Sentenza Nº 12710 della Corte Suprema di Cassazione, 22-04-2020

Presiding JudgeMAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
ECLIECLI:IT:CASS:2020:12710PEN
Date22 Aprile 2020
Judgement Number12710
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MULIERE GIUSEPPA nato a SANT'ELENA SANNITA d 15/02/1934
ROMANI ANNA MARIA nato a ROMA il 06/02/1964
DI GREGORIO SIMONE nato a ROMA il 25/02/1983
DI GREGORIO FEDERICA nato a ROMA il 12/09/1990
DI GREGORIO GIAMMARIO nato a ROMA il 30/01/1997
avverso l'ordinanza del 15/11/2018 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA;
lette/sent-ite le conclusioni del PG
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 12710 Anno 2020
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: CASA FILIPPO
Data Udienza: 28/02/2020
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in funzione di giudice
dell'esecuzione, rigettava l'opposizione proposta ai sensi degli artt. 667, comma 4, e 676 cod.
proc. pen. da MULIERE Giuseppa, ROMANI Anna Maria, DI GREGORIO Simone, DI GREGORIO
Federica e DI GREGORIO Giannmario avverso il provvedimento in data 23.5.2017 con il quale la
stessa Corte, ad eccezione del dissequestro di una quota di usufrutto di un immobile in favore
di MULIERE Giuseppa, aveva respinto le rispettive richieste - riunite in un unico procedimento -
di restituzione di beni sottoposti a confisca ex art. 12-sexies I. n. 356/92 nell'ambito del
procedimento penale a carico di DI GREGORIO Mario, condannato con sentenza n. 6803/14
(irrevocabile il 1.4.2015) della suddetta Corte territoriale alla pena di sei anni, otto mesi di
reclusione e 33.333,00 di multa per traffico di ingente quantitativo di hashish (1,5 tonnellate),
commesso a Pomezia, loc. Torvajanica, il 21.10.2011.
2.
Avverso la citata ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, presentandosi,
tutti, come "terzi interessati" muniti di procura speciale, i suddetti MULIERE Giuseppa (madre
dell'imputato), ROMANI Anna Maria (ex moglie dell'imputato), DI GREGORIO Simone, DI
GREGORIO Federica e DI GREGORIO Giammario (figli dell'imputato), deducendo, con un unico,
articolato, motivo, violazione della legge penale con riferimento agli artt. 125, comma 3, e 321
cod. proc. pen., 12-sexies I. 356/92, 42 Cost. e 1 Prot. Add. CEDU.
2.1.
A proposito della capacità economica e patrimoniale del DI GREGORIO e dei suoi
familiari, giustificatrice dell'acquisto dei beni confiscati, si contesta, in primo luogo, alla Corte di
Appello di aver reso una "motivazione apparente" con riguardo alla valutazione della
documentazione concernente l'attività svolta dalle società costituite dai predetti in Spagna
(dalle quali i ricorrenti avrebbero tratto nel corso degli anni i loro mezzi di sostentamento), tale
da dimostrare l'effettiva esistenza delle stesse e la capacità di produrre utili.
In particolare, in relazione alla società "Dolce vite", esercente un ristorante ubicato a
Ibiza, si evidenzia la produzione di recensioni pubblicitarie, contratti di lavoro del personale
dipendente, nonché i certificati di esistenza in vita della società rilasciati dall'Agenzia tributaria
spagnola dal 2002 ad oggi.
Non poteva accettarsi, quindi, il passaggio motivazionale contenuto a pag. 11 del
provvedimento impugnato, in cui si afferma:
"pur dovendosi considerare che la società DOLCE
VITE negli anni si produsse nell'acquisto e nella successiva vendita di un appartamento, come
documentato in atti, non vi è prova della consistenza dell'attività lavorativa documentata dal
numero di prestatori di lavoro, rimasta allo stato meramente assertiva".
In altra parte del provvedimento impugnato si sarebbe omesso di dare atto di
un'ulteriore produzione documentale relativa all'operazione cd. "scudo fiscale" ex d.l. n.
78/2009.
2
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
2.2.
Il ricorso, poi, sviluppa il tema afferente al criterio della "ragionevolezza temporale"
che dovrebbe giustificare la confisca "allargata" per indurre a ritenere che i beni siano derivati
dalle condotte criminose oggetto di condanna.
Tale criterio sarebbe stato disatteso dal giudice dell'esecuzione in relazione agli acquisiti
immobiliari effettuati tra il 1996 e il 1998, ossia ben oltre dieci anni prima della data del
commesso reato (ottobre 2011).
Osservano i ricorrenti che una dilatazione temporale ultradecennale sarebbe
irragionevole, perché non consentirebbe loro di assolvere efficacemente all'onere probatorio su
di essi incombente (si evidenzia, tra l'altro, che è solo sino a 10 anni che le banche sono
obbligate a conservare documentazione in favore di terzi).
Rimproverano alla Corte di Appello di aver motivato, sul punto, in modo apodittico,
esclusivamente collegato alla tipologia del reato per il quale DI GREGORIO Mario era stato
condannato
("tali modalità del fatto, pur considerando che si trattò di un reato di evento
commesso nell'ottobre 2011, impongono di ritenere che l'attività di traffico di stupefacenti ebbe
inizio in un periodo di tempo di certo antecedente cosicché l'acquisizione dei beni non può
ritenersi talmente lontana dall'epoca di commissione del reato-spia da rendere ictu oculi
irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da un'attività illecita"),
segnalando
che il predetto era gravato da un unico precedente per ricettazione risalente al 1993.
2.3.
Contestano, poi, i ricorrenti la sostanziale "inversione" dei principi giuridici che
sovraintendono alla corretta applicazione della confisca allargata.
A loro avviso, sarebbe stato invertito l'onere probatorio, facendo ricadere sui terzi lo
stesso obbligo incombente al condannato, ovvero quello di dimostrare la legittimità del proprio
patrimonio alla luce della sproporzione tra i beni sottoposti a vincolo e il patrimonio dichiarato
al fisco.
La Corte di merito, anziché indagare le ragioni per le quali i singoli beni non avrebbero
potuto considerarsi nella effettiva disponibilità dei loro formali proprietari e partendo dal mero
presupposto del loro valore, comunque superiore al reddito dichiarato, aveva desunto una loro
implicita riconducibilità all'imputato (ovvero ai proventi derivati dalla sua attività illecita).
Tale approccio non era corretto, non solo perché determinava una illegittima inversione
dell'onere probatorio in capo ai terzi, ma soprattutto perché non teneva conto di alcune
circostanze documentali inconfutabili.
2.4.
Si sviluppano, poi, in ricorso, rilievi critici relativi ai singoli beni o alle categorie di
beni oggetto di confisca.
2.4.1.
Sull'immobile sito in Roma, alla via Sestio Calvino n. 44, piano 1°, int.
1,
del
quale ROMANI Anna Maria era titolare del diritto di usufrutto e DI GREGORIO Simone e DI
GREGORIO Federica titolari del diritto di nuda proprietà.
3
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Premesso che il bene fu acquistato successivamente alla separazione della ROMANI dal
DI GREGORIO Mario, non si poteva legittimamente sostenere che esso avesse un valore
incompatibile con le sue disponibilità economiche, posto che non erano mai state indagate le
capacità reddituali della ROMANI.
Quand'anche fosse stato plausibile che il DI GREGORIO avesse con suo capitale
contribuito all'acquisto della casa, la sua intestazione alla ex moglie, ormai separata in regime
di separazione di beni, ed ai figli, equivaleva a prova anche del contestuale spossessamento di
quel bene.
La Corte di Appello, sul punto, aveva speso un ragionamento illogico, poiché nel
momento in cui si affermava che l'intestazione della casa alla ROMANI poteva rappresentare
"un accordo patrimoniale fra coniugi riferito a oneri di mantenimento", implicitamente si
ammetteva, a chiare lettere, che quel bene era, comunque, sottratto alla disponibilità
dell'imputato.
2.4.2.
Sui beni nella titolarità di MULIERE Giuseppa.
Così come per il bene di cui sopra, anche per il negozio sito in Roma, piazza Roberto
Malatesta n. 255, destinato a esercizio commerciale (in relazione al quale era stata restituita la
quota di usufrutto, ritenuta legittima), e per i due conti correnti bancari accesi presso la Banca
del Fucino, agenzia di Roma, via Pietro Bonfante n. 60, si era preteso di considerarne
sproporzionato il valore senza tener conto delle attività svolte nel corso degli anni, né dei
redditi percepiti dal marito della MULIERE, oggi scomparso.
Anche in tal caso era stata violata la disciplina dell'onere probatorio.
Secondo la Corte di Appello, piuttosto contraddittoriamente, la MULIERE e suo marito
avrebbero avuto fondi leciti per acquistare la loro quota di usufrutto, ma non anche per pagare
la parte residua dell'immobile, acquistata mediante accensione di mutuo bancario a loro
intestato finanziato sostanzialmente dalle rendite di quello stesso locale (come verificabile
dai
versamenti mensilmente effettuati dal locatario sul medesimo c/c oggetto di confisca).
2.4.2.1.
La motivazione era inadeguata anche per i due conti correnti bancari.
Ad assumere rilevanza ai fini della confisca di un conto bancario non poteva essere la
movimentazione su questo effettuata nel corso del tempo, ma il suo saldo finale, in quanto
unico parametro che ne consentiva la valutazione ai fini della dimostrazione di una possibile
sproporzione.
Con questo
- si osserva in ricorso -
non si voleva affermare che eventuali
"movimentazioni sospette" non potessero essere prese in considerazione ai fini della
dimostrazione dell'utilizzo di quel conto da parte di un soggetto diverso dal formale intestatario,
ma semplicemente che se su quel conto erano confluite somme chiaramente lecite (come
i
canoni di affitto, la pensione sociale e il risarcimento danni per un sinistro subito), in assenza di
elementi certi che consentissero di distinguere la parte di provvista lecita da quella illecita,
4
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
l'esistenza di un saldo finale di entità assolutamente compatibile con le disponibilità del suo
formale intestatario non rappresentava un dato valutativo tale da consentire la confisca del
conto.
2.4.3.
Sui beni (immobili, mobili registrati„ conti correnti bancari, dossier titoli e
cassetta di sicurezza dettagliatamente indicati a pag. 4 del provvedimento impugnato) nella
titolarità di DI GREGORIO Simone, DI GREGORIO Federica e DI GREGORIO Giammario, figli e
coeredi del defunto DI GREGORIO Mario.
Se la Corte di merito affermava "che l'imputato fu autore di numerosi accrediti di ingenti
somme di denaro provenienti dalla Spagna", ciò non poteva che dimostrare la riconducibilità di
detti proventi alle attività lecite svolte all'estero dal predetto, essendo illogico pensare che chi
commetteva reati decidesse inspiegabilmente di versarne i proventi sui conti correnti italiani a
lui ricollegabili.
Anche in relazione a tali beni si era rivelato scorretto l'approccio del giudice
dell'esecuzione.
Ed invero, se un patrimonio veniva regolarizzato a fini tributari, ancorché accumulato in
un periodo storico in cui il suo possesso era assolutamente sproporzionato rispetto ai redditi
dichiarati, esso poteva essere legittimamente utilizzato per giustificare la liceità delle ricchezze
accumulate nel corso del tempo.
Nel caso di specie, in presenza di documentate e redditizie attività economiche
esercitate da tutti i soggetti coinvolti, anche all'estero, nonché di una procedura di rimpatrio di
capitali che aveva assolto agli oneri tributari previsti, i beni in questione (gran parte dei quali
entrati, comunque, nella disponibilità dei ricorrenti in un periodo notevolmente antecedente alla
data del commesso reato) non potevano in alcun modo considerarsi sproporzionati rispetto alla
loro effettiva capacità patrimoniale. Senza trascurare che, ad alimentare la convinzione che le
ricchezze possedute dalla famiglia DI GREGORIO fossero stati realmente i proventi leciti delle
attività professionali esercitate anche all'estero, vi era pure il dato per cui gran parte delle
movimentazioni riscontrate sui conti in sequestro risultavano avvenute attraverso canali ufficiali
del circuito bancario, il che non si conciliava con l'intento di dissimulare provviste provenienti
da reato.
L'ordinanza impugnata doveva, in conclusione, essere annullata.
3.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso
per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente ai beni formalmente
intestati e acquisiti
ab origine
da MULIERE Giuseppa, ROMANI Anna Maria, DI GREGORIO
Simone e Federica, rispetto ai quali il giudice dell'esecuzione doveva specificamente affrontare
la questione della fittizietà dell'intestazione e della riconducibilità dei beni nella disponibilità di
fatto del condannato.
5
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Sul punto, la Corte di merito si sarebbe limitata a rilevare l'insufficienza delle deduzioni
difensive sul punto della loro capacità reddituale, evidenziando la sproporzione di valore, così,
di fatto, imponendo al terzo una inversione dell'onere della prova, che, viceversa,
presupponeva, anzitutto, l'accertamento della disponibilità dei beni in capo al condannato e la
fittizietà dell'intestazione, tema sul quale la motivazione era assente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
Ritiene il Collegio opportuno, prima di esaminare i motivi di ricorso, svolgere alcune
premesse sull'applicabilità delle misure di sicurezza di carattere patrimoniale in caso di morte
dell'imputato dopo l'irrevocabilità della condanna.
1.1.
Occorre, anzitutto, ricordare che, in tema di misure di sicurezza personali, vige il
principio posto ,dall'art. 210 cod. pen., in base al quale l'estinzione della pena (nel caso di
specie, dagli atti in possesso di questa Corte si evince che la morte del DI GREGORIO si
sarebbe verificata dopo che la condanna per il reato di cui agli artt. 73-80 d.P.R. n. 309/90 era
divenuta definitiva) impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza (e, in talune occasioni,
pure l'esecuzione di quelle già disposte).
Tale principio opera anche nei riguardi delle misure di sicurezza patrimoniali (v. cauzione
di buona condotta), fatta eccezione per la confisca, così disponendo espressamente l'art. 236
cod. pen.
Deve ribadirsi, dunque, che la morte dell'imputato dopo la irrevocabilità della condanna
- quale causa di estinzione della pena - non è di ostacolo né alla "applicazione" della confisca,
né alla sua "esecuzione", ove la applicazione sia già stata disposta prima dell'evento estintivo
(Sez. 1, n. 3098 del 3/12/2014, dep. 22/1/2015, Iannonte, Rv. 262173 — 01; Sez. 5, n. 9576
del 25/1/2008, P.G. in proc. Doldo e altri, Rv. 239117 - 01).
1.2.
Il non essere di ostacolo non significa, peraltro, che al detto evento la confisca
segua in ogni caso.
Secondo il ragionamento sviluppato dalle Sezioni unite sul rapporto tra confisca e cause
di estinzione del reato (Sez. U, n. 5 del 25/3/1993, Carlea, Rv. 193120), può osservarsi,
semmai, che in presenza della causa di estinzione della pena, la quale presuppone una
condanna definitiva, i termini di applicabilità della confisca sono quelli fissati dalla singola
norma che la prevede: nel caso di specie, per l'appunto, l'art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992,
convertito, con mod., dalla I. n. 356 del 1992 (ora riprodotto, con parziali modifiche, nell'art.
240-bis cod. pen.).
Tale norma, come noto, sancisce una ipotesi di confisca obbligatoria (cd. "allargata"), a
determinate condizioni oggettive (condanna per uno dei reati elencati; sproporzione del valore
dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto; mancata giustificazione della
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lecita provenienza dei beni stessi: Sez. U, n. 920 ,del 17/12/2003, dep. 19/1/2004, Montella,
Rv. 226490-226491-226492 - 01), di beni del condannato, anche se intestati a terzi.
Rispetto all'istituto di carattere generale di cui all'art. 240 cod. pen., la possibilità di
applicare siffatta speciale tipologia di confisca anche a seguito di estinzione della pena trova
una spiegazione aggiuntiva nel fatto, sottolineato dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n.
29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 219221 - 01), che essa unisce la funzione repressiva
propria di ogni misura di sicurezza patrimoniale a quella, preminente, derivata dallo schema
della affine misura di prevenzione patrimoniale antimafia prevista dall'art. 2-ter I. n. 575 del
1965 (ora art. 24 d.lgs. n. 159/2011), "di ostacolo preventivo teso ad evitare il proliferare di
ricchezza di provenienza non giustificata, immessa nel circuito di realtà economiche a forte
influenza criminale. Realtà che il legislatore ha inteso neutralizzare colpendo le fonti di un
flusso sotterraneo sospetto in rapporto alle capacità reddituali di soggetti condannati per
determinati delitti, sintomatici di contiguità 'mafiosa'. Salva, beninteso, la contraria
dimostrazione da parte di costoro della provenienza dell'accumulo che superi la presunzione
"iuris tantum", per il nesso intravisto dal legislatore tra soggetto condannato per determinati
delitti e il suo patrimonio ingiustificato".
2.
Ciò premesso, deve rilevarsi che, nel caso in esame, il primo presupposto della
misura di sicurezza patrimoniale, costituito dalla condanna dell'imputato per il reato ex artt.
73-80 d.P.R. n. 309/90, è integrato perché la sentenza è stata pronunciata.
2.1.
L'assunto non è scalfito dal rilievo, che peraltro nessun ricorrente ha dedotto, per
cui, a partire dall'entrata in vigore del d.lgs.
10
marzo 2018, n. 21 ("Disposizioni di attuazione
del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1,
comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103"), il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n.
309/90 non risulta più incluso nel catalogo dei delitti che, in caso di condanna o applicazione di
pena concordata a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., giustificano l'applicazione della confisca
"allargata".
Ed invero, come già poc'anzi accennato, tale tipologia di confisca, diversamente dalla
confisca "per equivalente", di cui è stata riconosciuta la natura eminentemente sanzionatoria
(Sez. 3, n. 18311 del 6/3/2014, Cialini, Rv. 259103 - 01; Sez. 2, n. 28685 del 5/6/2008, P.M.
in proc. Chinaglia, Rv. 241111 - 01; Ord. n. 97/2009 C. Cost.), esplica una funzione
precipuamente preventiva e, quindi, mantiene le caratteristiche proprie della misura di
sicurezza patrimoniale, ancorché atipica, dal che discende che essa non è soggetta al principio
di irretroattività della norma penale di cui agli artt. 25 Cost. e 2 cod. pen., quanto piuttosto alla
disposizione dell'art. 200 cod. pen. - riferibile alla confisca per il richiamo operato dall'art. 236
cod. pen. - secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al
momento della loro applicazione (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone e altro, Rv. 254698
- 01; Sez. 6, n. 25096 del 6/3/2009, Nobis e altro, Rv. 244355 - 01; Sez. 1, n. 8404 del
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15/1/2009 Bellocco e altri Rv. 242862 - 01; v., con riferimento alla "affine" misura della
confisca di prevenzione, Sez. 2, n. 49772 del 17/10/2018, Italfondiario s.p.a., Rv. 275512 -
02; Sez. 2, n. 30938 del 10/6/2015, Annunziata e altro, Rv. 264173 - 01).
Tale interpretazione offerta all'istituto della confisca atipica e la sua soggezione al
disposto dell'art. 200 cod. pen., in quanto non avente natura di "pena", non integrano una
violazione dell'art. 7 CEDU, senza che al riguardo possano porsi dubbi di costituzionalità, già
risolti negativamente da Corte Cost. n. 53 del 1968 (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, cit.).
2.2.
Incarnando i principi nella vicenda in esame, va detto che la confisca atipica nel
giudizio penale a carico di DI GREGORIO Mario è stata legittimamente disposta, in quanto, al
momento della sua applicazione, il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/90 era annoverato
nell'elenco di delitti la condanna per i quali giustificava l'applicazione della confisca suddetta.
La irrevocabilità in data 1.4.2015 della decisione di condanna, concernente anche la
confisca, esclude, in forza dell'art. 200 cod. pen. (incompatibile con la disciplina di cui all'art. 2
cod. pen.), l'influenza su di essa, in sede di esecuzione, della norma "più favorevole"
sopravvenuta nel 2018, che ha espunto il delitto suindicato dall'elenco in questione.
3.
Proprio la definitività della decisione sulla confisca rende inammissibili i ricorsi
proposti da DI GREGORIO Simone, DI GREGORIO Federica e DI GREGORIO Giammario con
riguardo ai beni ereditati dal defunto padre DI GREGORIO Mario, elencati in dettaglio alla pag.
4 del provvedimento impugnato .
Va ribadito, al riguardo, che la confisca di cui all'art. 12 sexies I. n. 356/1992, è
applicabile anche nei confronti degli eredi a seguito della morte della persona condannata con
sentenza irrevocabile per uno dei delitti previsti dalla norma, atteso che gli stessi non rientrano
nella categoria dei "terzi estranei" ai quali la cosa appartiene di cui all'art. 240 cod. pen.,
poiché un loro eventuale diritto sul bene oggetto della richiesta di restituzione dovrebbe
derivare, "jure hereditario", da analogo diritto del dante causa, che è, tuttavia, insussistente in
concreto, in conseguenza della sua estinzione dipendente proprio dalla confisca, che ha
determinato il trasferimento del bene nel patrimonio dello Stato.
Nel caso di specie, essendo i beni in discussione transitati nella sfera patrimoniale dello
Stato a causa dell'applicazione della confisca, divenuta definitiva, al momento (successivo)
della morte del condannato (avvenuta nel 2016) essi non facevano più parte dell'asse
ereditario, e, conseguentemente, non potevano formare oggetto di nessuna aspettativa da
parte dei figli del
de cuius
né essere oggetto di una richiesta di restituzione con incidente di
esecuzione (Sez. 6, n. 27343 del 20/5/2008, Ciancirnino, Rv. 240584 - 01; Sez. 1, n. 5262 del
25/9/2000, Todesco e altri, Rv. 220007 - 01).
La carenza di legittimazione degli eredi di DI GREGORIO Mario, che avrebbe dovuto
indurre il giudice dell'esecuzione a dichiarare inammissibile la loro istanza di restituzione e non
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
a rigettarla, entrando nel merito, rende altrettanto inammissibili i ricorsi per cassazione
proposti, con le conseguenze di legge nei termini di cui si dirà.
4.
Il ricorso di MULIERE Giuseppa - rispetto alla quale non si pongono questioni di
derivazione di beni da diritto ereditario - va, invece, rigettato.
4.1.
E' noto che l'art. 12-sexies consente di sottoporre a confisca anche i beni intestati a
terzi diversi dall'imputato condannato, ma di cui questi abbia nella realtà dei fatti la titolarità o
la disponibilità secondo un meccanismo di interposizione fittizia, tale per cui l'appartenenza al
terzo costituisce lo schermo formale e legale che, attraverso l'intestazione dei beni, cela il vero
titolare o fruitore e protegge gli interessi del condannato interponente alla conservazione di
quei cespiti patrimoniali immuni da provvedimenti giudiziali aventi effetto ablatorio.
In questo caso, prima ancora che investigare sull'accumulazione illecita, si impone in via
pregiudiziale l'accertamento dell'effettiva interposizione fittizia tra terzo ed imputato, da
condurre su impulso dell'Accusa, che è gravata del relativo onere, sulla scorta dei dati fattuali
disponibili, ossia dei rapporti personali, .di coniugio, parentela, amicizia tra costoro, delle
situazioni patrimoniali e reddituali, delle attività svolte, insomma mediante l'utilizzo anche di
elementi indiziari, purché connotati dai requisiti di pluralità, gravità, precisione e concordanza
stabiliti dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., in modo da dimostrare la discrasia esistente
tra formale titolarità e reale appartenenza dei beni.
Tale operazione nei confronti del terzo, per quanto la confisca di cui all'art. 12-sexies d.l.
n. 306/92 non postuli l'esistenza di un nesso eziologico di derivazione dei beni dal reato
accertato, non può essere agevolata dalla presunzione relativa fondata sulla sproporzione dei
valori, ma richiede uno sforzo dimostrativo analogo a quello preteso per l'accertamento
giudiziale di qualsiasi fatto di giuridica rilevanza (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone e
altro, Rv. 254699 - 01; Sez. 6, n. 42717 del 5/11/2010, Noviello, Rv. 248929 - 01; Sez. 1, n.
27556 del 27/5/2010, Buompane, Rv. 247722 - 01; Sez. 1, n. 8404 del 15/1/2009, Bellocco,
Rv. 242863 - 01; Sez. 2, n. 3990 del 10/1/2008, Catania, Rv. 239269 - 01).
4.2.
Calando i principi enunciati nella vicenda in esame, ritiene il Collegio che sia stata
adeguatamente dimostrata la titolarità solo formale in capo alla MULIERE del c/c bancario n.
01/015/00048701/06 acceso presso la Banca del Fucino, agenzia di Roma, via Pietro Bonfante
n. 60 e del collegato rapporto titoli n. 12/015/00295400/04, acceso presso la medesima
agenzia.
4.2.1.
Ciò non solo per la delega ad operarvi, conferita dalla MULIERE - per quanto
risulta - senza limiti al figlio DI GREGORIO Mario (v. Sez. 2, n. 29692 del 28/5/2019, Tognola,
Rv. 277021 - 01), quanto per la continua presenza di movimentazioni, da parte dell'imputato,
di cifre incompatibili con le sue capacità reddituali ed economiche, per come dimostrate dalle
dichiarazioni dei redditi presentate negli anni, che hanno indicato nessun reddito dal 1993 al
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
1998 e cifre di poco superiori agli 8.000,00 euro per gli anni dal 1999 in avanti, derivanti da
reddito di fabbricati e canone di locazione.
Di contro, il conto corrente in questione e il rapporto titoli che da esso si alimentava (e
su di esso faceva confluire i proventi della vendita di titoli) hanno registrato - evidenzia la
Corte di Appello - movimentazioni complessive di somme di denaro, riconducibili a singole
operazioni poste in essere personalmente dal DI GREGORIO, nell'ordine di euro 820.578,49,
con versamenti per contanti di euro 150.000,00 e bonifici all'estero per l'imputato per
complessivi euro 80.000,00 rilevati dal 28 marzo al 28 aprile 2008.
Oltre alla personale movimentazione di cifre ingenti, incompatibili con la posizione fiscale
dichiarata, milita per la disponibilità di fatto, e in modo continuativo, del conto corrente
de quo
in capo al condannato la significativa circostanza del bonifico mensile di euro 750,00 effettuato
dal medesimo a favore della ex moglie ROMANI Anna Maria a partire dall'anno 2000 in cui
venne dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, circostanza, quest'ultima,
chiaramente rivelatrice dell'uso del conto da parte del DI GREGORIO con esercizio di poteri
fattuali
uti dominus.
4.2.2.
A fronte di tali univoche circostanze, correttamente la Corte ha relegato in ambito
di ininfluenza probatoria la presenza, sul medesimo conto, di modesti proventi percepiti dalla
MULIERE (pensione INPS di euro 9.125,00 lordi e canoni di locazione non elevati), ovvero della
giacenza, al momento del sequestro preventivo disposto nel 2011, di euro 21.000,00 circa.
4.2.3.
Quest'ultima cifra, d'altro canto, in modo del tutto ragionevole è stata valutata
dal giudice dell'esecuzione come non apprezzabile, da sola, a dimostrare - sebbene non
radicalmente incongrua rispetto ai redditi percepiti dalla MULIERE - la titolarità effettiva, oltre
che formale, del conto corrente in capo alla medesima, atteso che il saldo finale attivo
costituisce, all'evidenza, un singolo elemento di natura contabile che va, però, inquadrato, per
comprenderne l'esatto significato probatorio, nel più ampio contesto, adeguatamente
considerato dalla Corte capitolina, delle emergenze complessive del conto, in poche parole,
nella sua "storia dinamica", storia che, come detto, parla con la voce dominante di DI
GREGORIO Mario come titolare effettivo del rapporto bancario e del connesso dossier titoli.
4.2.5.
Ciò detto, passando al diverso tema della sproporzione tra somme movimentate
dal DI GREGORIO e capacità reddituale ed economica del medesimo, devono stimarsi immuni
da manifesti vizi di illogicità e contraddittorietà le considerazioni svolte dai Giudici di merito
nell'escludere, per insufficienza di prove al riguardo, dal computo dei redditi prodotti dal
condannato i prospettati proventi delle attività, asseritamente lecite, svolte dalle sue società
costituite in Spagna, la cui entità, a detta della difesa, si sarebbe dovuta desumere da un
calcolo aritmetico fondato sull'importo di euro 82.219,00, accreditato nel 2009 su un conto
della Banca del Fucino con la causale "pagamento imposta straordinaria d.l. n. 78/09", importo
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
da cui si sarebbe dovuta inferire una disponibilità finanziaria del DI GREGORIO in Italia, a
partire dal 2009, di euro 1.644.380,00.
Sul punto, corretto si rivela l'argomentare del giudice dell'esecuzione, laddove
sottolinea, da un lato, che dalla regolarizzazione fiscale del suddetto capitale non consegue, di
per sé, la liceità della sua accumulazione e, dall'altro, che, in assenza di produzione di scritture
e documentazione contabili di provenienza certa, nonostante l'oggetto delle attività indicate
nell'atto costitutivo favorisse la tracciabilità delle transazioni commerciali con i terzi, non era
possibile dimostrare il periodo di formazione del reddito in modo da correlarlo alle date degli
acquisti dei beni confiscati e della movimentazione delle somme sui conti correnti menzionati.
Del tutto conseguenziale, sul piano logico, a ulteriore corroborazione del ragionamento
seguito, si rivela, quindi, la considerazione della Corte capitolina sulla circostanza per cui,
anche dopo il rientro dei capitali dall'estero avvenuto nel 2009, il DI GREGORIO continuò, nel
2010, a dichiarare ai fini delle imposte di aver percepito il modestissimo reddito di euro
8.211,00, derivante da reddito di fabbricati e canone di locazione e lontanissimo dalla
disponibilità finanziaria vantata.
Ma vi è di più.
4.2.5.1.
Nel provvedimento impugnato si legge che l'analisi delle attività societarie e dei
redditi presuntivamente prodotti all'estero risulta sviluppata in una consulenza tecnica di parte,
valorizzata dalla difesa alla stregua di "prova nuova".
Tale prospettazione, tuttavia, presupporrebbe la veicolazione dell'istanza di restituzione
dei beni confiscati ex art. 12-sexies I. n. 356/92 come sostanziale istanza di revocazione ai fini
della revisione, analoga a quella oggi prevista per le misure di prevenzione patrimoniali dall'art.
Al riguardo, occorre richiamare e ribadire il principio già affermato da questa Corte, cui
si intende dare continuità, secondo il quale la confisca disposta ai sensi dell'art. 12-sexies con
sentenza definitiva non può essere revocata dal giudice dell'esecuzione, non essendo
contemplato tale potere dall'art. 676 cod. proc. pen. e non potendosi applicare in tale ipotesi la
disciplina della revoca prevista per le misure di prevenzione patrimoniali (Sez. 1, n. 28525 del
24/9/2018, Marongiu, Rv. 276491 - 01; Sez. 1, n. 26852 del 10/6/2010, Cavallaro, Rv.
247726 - 01; Sez. 1, n. 3877 del 20/1/2004, La Mastra, Rv. 227330 - 01).
Inoltre, quand'anche fosse stata ammissibile tale modalità d'introduzione dell'istanza,
non avrebbe potuto costituire "prova nuova" una consulenza tecnica contenente una diversa
valutazione tecnico-scientifica di dati già valutati, in quanto essa si tradurrebbe in
apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e delibate nel procedimento (Sez.
6, n. 3943 del 15/01/2016 Bonanno Rv. 267016 - 01).
4.2.6.
Infine, non è seriamente discutibile - e infatti non viene specificamente dedotto
con riferimento alle somme confiscate su conto e rapporto titoli intestati alla MULIERE - il
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(Th
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
rispetto, da parte del giudice dell'esecuzione, del criterio dell'ambito di ragionevolezza
temporale (Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, Grillo, Rv. 274468 - 01; Sez. F. n. 56596 del
3/9/2018, P.G. in proc. Balsebre, Rv. 274753 - 03; Sez. 3, n. 52055 del 3/10/2017, Monterisi
e altro, Rv. 272420 - 01; Sez. 1, n. 34136 del 13/6/2014, Balsebre, Rv. 261202 - 01), atteso
che, come già posto in risalto, le movimentazioni di cifre ingenti da parte del DI GREGORIO si
spingono, quanto meno, fino al 2008, anno non lontano dal 2011 in cui venne da lui commesso
il reato oggetto di condanna.
4.3.
Non è dato comprendere le ragioni che giustificherebbero un qualsivoglia diritto
alla restituzione della MULIERE rispetto all'immobile, destinato a esercizio commerciale, ubicato
in Roma, piazza Roberto Malatesta n. 255, piano terra.
Si legge nel provvedimento che sul bene, acquistato il 23.4.1998 daY DI GREGORIO
Mario come nudo proprietario, venne riconosciuto alla MULIERE e al marito (genitori
dell'imputato) il diritto di usufrutto congiunto al 50% con reciproco accrescimento a favore del
coniuge più longevo.
Essendo premorto il coniuge, la MULIERE acquisì il diritto di usufrutto del bene per
l'intera quota, diritto di usufrutto che le è stato restituito nel procedimento di esecuzione in
esame.
Pertanto, non rientrando la ricorrente, stando alle risultanze processuali, nel novero
degli eredi, nessun diritto le poteva spettare sul bene citato, diritto che, viceversa, sarebbe
spettato ai figli del condannato se, per quanto già evidenziato nella parte d'interesse, non fosse
intervenuta la preclusione del giudicato sulla confisca, che ha determinato, ancor prima della
morte del DI GREGORIO, l'irreversibile trasferimento di tutti i beni intestati formalmente al
predetto nel patrimonio dello Stato e la loro conseguenziale esclusione dall'asse ereditario.
4.4.
Il ricorso della MULIERE va, in conclusione, rigettato, dal che consegue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5.
A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo all'appartamento ubicato in Roma,
alla via Sestio Calvino n. 44, piano primo, interno 1, del quale sono titolari della nuda proprietà
DI GREGORIO Simone e DI GREGORIO Federica e titolare del diritto di usufrutto ROMANI Anna
Maria, rispettivamente figli ed ex moglie dell'imputato.
Il bene risulta acquistato nel dicembre 1996: la ROMANI acquistò l'usufrutto per £
178.500.000 e i figli acquistarono la nuda proprietà dell'immobile per £ 31.500.000 previa
autorizzazione del giudice tutelare.
Sul tema pregiudiziale della fittizietà dell'intestazione - in assenza della quale non è
giustificabile la confisca - il ragionamento della Corte di merito è, al tempo stesso, carente e
contraddittorio.
Carente, perché, dopo aver ritenuto, apoditticamente, "non accoglibile" la tesi della
regalia del denaro necessario all'acquisto da parte dell'imputato, che in tal modo si è spogliato
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
del bene perdendone la disponibilità, ha affermato, non chiarendo in cosa consistesse la
differenza, che "non si trattò di donazione ma di provvista fornita dall'imputato tramite un
prestanome per dotare di un immobile la moglie e i due figli comuni".
Contraddittoria, perché, sebbene abbia, infine, ritenuto logicamente plausibile la tesi
difensiva prospettante "un accordo patrimoniale fra i coniugi riferito a oneri di mantenimento"
in vista della imminente separazione, ha omesso di spiegare perché, alla stregua di tale chiave
di lettura, giudicata non illogica, dovesse reputarsi fittizia e non rispondente (anche) a poteri di
fatto sul bene la titolarità dell'usufrutto e della nuda proprietà rispettivamente in capo alla ex
moglie e ai due figli.
6.
Per tali vizi della motivazione, l'ordinanza impugnata, va,
in parte qua,
annullata, con
rinvio per nuovo esame che tenga conto delle incongruenze rilevate.
7.
Il parziale accoglimento dei ricorsi proposti da DI GREGORIO Simone e DI GREGORIO
Federica, nel resto dichiarati inammissibili, esclude la condanna dei medesimi al pagamento
delle spese processuali, mentre DI GREGORIO Giamnnario, il cui ricorso va dichiarato
inammissibile
tout court
(in quanto non interessato alla vicenda dell'immobile poco prima
trattata), va condannato anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle
ammende, che si stima equo indicare in euro tremila.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla domanda relativa all'immobile sito in
Roma, via Sestio Calvino, n. 44, piano primo, interno 1, distinto nel N.C.E.U. del Comune di
Roma, foglio 965, particella 546, subalterno 501, e rinvia per nuovo esame al riguardo alla
Corte di Appello di Roma.
Rigetta il ricorso di MULIERE Giuseppa, che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di DI GREGORIO Simone, DI GREGORIO Federica e DI
GREGORIO Giannmario con riguardo ai beni ereditati da DI GREGORIO Mario, condannando DI
GREGORIO Giammario al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2020
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