Sentenza Nº 37243 della Corte Suprema di Cassazione, 06-09-2019

Presiding JudgeDI TOMASSI MARIASTEFANIA
ECLIECLI:IT:CASS:2019:37243PEN
Date06 Settembre 2019
Judgement Number37243
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SARNO FRANCESCO nato a PORTICI il 26/03/1969
avverso l'ordinanza del 23/01/2019 del GIP TRIBUNALE di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
lette/~ le conclusioni del PG
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37243 Anno 2019
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SIANI VINCENZO
Data Udienza: 25/06/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Con l'ordinanza in epigrafe, emessa il 23 - 24 gennaio 2019, il Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Ancona ha dichiarato inammissibile
l'istanza di correzione dell'errore materiale formulata nell'interesse di Francesco
Sarno nel senso dell'inserzione della sospensione condizionale della pena,
omessa nella sentenza resa nei suoi confronti in data 10 aprile 2017, in virtù
della quale gli era stata applicata, ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen., la pena di
anni uno, mesi undici, giorni ventotto di reclusione ed euro 450,00 di multa, in
relazione ai reati di furto aggravato a lui ascritti nella relativa rubrica.
2.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di Sarno chiedendone
l'annullamento, con l'emissione di ogni statuizione consequenziale, e adducendo
un unico motivo con il quale si lamenta contraddittorietà, manifesta illogicità e
mancanza della motivazione.
Nell'ordinanza impugnata, deduce il ricorrente, si è contraddittoriamente
sostenuto che in sentenza e nel verbale di udienza non sussistesse traccia del
beneficio della sospensione condizionale, mostrando così di non considerare che
si trattava di un patteggiamento presentato fuori udienza, con anticipato
deposito dell'istanza nella quale l'applicazione della pena concordata era
espressamente subordinata al beneficio della sospensione condizionale della
stessa. Per tale ragione, sia il difensore, sia il P.m. si erano riportati al consenso
già prestato.
Ciò, sottolinea la difesa, non toglie che gli atti richiamati avevano
determinato,
per relationem,
la chiara proposizione dell'istanza di subordinazione
della pena concordata alla sospensione condizionale.
Sotto altro profilo, il ricorrente rimarca il carattere improprio del richiamo
all'art. 448, comma
2-bis,
cod. proc. pen., poiché tale norma, alla stregua
dell'art. 51 legge n. 103 del 2017, non si applica ai patteggiamenti che — come
quello in esame — siano stati introdotti prima dell'entrata in vigore della legge:
sicché, alla stregua della disciplina applicabile al caso di specie, l'interpretazione
del provvedimento avrebbe dovuto essere compiuta nel senso più favorevole al
reo, tenendo conto che, nell'emissioni di tale sentenza, non è dato al giudice
discostarsi dall'accordo, potendo soltanto ratificare la richiesta oppure rigettarla.
Il provvedimento reso in sede di correzione dell'errore materiale avrebbe
dovuto eliminare, secondo il ricorrente, quella che è emersa come una mera
difformità, rilevabile dal semplice raffronto, sulla base degli atti, tra il pensiero
del giudice e la sua manifestazione, costituita dall'omessa sospensione
condizionale della pena: diversamente opinando, si sarebbe registrata
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un'inammissibile compromissione del diritto di difesa, poiché, se avesse saputo
che gli sarebbe stata negata la sospensione condizionale, Sarno avrebbe
compiuto scelte processuali diverse, essendo evidente che, avendo anche dato
atto del suo buon comportamento processuale e rilevata l'incensuratezza
dell'imputato, il giudice del patteggiamento non aveva voluto negargli il beneficio
di cui all'art. 163 cod. pen., in dispositivo omesso per una mera svista.
3. Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato
inammissibile, in adesione all'interpretazione formatasi nel senso
dell'impossibilità di correzione materiale della sentenza di patteggiamento che
ometta di pronunciarsi sulla richiesta di sospensione condizionale della pena, con
la precisazione che questo indirizzo ermeneutico era già emerso in precedenza
ed è stato poi confermato dalle norme introdotte dalla legge n. 103 del 2017,
siccome la discrasia lamentata dal ricorrente attiene a una parte del negozio
avente ad oggetto la pena concordata, su cui non può influirsi in sede di
correzione dell'errore materiale, ma si può incidere soltanto mediante la
tempestiva impugnazione della decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
Il ricorso si profila fondato nei sensi che seguono.
2.
Giova, al riguardo, premettere che, nell'ordinanza impugnata, si evidenzia
che - indipendentemente dalla non applicabilità al caso di specie delle norme
introdotte dalla legge n. 103 del 2017 con agli artt. 130, comma
1-bis,
e 448,
comma
2-bis,
cod. proc. pen. - la sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti che abbia omesso di pronunciarsi in dispositivo sulla richiesta
di sospensione condizionale della pena, cui l'accordo è subordinato, non può
essere oggetto del procedimento di correzione ex art. 130 cod. proc. pen.,
poiché la suddetta omissione integra un vizio afferente al suo contenuto
decisionale, da censurarsi con il ricorso per cassazione, atteso anche che la
sentenza in esame non menziona il beneficio della sospensione condizionale, né
in dispositivo, né in motivazione, né di esso si trova traccia espressa neppure nel
verbale di udienza del 10 aprile 2017, pur se nelle conclusioni le parti hanno
richiamato l'istanza di patteggiamento in atti.
3.
La delicata questione posta dall'impugnazione attiene al rigetto
dell'istanza di correzione dell'errore materiale prospettato come verificatosi nella
suindicata sentenza di ratifica della pena concordata dalle parti , le quali avevano
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configurato espressamente l'accordo fissando la pena di anni uno, mesi undici,
giorni ventotto di reclusione ed euro 450,00 di multa, già depurata dalla frazione
determinata dall'opzione per il rito alternativo, pena ricompresa nel limite
stabilito dall'art. 163 cod. pen., e poi precisando che il patto era subordinato alla
concessione della sospensione condizionale della pena.
Il chiaro contenuto dell'accordo emergeva nel caso in esame dal testo
dell'istanza di applicazione di pena concordata formulata e depositata in atti da
Francesco Sarno, assistito da difensore di ufficio, e trovava il suo preciso ed
espresso riscontro nell'atto di consenso formulato dal P.m., a sua volta
depositato conclusivamente agli atti il 31 marzo 2017, indubbiamente adesivo
all'istanza anche per quanto concerne l'avvenuta subordinazione dell'accordo al
beneficio di cui all'art. 163 cod. pen., con la reiterazione e l'evidenziazione in
carattere grassetto dell'espressione "pena sospesa".
La sentenza ha recepito pedissequamente il patto avente ad oggetto l'entità
della pena, ma nel dispositivo è stata omessa la concessione della sospensione
condizionale della pena.
Nella motivazione si è registrato il richiamo - non mediante trascrizione, ma
per relationem -
della richiesta di applicazione della pena concordata e si è
espressa condivisione piena, senza alcuna riserva, degli elementi formanti il
patto ("la richiesta appare meritevole di accoglimento"), esponendosi poi il
calcolo relativo alla pena concordata e corroborando, per la ratifica, i vari
passaggi anche in ordine al profilo circostanziale e alla continuazione.
La motivazione nulla ha esposto in merito alla sospensione condizionale,
nemmeno per negarne la concessione a cui il patto era stato subordinato.
La sentenza, non impugnata, è divenuta irrevocabile.
Il giudice adìto, poi, per la sua correzione dell'errore materiale - addotto dal
condannato, sulla scorta della ritenuta evidente discrasia fra dispositivo e
motivazione della sentenza, comprendente il richiamo delle clausole del patto di
applicazione della pena, a sua volta connotato dalla subordinazione di esso alla
sospensione condizionale della pena - ha invece concluso, sulla scorta delle
suindicate argomentazioni e richiamandosi a un'interpretazione confortata anche
da una parte dell'ermeneutica di matrice giurisprudenziale, che nella sentenza si
è verificato un vizio del suo contenuto decisionale, per essersi il giudice della
cognizione risolto a differenziare l'oggetto della ratifica dall'oggetto del patto,
quanto alla sospensione condizionale, vizio da censurarsi mediante - e soltanto
mediante - l'impugnazione prevista dall'ordinamento, ossia il ricorso per
cassazione; rimedio in questo caso non esperito da alcuna parte.
4. Assodati gli elementi che precedono, il Collegio prende atto
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dell'orientamento, su cui si è basato il provvedimento impugnato per negare la
correzione.
4.1. Secondo questo indirizzo, la sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti, la quale ometta di pronunciarsi nel dispositivo sulla richiesta
di sospensione condizionale della pena, riportata, comunque, nella motivazione,
a cui l'accordo è subordinato, non può formare oggetto del procedimento di
correzione materiale ex art. 130 cod. proc. pen., per il fatto che tale omissione
determina comunque l'obiettiva assenza di un capo della sentenza, la quale
comporta l'invalidità della decisione che accoglie parzialmente una richiesta
inscindibile: se il giudice non vuole concedere il beneficio, deve rigettare
in toto
la richiesta di patteggiamento, ex art. 444, comma 3, cod. proc. pen. La
conseguenza è che la decisione invalida non è suscettibile di essere corretta ex
art. 130 cod. proc. pen., ma è suscettibile solo di essere impugnata, con esito
che può sfociare, considerata la funzione di economia del rito speciale, nella
rivisitazione della richiesta in questione da parte del giudice tramite
l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata (tale è l'esito raggiunto, fra
le altre, da Sez. 5, n. 4654 del 20/12/2005, dep. 2006, Iammarino, Rv. 233626;
v. anche Sez. 3, n. 8391 del 23/01/2008, Kalani, Rv. 239053). Di recente in
questo stesso senso si è affermato (da Sez. 1, n. 1768 del 23/11/2017, dep.
2018, Capobianco, Rv. 271985) che la distinzione fra le ipotesi di mero errore
materiale e quelle di vizio della sentenza di applicazione della pena ha trovato
ulteriore accreditamento nell'art. 130, comma
1-bis,
cod. proc. pen., introdotto
dalla legge n. 103 del 2017, che ha ammesso la procedura di correzione
dell'errore materiale limitatamente ai casi in cui si devono rettificare solo la
specie e la quantità della pena per errore di denominazione e di computo, e
nell'art. 448, comma
2-bis,
cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge, che
ha individuato tra i casi di ricorso per cassazione il difetto di correlazione fra la
richiesta e la sentenza.
4.2. Non mancano arresti che, invece, hanno affermato l'applicabilità al caso
in esame, in presenza dei corrispondenti presupposti, della disciplina della
correzione dell'errore materiale (v. Sez. 6, n. 6418 del 20/01/2016, Romanazzi,
Rv. 265845; Sez. 4. 41582 del 03/11/2010, Armentano, Rv. 248460, ha
affermato che, qualora il giudice del patteggiamento abbia omesso di
pronunciare, nella sentenza di applicazione della pena concordata, il beneficio
della sospensione condizionale, inserito nel patto, e dal tenore della decisione
possa desumersi che la mancata pronuncia sia da ascrivere a mera omissione
materiale, a quest'ultima può ovviare la Corte di cassazione, disponendo
direttamente l'integrazione sul punto della sentenza impugnata), essendosi
anche posto l'accento sulla peculiarità del rito di cui agli artt. 444 e ss. cod. proc.
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pen. ed essendosi sottolineato che in esso l'omissione della sospensione
condizionale della pena nel dispositivo - senza che risulti, neppure per implicito,
nella motivazione della sentenza alcuna contraria determinazione da parte del
giudice, ed in mancanza di condizioni ostative alla concessione - può essere
oggetto del procedimento di correzione ex art. 130 cod. proc. pen., ove risulti dal
verbale di udienza la subordinazione dell'accordo alla concessione del predetto
beneficio (Sez. 3, Ord., n. 30505 del 04/07/2001, Tartamella, Rv. 219983).
Con un ulteriore approfondimento della stessa linea ermeneutica, si è
evidenziato il particolare effetto derivante dall'essere rilevata - la discrasia -
nell'espletamento del rito speciale dell'applicazione della pena concordata.
In tal senso si è considerato che, se in punto di principio la procedura di cui
all'art. 130 cod. proc. pen non può essere applicata in relazione a capi essenziali
della sentenza, quale quello inerente al trattamento sanzionatorio, ivi inclusi
eventuali benefici come la sospensione della pena, tale assunto non è sempre
sostenibile con riferimento a decisioni adottate ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen.
La
ratio
che sorregge l'affermazione della non modificabilità, mediante il
procedimento di correzione, dei capi essenziali della sentenza risiede nella
necessità di non intaccare l'essenza della decisione, quale espressione della
valutazione discrezionale e, per tale connotato, intangibile dispiegata dal
decidente, come enunciata nel dispositivo, dalle parti della decisione che non
incidono sulle cause che l'hanno fondata: queste ulteriori parti, se risultano
affette da meri errori materiali o semplici sviste, ben possono essere oggetto del
procedimento di cui all'art. 130 cod. proc. pen.
Posto questo discrimine, si è poi sottolineato come il giudice a cui viene
chiesta l'applicazione della pena concordata ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. si
trovi di fronte all'alternativa, secca e ineludibile, di accogliere la richiesta in
modo conforme alla proposta, se conforme ai presupposti di legge, oppure di
rigettarla e procedere oltre nel giudizio: sicché, in ragione della specificità del
procedimento ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen., in ipotesi di apparente discrasia
tra il dispositivo della sentenza e il verbale di udienza che consacra i termini
dell'accordo sanzionatorio raggiunto dalle parti, deve prevalere il verbale, non
disponendo, il giudice, del potere discrezionale sull'entità e sulla natura della
pena concordata dalle parti che abbia inteso accettare e suggellare con la
decisione, trattandosi di contenuto obbligatorio e predeterminato del
provvedimento.
In questa prospettiva, pertanto, si è affermato che il dispositivo della
sentenza patteggiata che, per errore, indichi una pena diversa da quella
concordata ovvero presenti una semplice omissione grafica, come quella relativa
al concordato beneficio ex art. 163 cod. pen., può e deve essere oggetto di
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correzione dell'errore materiale, afferente a statuizione a contenuto obbligatorio
e predeterminato (Sez. 6, n. 20819 del 09/04/2013, Saad, Rv. 256230).
Tale tesi si pone in dichiarata
consecutio
con gli approfondimenti svolti dal
consesso di legittimità nella sua più autorevole composizione quando ha
precisato che l'elemento comune alle situazioni suscettibili di applicazione del
procedimento correttivo è costituito dalla sua realizzabilità mediante operazioni
meccaniche di carattere obbligatorio, predeterminato e conseguenziale,
elemento da considerarsi presupposto sostanziale per l'implicita valutazione
normativa di non essenzialità della componente dell'atto omessa e di esclusione
del carattere invalidante dell'omissione.
Pertanto, l'omissione - che, beninteso, non sia stata deliberatamente
assunta - di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto
predeterminato, non determinando nullità e non attenendo a una componente
essenziale dell'atto, può essere ovviata con il procedimento di correzione
dell'errore materiale (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426, la
quale ha, nel caso specifico, stabilito che, in tema di applicazione della pena su
richiesta delle parti, laddove il giudice abbia omesso di condannare l'imputato
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, può farsi ricorso alla
procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano
specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di
compensazione, totale o parziale, delle stesse).
5. L'orientamento da ultimo richiamato è quello che, con le precisazioni che
seguono, il Collegio ritiene persuasivo.
Va preliminarmente chiarito che la questione non riguarda le fattispecie in
cui il giudice del patteggiamento - in modo deliberato, sia esso esplicito, sia esso
univocamente desumibile anche per implicito (ad esempio quando il
provvedimento faccia comunque emergere l'assenza dei requisiti di concedibilità
del beneficio) - sia pervenuto, nonostante la richiesta di pena concordata avesse
subordinato l'efficacia del patto alla concessione della sospensione condizionale
della pena, a ratificare l'accordo in modo parziale, omettendo volontariamente la
concessione della sospensione condizionale della pena.
In questo caso, se è vero che, quando ha deliberatamente ratificato
l'accordo sulla pena, ma ha negato la sospensione condizionale a cui la richiesta
era subordinata, il giudice ha violato il principio espressamente fissato dall'art.
444, comma 3, cod. proc. pen., è del pari certo che la consapevole scelta
estrinsecata dal decidente colloca lo
iussum
al di fuori dell'area dell'errore
materiale: pertanto, la corrispondente violazione di legge deve essere
necessariamente dedotta con l'impugnazione.
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Quante volte, quindi, il giudice adito per la correzione pervenga alla
conclusione che la negazione della sospensione condizionale della pena
patteggiata subordinatamente alla sua concessione sia stata deliberatamente, sia
pure con decisione contraria al disposto dell'art. 444, comma 3, cod. proc. pen.,
assunta nella sentenza che ha ratificato il patto, correttamente nega l'accesso al
procedimento correttivo (ad esempio, fra gli arresti ascritti al primo
orientamento si annovera il caso deciso da Sez. 1, n. 36257 del 29/09/2010,
Iarusso, Rv. 248284, caso tuttavia segnato dalla valutazione del rilievo annesso
alle circostanze che nel dispositivo della sentenza era stato apposto un segno di
cancellazione sulla dicitura di concessione della sospensione condizionale e che il
beneficio non poteva essere concesso; v., per un altro caso di decisione avente
ad oggetto la - deliberata per esplicito - negazione della sospensione
condizionale della pena concordata, nonostante la subordinazione del patto alla
sua concessione, cristallizzata dall'omessa impugnazione, Sez. 1, n. 49481 del
10/05/2018, Stelitano, n. m.).
E' poi da considerare la peculiare struttura della sentenza che, con
riferimento al caso qui esaminato, ha ratificato il patteggiamento, vale a dire una
sentenza resa con motivazione contestuale, ai sensi dell'art. 544, comma 1, cod.
proc. pen.
Va, a tal proposito, rimarcato che - posto l'assunto di ordine generale
secondo cui, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la
regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della
volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo
conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla
motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle
ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici
che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 3, n. 3969 del
25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690) - è di particolare significato la
specificazione che il principio per cui l'atto che estrinseca la volontà del giudice è
solo il dispositivo, che non può subire modifiche, integrazioni o sostituzioni con la
motivazione, opera soltanto quando il dispositivo venga formato e pubblicato in
udienza prima della redazione della motivazione, non, invece, quando il
dispositivo e la motivazione siano formati e pubblicati contestualmente in un
unico documento, formante
ab origine
corpo provvedimentale unitariamente
espresso, poiché in tal caso è pienamente legittimo interpretare o integrare il
dispositivo sulla base della motivazione (Sez. 1, n. 50488 del 07/10/2018,
Argent, n. m.; Sez. 2, n. 938 del 23/09/2015, dep. 2016, Pop, Rv. 265734)
Alla stregua di questi elementi, pertanto, non è conseguente escludere in
radice il potere-dovere del giudice - che venga adito ai sensi dell'art. 130 cod.
8
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proc. pen. con la deduzione dell'errore materiale compiuto dal giudice che ha
ratificato la pena concordata dalle parti, in modo subordinato alla concessione
della sospensione condizionale della pena stessa, ma ha omesso per mera svista
o disguido di esplicitare in dispositivo la concessione del suddetto beneficio - di
verificare, sulla base del tenore della sentenza e degli atti dalla stessa richiamati,
in relazione alla sussistenza dei presupposti dell'applicazione dell'istituto di cui
agli artt. 163 e ss. cod. pen., se l'errore materiale sia stato o meno commesso,
nel primo caso procedendo alla conseguente correzione.
Tale prospettiva - al di là dell'inapplicabilità al caso di specie ritenuta nel
provvedimento impugnato del corrispondente
novum
di cui alla legge n. 103 del
2017 (in effetti, l'art. 1, comma 51, di questa legge stabilisce che le disposizioni
dell'art. 448, comma
2-bis,
cod. proc. pen., a loro volta introdotte dal
precedente comma 50, non si applicano nei procedimenti nei quali la richiesta di
applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. è stata presentata
anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, ossia
anteriormente al 3 agosto 2017, senza riferimento all'altra modificazione
normativa, quella di cui all'art. 130, comma
1-bis,
cod. proc. pen., introdotta dal
comma 49 della stessa legge) - non appare essere decisivamente mutata
all'esito delle corrispondenti modificazioni normative.
L'avere tipizzato quale particolare causa di correzione la rettifica della specie
e della quantità della pena per errore di denominazione o di computo non
sembra aver escluso l'applicazione dell'istituto disciplinato dall'art. 130 cod. proc.
pen. alla sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen. se
e quando ricorrano
altre concrete ipotesi di errore materiale da emendare.
In senso corrispondente e speculare, l'avere inserito nel novero circoscritto
delle ipotesi di impugnazione della sentenza di applicazione della pena
concordata quella del difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza non
esclude che, per verificarsi questo caso, il difetto di correlazione debba essere
effettivo, ossia fondato sulla deliberazione emessa in violazione di legge dal
giudice del patteggiamento, e non debba trattarsi di mera discrasia determinata
da errore materiale, rispetto a cui il difetto di correlazione è soltanto apparente.
6. Corollario delle considerazioni svolte è il rilievo che il G.i.p. del Tribunale
di Ancona con il provvedimento impugnato - pur avendo rilevato che è stata
pienamente contemplata nella motivazione della sentenza, attraverso il richiamo
della richiesta dell'imputato e del corrispondente atto di consenso del P.m., la
convenzione con cui le parti avevano concordato l'applicazione della pena,
inserendo in modo chiaro ed espresso la clausola di subordinazione
dell'applicazione di tale pena alla concessione della sua sospensione
i/(
9
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condizionale, pur non avendo riscontrato nessun elemento nella motivazione
stessa che fosse indicativo della deliberazione del decidente di discostarsi, pur
illegittimamente, dal patto, per negare la sospensione condizionale della pena, e
pur avendo preso atto che, anzi, quella motivazione ha pienamente accolto e
ratificato la richiesta, per come complessivamente proposta - ha negato
l'evenienza di una mera svista nell'omessa inserzione nel dispositivo della
concessione della sospensione condizionale della pena in dipendenza della
ritenuta, pregiudiziale esclusione della giuridica possibilità di ravvisare nella
descritta fattispecie gli estremi dell'errore materiale correggibile con il
procedimento di cui all'art. 130 cod. proc. pen.
Tale conclusione, siccome è retta da motivazione contraddittoria in relazione
agli atti, va disattesa, con conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata.
Di poi, l'assenza nella sentenza che ha applicato la pena concordata di alcun
dato che comporti l'emersione di circostanze ostative alla concessione della
sospensione condizionale della pena, a cui era stata subordinata l'efficacia del
patto - considerata l'entità della pena patteggiata e risultando Sarno del tutto
incensurato - fa sì che, non essendo necessari altri accertamenti di fatto,
l'annullamento debba pronunciarsi senza rinvio, ai sensi dell'art. 620, lett. I),
cod. proc. pen. e si proceda direttamente alla correzione dell'errore materiale per
omissione risultante nel dispositivo della sentenza, con l'inserzione della
locuzione mancante per far constare dell'avvenuta concessione della sospensione
condizionale della pena stessa, in conformità dell'accordo completamente accolto
e fatto proprio dalla decisione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone la correzione del
dispositivo della sentenza emessa ex artt. 444 e 445 c.p.p. dal G.i.p. del
Tribunale di Ancona in data 10/04/2017, irrevocabile il 27/04/2017, nei confronti
di Sarno Francesco, nel senso che, laddove è scritto «la pena concordemente
richiesta dalle parti», deve leggersi «la pena condizionalmente sospesa,
concordemente richiesta dalle parti,».
Manda la Cancelleria del Giudice di merito per l'annotazione della correzione
sull'originale della predetta sentenza.
Così deciso il 25 giugno 2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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