N. 183 SENTENZA 7 - 10 giugno 2011

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Paolo MADDALENA;

Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO,

Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 62-bis, secondo comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 1, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di M.S.R. con ordinanza del 28 aprile 2009, iscritta al n.

174 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2010.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto 1. - Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, con ordinanza del 28 aprile 2009, pervenuta a questa Corte il 24 dicembre 2009 (r.o. n. 174 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 62-bis, secondo comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 1, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), 'nella parte in cui, nel caso di recidivo reiterato ex art. 99, quarto comma, cod. pen., chiamato a rispondere di taluno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., per il quale sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di fondare sui parametri di cui al secondo comma dell'art. 133 cod. pen., in particolare sul comportamento susseguente al reato, la concessione dell'attenuante di cui all'art. 62-bis, primo comma, cod. pen.'.

Come ricorda il giudice a quo, in un giudizio abbreviato nei confronti, tra gli altri, di M. S. R., imputato di numerosi reati (omicidio premeditato, soppressione di cadavere aggravata, rapina aggravata, detenzione e porto illegale di armi, anche con matricola abrasa, ricettazione, incendio doloso, tentato incendio doloso, contraffazione di documenti e costituzione di associazione per delinquere armata), commessi tra l'agosto del 2007 e l'aprile del 2008, il pubblico ministero aveva chiesto l'applicazione a M. S. R.

delle attenuanti generiche, in considerazione della collaborazione fornita nel corso delle indagini, e aveva eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 62-bis, secondo comma, cod. pen. per violazione degli artt. 27 e 3 Cost.

Il rimettente rileva che effettivamente le attenuanti generiche non potrebbero essere applicate perche' l'imputato, 'recidivo reiterato', deve tra l'altro rispondere di uno dei delitti (quello di cui agli artt. 575 e 577 cod. pen.) previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., puniti con pena non inferiore nel minimo a cinque anni, per i quali le attenuanti generiche possono essere fondate solo sui parametri di cui all'art. 133, primo comma, numeri 1) e 2), cod. pen., e non anche su quelli di cui al secondo comma dello stesso art. 133, comprendente tra l'altro la condotta susseguente al reato, nel cui ambito puo' farsi rientrare (ove non specificamente prevista come causa di attenuazione di pena) la collaborazione prestata in fase di indagini.

La disciplina prevista dall'art. 62-bis, secondo comma, cod. pen.

sembra al rimettente in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto, in primo luogo, tanto il legislatore, nell'esercizio dell'ampia discrezionalita' di cui dispone nella configurazione dei reati e delle circostanze aggravanti o attenuanti e nella previsione dei limiti edittali, quanto il giudice, che deve procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell'esercizio del suo potere discrezionale, 'non possono prescindere dalla considerazione delle finalita' della pena, in primis dalla necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato'. Muovendo dall'analisi della sentenza n.

313 del 1990, il giudice a quo richiama l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la finalita' rieducativa rileva sia nella fase dell'esecuzione penale, sia in quella della sua previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il terzo comma dell'art. 27 Cost. vincoli sia il legislatore, sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza; d'altra parte - soggiunge il rimettente - sul piano della disciplina positiva, si era significativamente stabilito che la finalita' risocializzante dovesse essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della pena detentiva, agli effetti degli artt.

53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, segno evidente di 'una diretta influenza, per cosi' dire ontologica, della rieducazione e della risocializzazione'.

In secondo luogo, nella prospettazione del rimettente, viene in rilievo la giurisprudenza costituzionale sulla legittimita' delle pene fisse (sentenze n. 50 del 1980 e n. 299 del 1992), secondo cui 'l'individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex art. 25, secondo comma,

Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge'. Secondo il giudice a quo, in forza dell'orientamento della Corte costituzionale, l'adeguamento della pena ai casi concreti contribuirebbe a rendere il piu' possibile personale la responsabilita' penale e ad assicurare la sua finalizzazione rieducativa; sarebbe cosi' perseguita anche l'uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della stessa rispetto alle responsabilita' personali e alle esigenze di risposta che ne conseguono.

La possibilita' di applicare le attenuanti generiche rappresenterebbe lo strumento tradizionalmente piu' duttile, per consentire al giudice di adeguare la pena alle peculiarita' del caso concreto, al di sotto dei limiti edittali. Il giudice, infatti, puo' prendere in considerazione circostanze diverse da quelle tipizzate, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena e a tal fine deve avere riguardo, in linea di massima, ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen., come ritiene, sia pure sulla base di pronunce divergenti su alcuni aspetti, la giurisprudenza della Corte di cassazione. L'art. 133 cod. pen., rimarca il giudice a quo, 'delimita l'ambito della discrezionalita' del giudice, ancorandola alla valutazione della gravita' del reato e della capacita' a delinquere del reo, l'una e l'altra desumibili dalla valutazione sintetica dei parametri all'uopo individuati'. In questa prospettiva si comprende come la concessione o meno delle attenuanti generiche debba basarsi su una valutazione globale della gravita' del fatto e della capacita' a delinquere, se del caso lumeggiata da un elemento che in concreto assume carattere prevalente, sia pure ai fini del diniego dell'applicazione.

In questo quadro si colloca la disposizione del secondo comma dell'art. 62-bis cod. pen., come sostituito dalla legge n. 251 del 2005: ricorrendo l'ipotesi della recidiva reiterata in relazione a taluno dei delitti indicati, sarebbe stata introdotta, secondo il rimettente, una sorta di presunzione di preponderanza del parametro negativo costituito dai precedenti dell'imputato, presunzione che puo' essere vinta solo dal riferimento alla natura, alla specie, ai mezzi, all'oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalita' dell'azione, ovvero dal riferimento alla gravita' del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato. Secondo il rimettente questa disciplina tradisce la ratio complessiva della norma dettata dal primo comma dell'art. 62-bis cod. pen. e, soprattutto, il senso del riferimento all'art. 133 cod. pen., che implica una valutazione discrezionale dei parametri delineati, in modo da adeguare al caso concreto il giudizio sulla gravita' del reato e sulla capacita' a delinquere del reo: la rigida preclusione introdotta dalla novella del 2005 'espropria il giudice del potere di valutare adeguatamente le peculiarita' del caso concreto e pervenire cosi' alla definizione del trattamento sanzionatorio piu' conforme alle esigenze di risocializzazione e di rieducazione del reo (il che, come nel caso di specie, finisce per...

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