massimo ("fino a dieci anni"). Soccorre al riguardo la
sentenza di questa Corte a Sezioni Unite ( nelle more intervenuta il 28.2.2019 ), a
cui è stata rimessa la questione in ordine all'individuazione del criterio di
commisurazione di tali pene accessorie, ( se quello di cui all'art. 37 cod. pen.
secondo cui la pena accessoria va commisurata alla pena principale o se, in
applicazione dei principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento
sanzionatori, quello di cui art. 133 cod. pen. ), che si è espressa condividendo il
criterio improntato alla discrezionalità valutativa del giudice che consente una
maggiore personalizzazione del trattamento sanzionatorio.
Ne discende l'annullamento con rinvio della sentenza nella parte afferente le
pene accessorie al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle
stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto
al giudice di legittimità ( Conf. Sez. 5, n.6115/2019 del 14/12/2018
(dep.07/02/2019); Sez. 5, n.4780/2019 del 20/12/2018 (dep.30/01/2019). (Sez.
5, n. 5882 del 29/01/2019 - dep. 06/02/2019, BAU' FRANCO, Rv. 27441301 ).
3. Per le ragioni anzidette la sentenza impugnata deve essere annullata
senza rinvio limitatamente alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese
liquidate in primo grado in favore della parte civile, Banca Julius Baer; nonché,
con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per nuovo esame,
limitatamente alla durata delle pene accessorie ex art. 216 u.c. L. Fall..
28
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell'art. 541 cod. proc. pen.,
alla re
fusione delle spese sostenute dalle parti civili rappresentate dall'avv.
Franco Lazzarone, come liquidate in dispositivo.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato per il motivi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte civile, Banca iulius
Baer, che revoca; annulla la stessa sentenza, relativamente alle pene accessorie
fallimentari, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per la
relativa rideterminazione. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese
sostenute dalle parti civili rappresentate dall'avv. Franco Lazzarone, liquidate in
complessivi euro 8.000, in considerazione della entità delle questioni affrontate,
oltre accessori come per legge. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 3/5/2019.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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