n. 202 SENTENZA 3 - 18 luglio 2013 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 5, comma 5, e 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato) promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel procedimento vertente tra S.B. e il Ministero dell'Interno ed altra, con ordinanza del 16 luglio 2012 iscritta al n. 223 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2012. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza emessa il 14 giugno 2012 e depositata il 16 luglio 2012 (iscritta al n. 223 del registro ordinanze 2012), il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli articoli 5, comma 5, e 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato), in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nonche' all'art.117, primo comma, Cost. con riferimento all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), d'ora innanzi CEDU. 2.- Il Tribunale rimettente premette che la questione portata all'esame della Corte ha origine da un giudizio per l'annullamento del decreto emesso in data 2 aprile 2012 dal Questore di Venezia, con il quale e' stata respinta l'istanza del ricorrente, cittadino di un Paese non appartenente all'Unione europea, volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Il provvedimento amministrativo di diniego e' fondato su un giudizio di pericolosita' sociale dell'istante desunto da una precedente espulsione disposta il 15 febbraio 1992, da un «deferimento» all'autorita' giudiziaria per il reato di «appropriazione indebita», risalente all'anno 2006, e da una condanna in materia di stupefacenti, riportata in data 22 gennaio 2010 e relativa a fatti del 2002, per la quale pende ancora appello. Il TAR ritiene che il giudizio di pericolosita' sociale non possa ritenersi adeguatamente motivato, in considerazione della risalenza nel tempo dei fatti addebitati e dell'inerzia mantenuta in questi anni dalla pubblica amministrazione. Cio' nondimeno, l'automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno - dovuto alla subita condanna, anche se non definitiva, relativa a un reato in materia di stupefacenti - avrebbe ugualmente comportato, ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, la reiezione del ricorso. Infatti, simile automatismo ostativo alla permanenza sul territorio nazionale sarebbe escluso solo per i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dagli artt. 5, comma 5, e 9 del citato d.lgs. n. 286 del 1998, per i quali soltanto la decisione sull'allontanamento dal territorio nazionale e' subordinata a una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, che deve tenere conto della durata del soggiorno, del grado di inserimento dello straniero e dei suoi legami familiari. 2.1.- Piu' precisamente, l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che «Non e' ammesso in Italia lo straniero che (...) risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite. Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale. Lo straniero per il quale e' richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, non e' ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone». L'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, stabilisce poi che «Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarita' amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonche', per lo straniero gia' presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale». L'art. 9 del medesimo decreto legislativo prevede, al comma 4, che «Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non puo' essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosita' si tiene conto anche dell'appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonche', limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresi' della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero». Il successivo comma 11 dello stesso art. 9 stabilisce, inoltre, che: «Ai fini dell'adozione del provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto anche dell'eta' dell'interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di tali vincoli con il Paese di origine». Secondo il Tribunale rimettente, il tenore formale delle citate disposizioni e la loro interpretazione sistematica, alla luce delle direttive europee di cui costituiscono recepimento - direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE (Direttiva del Consiglio relativa al ricongiungimento familiare) e direttiva del Consiglio 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano...

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