La Riparazione per ingiusta detenzione nell'ambito di un procedimento di estradizione passiva

AutoreMario De Giorgio
Pagine698-702

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La sentenza in commento si occupa di una problematica peculiare e di indubbio interesse, in particolare alla luce del recente recepimento nel nostro ordinamento della normativa sul Mandato di Arresto Europeo.

Nel caso di specie un cittadino bulgaro aveva avanzato istanza di riparazione per ingiusta detenzione per essere stato privato della libertà personale nell'ambito di un procedimento di estradizione passiva. In particolare, la Procura della Repubblica di Timisoara (Romania) aveva spiccato un ordine di arresto (diramato tramite Interpol) nei confronti di un individuo (le cui generalità effettivamente corrispondevano a quelle del cittadino bulgaro) ricercato per aver commesso gravissimi reati nel territorio rumeno; la Polizia di Pistoia provvedeva quindi a dare esecuzione all'arresto ex art. 716 c.p.p., misura precautelare successivamente convalidata nei termini ex art. 719 c.p.p. dal Presidente della Corte di appello di Firenze, il quale disponeva altresì l'applicazione nei confronti dell'estradando della misura della custodia cautelare in carcere. Ritualmente svoltasi l'udienza prevista dall'art. 717 c.p.p. - nel corso della quale il prevenuto negava il proprio consenso all'estradizione verso la Romania - in seguito i difensori dell'estradando chiedevano la revoca e/o la sostituzione della misura cautelare, evidenziando come - a seguito dello svolgimento di un'articolata attività di indagine difensiva - erano emersi consistenti dubbi in ordine alla responsabilità del loro assistito per i fatti per cui ne era stata disposta la carcerazione. La Corte di Appello di Firenze, tuttavia, rigettava l'istanza di scarcerazione sostenendo che, con riferimento alle allegazioni prodotte a sostegno della richiesta, «le stesse sono in punto di merito e quindi non possono trovare oggetto di decisione in questa sede».

A distanza di poche settimane, tuttavia, il Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, informava l'A.G. italiana del fatto che il collaterale uf-Page 699ficio Interpol rumeno aveva fatto conoscere che dalla comparazione delle impronte digitali loro trasmesse a cura di quest'ufficio è emerso che la persona detenuta per estradizione verso la Romania non era l'autore dei reati commessi in Romania. Per l'effetto, la Corte di appello di Firenze disponeva l'immediata liberazione dell'(ormai non più) estradando.

Veniva quindi proposta istanza di riparazione per ingiusta detenzione (protrattasi per quasi tre mesi) nell'interesse del cittadino bulgaro, evidenziandosi come la limitazione della libertà personale fosse stata conseguenza di un evidente (e riconosciuto esplicitamente delle stesse Autorità di Polizia) errore di persona.

La Corte di appello di Firenze, quindi, nel provvedimento in commento ha sostenuto che l'art. 314 c.p.p. attribuisce il diritto alla riparazione solo al destinatario di un provvedimento di proscioglimento, provvedimento che nel caso di specie non risulta essere stato adottato e che, comunque, sarebbe di competenza del giudice straniero. In realtà, si specifica, «la normativa presuppone che il giudice italiano sia competente a decidere il merito della regiudicanda, il che per definizione non avviene nell'estradizione passiva».

Effettivamente, l'art. 314 c.p.p. prevede il diritto ad un'equa riparazione per la custodia cautelare subita in favore di chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile (comma 1) o per qualsiasi altra causa (comma 2), ovvero (comma 3) in favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere.

Orbene, nel caso di specie non era stato adottato nessuno di tali provvedimenti, giacché il prevenuto era stato scarcerato con ordinanza della Corte di appello ed alla procedura di estradizione semplicemente non era stato dato alcun seguito. Del resto, non si era nemmeno avvertita la necessità di concludere il procedimento estradizionale con un atto formale, giacché: a) la richiesta di scarcerazione del Ministero dell'Interno doveva implicitamente intendersi anche quale rinuncia a dar seguito all'estradizione; b) il Procuratore generale di Firenze aveva chiesto esplicitamente il non accoglimento della richiesta di estradizione; c) la Corte di appello fiorentina nel provvedimento di scarcerazione aveva stabilito che era venuto meno il presupposto della misura custodiale («l'identificazione dell'estradando nella persona che aveva commesso il reato de quo») e quindi dell'intera procedura estradizionale. Rebus sic stantibus, si deve ritenere che l'ordinanza della Corte di appello di Firenze con cui si disponeva la scarcerazione del cittadino bulgaro avesse il carattere di «definitività» di cui parla il primo comma dell'art. 315 c.p.p. Ed infatti, all'uopo occorre evidenziare come la procedura di estradizione per l'estero (c.d. «passiva») prevista agli artt. 697 e ss. c.p.p. non contempli un provvedimento «di chiusura» al pari di quelli previsti dagli artt. 408, 409, 411, 425, 529, 530 e 533 c.p.p.; non per questo, tuttavia, si deve escludere l'operatività in subiecta materia dell'art. 314 c.p.p., poiché la mancanza di un provvedimento in termini di condanna, proscioglimento, archiviazione o non luogo a procedere si deve imputare alla natura del procedimento estradizionale, per il quale non sono previsti i passaggi processuali che sono all'origine dei provvedimenti de quibus. Inoltre, il provvedimento «conclusivo» a partire dal quale decorrono i termini previsti dall'art. 315 c.p.p. ben può essere rappresentato da un'ordinanza, e non già da una sentenza: è lo stesso art. 314 c.p.p., infatti, a far riferimento - al secondo comma - ad una «decisione» (e quindi non ad una «sentenza» come previsto al primo comma), che ben può essere rappresentata anche da un'ordinanza di revoca di misura cautelare divenuta definitiva.

Ritenere, poi, che un'istanza ex art. 314 c.p.p. possa trovare accoglimento solo in caso di pronuncia assolutoria nel merito dell'autorità...

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