La Rivendicazione delle somme dichiarate illegittimamente maggiorate in tempo di equo canone: disciplina, con una qualche confusione, ex art. 79 L. 392/78

AutoreLuigi Tiscornia
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Che nella materia di cui si tratta regni un qualche disordine è noto: da attribuirsi in primis al numero di procedure che sulla questione (la rivendicazione dei canoni corrisposti in più rispetto alle prescrizioni dell'equo canone) hanno invaso da tempo le aule giudiziarie.

È peraltro da aggiungersi come anche la Cassazione finisca per arrecare, alla confusione, un suo involontario autorevole contributo, con qualche sua sentenza non del tutto chiara, una delle quali - la 10128 del 26 maggio 2004 (in questa Rivista 2004, 669) celebre porta bandiera per tutte - ha, per intanto, un suo effetto caratteristico. Perché - premesso che essa è rimasta unica: non confermata - i Giudici di merito non ne applicano qualche sua parte (si veda ad esempio le decisioni in rassegna del Tribunale di Genova nn. 3178 e 3258), altri la contestano, chiaramente e più o meno diffusamente, motivando. Ed è questo il grande merito, verrebbe a dirsi, delle due sentenze qui all'esame.

Una sorpresa in ordine alla precitata sentenza 10128 della Cassazione si ha, per prima, ove la si legga cominciando dal fondo, laddove cioè si dice che una interpretazione rigorosa dell'art. 79 diventerebbe «irragionevole, visto che esso sarebbe posto a carico del solo conduttore e senza la previsione di analoga decadenza in danno del locatore in relazione alle sue pretese e creerebbe una ingiustificata situazione tra le parti».

In realtà della questione di legittimità costituzionale dell'art. 79 il Pretore di Roma aveva investito laPage 60 Corte delle leggi - già una dozzina d'anni fa - sul rilievo che nessuna norma «prevede un termine di decadenza per l'esperimento dell'azione del locatore volta a ottenere canoni non percepiti, al pari di quanto previsto per l'azione del conduttore in caso di ripetizione di canoni versati in misura maggiore del dovuto».

E, puntuale, la Corte cost. - con la decisione 13 aprile 1994 n. 141, che è invece a sua volta la portabandiera della ragionevolezza - aveva respinto, per essere manifestamente infondata, «l'asserita sostanziale omogeneità delle due situazioni».

Ma la sentenza de qua oggi ignora tutto. E si caratterizza al massimo per un'altra conclusione: quella secondo la quale l'art. 79 L. 392/78 costituisce termine di decadenza.

Anche quando la decadenza non era presente nel Codice, migliaia e migliaia, nel tempo, di cittadini italiani, affacciatisi nei meandri della Pubblica Amministrazione o raggiunti dagli Uffici della Finanza, ne erano risultati, in nome della decadenza, distrutti: di talché aveva finito ormai per crearsi, nell'immaginario collettivo, l'immagine della decadenza come quella di una creatura mostruosa drammaticamente inesorabile.

Appare interessante, a questo punto, riandare brevemente all'antiquariato...

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